Capitolo 16

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Il sabato passò rapidamente, portando con sé acquazzoni di fine estate.
Domenica, Paola si svegliò presto, sudata e ansimante.
Non era possibile.
Lei non faceva certi sogni.
Paola Marotta non sognava ragazzi nudi.
E soprattutto non sognava Mattia Bellegrandi nudo.
La situazione stava degenerando.
Dopo l'incontro ravvicinato di venerdì pomeriggio, i suoi ormoni erano in caduta libera, e il suo cervello captava doppi sensi in ogni dove. Forse era colpa di Sabrina. A stare con lo zoppo si impara a zoppicare, no?
Fatto stava che quel sogno l'aveva svegliata.
Una delle cose più sconvolgenti della sua vita, il sogno più vivido che avesse mai fatto. Non credeva di poter essere così priva di freni inibitori, così disinibita. Anche se era stato tutto un sogno.
Un meraviglioso sogno.
Si alzò dal letto alle sette e si precipitò sotto la doccia, tenendola temperatura dell'acqua a metà tra il freddo e il caldo, lasciando che le lavasse via la sensazione di appiccicoso dalla pelle.
Si prese venti minuti buoni per lavarsi, facendo due volte lo shampoo e insaponandosi il corpo con il sapone alla vaniglia. Il profumo di miele dello shampoo si mescolò a quello del bagnoschiuma, creando un aroma delicato e dolce, che l'avvolse e la fece rilassare più di una notte di sonno.
Uscì dalla cabina della doccia, si asciugò e si vestì, indossando un paio di leggins verde scuro e una maglietta beige con le maniche a tre quarti. Si asciugò i capelli lunghi col phon, lasciando che si formassero i boccoli. Si truccò leggermente, scegliendo colori neutri. Legò i capelli biondi in due codini morbidi e bassi, che ricadevano sul seno.
Alle otto e mezza era pronta, perfettamente in ordine.
Trovò sua madre in cucina, che l'accolse con un sorriso e un «Buongiorno» che aveva come sottofondo lo sfrigolare del bacon nella padella antiaderente.
Ogni domenica, Giorgia Marotta preparava una English Breakfast, completa di uova, pancetta, salsicce e ogni altro tipo di squisitezza.
Paola prese posto a tavola, lo stomaco che brontolava e l'acquolina in bocca.
Il signor Marotta le raggiunse dopo pochi minuti.
Fecero colazione chiacchierando e ridendo, come tutte le domeniche.
In tarda mattinata, Paola uscì di casa, decisa a fare una sorpresa ad una persona.
Camminò in fretta, impaziente.
Quando finalmente vide la casa color avorio, le sue labbra si aprirono in un sorriso.
Raggiunse la porta di legno chiaro e bussò un paio di volte.
Patrizia Bellegrandi aprì, e non appena la vide, sorrise radiosa.
«Paola!» esclamò felice, abbracciandola di slancio.
La giovane rimase interdetta qualche istante, presa in contropiede dalla reazione della donna; durò poco, poi ricambiò la stretta, grata di quell'affetto inaspettato.
«Non dirlo a Mattia, ma tu non hai idea di quanto sia felice che abbia trovato una ragazza come te» mormorò quella, invitandola ad entrare. «L'ho visto uscire con tante di quelle ragazze sconce...» disse disgustata. «Alcune erano persino più grandi. E non me lo sarei mai aspettata: diceva sempre che per lui l'ideale era una ragazza più piccola, anche se di poco, perché così avrebbe potuto essere protettivo verso di lei» sorrise teneramente, mentre entravano in cucina.
«Direi che tu rispecchi questa sua piccola mania» ridacchiò. «Hai un anno in meno, vero?»
Poli annuì.
«Quantomeno ha avuto il buon senso di non portarne a casa nemmeno una» sospirò la donna, indaffarata ai fornelli.
L'altra si stupì. «Mai?»
«Oh, no. Credo che si vergognasse. Ma è un ragazzo, e ci ha messo un po'a maturare. Ma ora come ora, posso dire di essere fiera di lui».
La ragazza annuì e sorrise. «Mattia è sveglio?»
«A dire la verità dorme. Ma se vuoi puoi andare a svegliarlo. Non credo che a te tirerebbe addosso il cuscino» ridacchiò Patrizia.
Poli rise a sua volta e uscì dalla cucina, attraversando il salotto; su una parete era affisso un attestato di qualche concorso di lingua inglese. Era a nome di Patrizia Romano Bellegrandi. Quindi Patrizia era un'insegnante.
Salì al primo piano, raggiungendo la camera del ragazzo.
Aprì la porta e cercò di distinguere qualcosa nella penombra.
Mattia era sdraiato a pancia in giù, il lenzuolo avvolto attorno ai fianchi e alle gambe. Le mani scomparivano sotto al cuscino. Il respiro era pesante, segno che stava dormendo alla grande.
Si avvicinò cercando di non fare rumore, e quando fu abbastanza vicina si chinò sul moro, appoggiando le labbra su una sua spalla.
Vi depositò uno, due, tre baci, salendo poi verso il collo.
Mattia si mosse leggermente, ma non diede altri segni di vita.
Poli salì sul letto, attenta a non schiacciarlo, e riprese a baciargli il collo, fino ad arrivare alla mandibola e poi alla guancia.
Vide gli occhi del ragazzo avere un fremito, per poi aprirsi lentamente.
Voltò il capo per guardarla e sbatté un paio di volte le palpebre.
«Poli?» chiese cauto, come se avesse paura di interrompere il momento.
Lei annuì sorridendo.
«Ma è un sogno?»
«No Bellegrandi, sono qui» sussurrò la giovane, baciandogli leggermente le labbra.
Successe in un secondo; un attimo prima Mattia era a pancia in giù e si spezzava il collo per cercare di guardarla, un attimo dopo si era voltato supino e le aveva afferrato i fianchi con un braccio, trascinandola sopra di sé.
«Buongiorno» mormorò lui, stringendola al suo petto. Poli sorrise ancora di più. «Buongiorno».
L'imbarazzo la colse quasi immediatamente quando l'erezione di Mattia si fece sentire chiaramente contro il suo ventre.
«Scusa» borbottò lui. «Capita, di mattina».
Lei rise e riprese a baciarlo, decisa ad accantonare l'imbarazzo.
Dopo qualche istante lui l'allontanò di qualche centimetro, per osservarla.
«Sei bellissima» bisbigliò.
«Anche tu».
Mattia invertì le posizioni, trascinandola sotto di lui. Lei aprì le gambe per permettergli di posizionarsi tra di esse. Era eccitata oltre ogni previsione; e avevano tutti i vestiti addosso.
Be', forse non proprio tutti.
No, perché il moro dormiva in boxer grigi e canottiera blu.
Poli poté vedere i muscoli delle braccia del ragazzo gonfiarsi mentre lui si teneva, in modo da non pesarle addosso.
Amava la sua pelle, quel ciuffo ribelle, amava quegli occhi che la guardavano meravigliati.
Gli allacciò le braccia al collo, facendo avvicinare i loro visi.
Due parole premevano sulle labbra della ragazza. Volevano uscire a tutti costi, ma Paola le ricacciò indietro violentemente. Era troppo presto, era oltre ogni logica, ogni regola.
Due parole.
Cinque lettere.
Troppo presto.
Strabuzzò gli occhi quando una mano si chiuse a coppa sul cavallo dei leggins. Il tessuto dei pantaloni era estremamente sottile, e Mattia poteva sentire il calore e l'umidità emanati dal centro della giovane.
Lei ansimò, scoprendosi a desiderare di più, scoprendosi a desiderare che quei pantaloni non ci fossero affatto.
Lui sentiva il profumo dell'eccitazione di Paola, e inspirò a fondo, mentre l'erezione gli doleva nei boxer.
Quasi piagnucolando, lei strinse le cosce intorno al bacino del moro, inconsciamente, cercando un contatto più profondo.
Lui ridacchiò a bassa voce e tolse la mano dalla sua intimità, portandola alla schiena inarcata e tesa, che prese ad accarezzare lentamente.
Era una vera prova di forza resistere a quel corpo caldo ed implorante che si offriva a lui; ma sentiva che poteva – e doveva – aspettare.
La baciò un'ultima volta, poi si sollevò dal suo corpo.
Vide i suoi occhi lucidi – di desiderio –, le sue guance rosse – di eccitazione –, e i suoi capelli arruffati. Quasi gli faceva male il cuore: era una delle cose più belle che avesse mai visto. Non vedeva l'ora di sentirla gridare il suo nome, di vederla contorcersi sotto di lui per il piacere che le stava dando, di venire con lei.
Quei pensieri non fecero bene alle sua erezione, che pulsò nei boxer, facendolo pentire di essersi staccato da lei.
Poli si mise a sedere.
Sfoggiava il sorriso di un bambino quando viene sorpreso a rubare i biscotti. Un misto di innocenza, senso di colpa e eccitazione. Naturalmente un diverso tipo di eccitazione.
«Scusa se ti ho aggredito così» bisbigliò, fissandosi le gambe incrociate.
«Veramente sono io che ti ho aggredita» la corresse il moro, scompigliandole ulteriormente i capelli.
Lei fece di tutto per ignorare il rigonfiamento delle mutande di Mattia, ma evidentemente non ci riuscì, perché lui si alzò di scatto e si diresse alla porta.
«Vado un attimo in bagno» bofonchiò, prima di sparire. Era sicuro che ci avrebbe messo pochissimo.
Lei si trattenne dallo scoppiare a ridere e si alzò a sua volta dal letto, accendendo la luce dall'interruttore lì vicino.
Era già stata in quella stanza, solo due giorni prima, eppure ora le sembrava diversa. Più accogliente, e soprattutto più di Mattia.
Notò solo in quel momento che le pareti erano piene di disegni incorniciati.
Uno raffigurava senza dubbio Patrizia Bellegrandi. Quel cipiglio severo e allo stesso tempo materno era inconfondibile; a Paola ricordava tanto sua madre, solo con un carattere più forte e deciso.
Un altro disegno raffigurava una ragazza; era bellissima, e il taglio degli occhi era quasi identico a quello del moro. Forse era una parente. C'erano altri disegni, con altre persone; quello doveva essere il padre di Mattia, e in un'altra cornice era ritratto un paesaggio di campagna. Erano tutti bellissimi.
Anche la scrivania era invasa di fogli.
Poli ci passò vicino quando andò alla finestra per aprire le imposte, lasciando che l'aria frizzante del mattino invadesse la stanza; si fermò poi alla scrivania, osservando le decine di fogli di varie dimensioni sparse qua e là. Ne spostò alcuni con le dita, e per poco non le si fermò il respiro.
Quella era lei.
Riconosceva il taglio degli occhi, la forma del viso e delle labbra, i boccoli morbidi che ricadevano sul davanti... era un ritratto in bianco e nero, meraviglioso.
«Oh, l'hai trovato».
La ragazza si voltò verso la porta; Mattia la stava guardando, una spalla appoggiata allo stipite e un sorrisino sul viso.
«I tuoi disegni sono bellissimi» disse di getto.
Lui sorrise di più. «Grazie».
Poli tornò a fissare il suo ritratto; sentiva che lui si stava avvicinando alle sue spalle.
«Anche questo è bellissimo... ma mi hai disegnata troppo bella» mormorò. «In effetti ancora non mi spiego cosa ci trovi in me» ridacchiò senza allegria.
Sentì le braccia muscolose del ragazzo avvolgerle i fianchi, abbracciandola.
Appoggiò il mento sulla spalla di lei, approfittandone per inspirare il profumo che emanavano i suoi capelli e la sua pelle. Rischiava di dover tornare in bagno.
«Se solo tu vedessi quello che posso vedere io, capiresti perché ti voglio così disperatamente» sospirò Mattia, stringendola a sé.
Paola sentì gli occhi inumidirsi.
Nessuno le aveva mai detto una cosa del genere.
Girò la testa, per guardarlo. «Lo pensi davvero?»
«Cosa?»
«Che...insomma... mi vuoi davvero?»
Lui fece una specie di sbuffo. «Se i muri del bagno potessero parlare» sospirò. Tornò serio quando lei tentò di rifilargli una gomitata nello sterno. «Certo che ti voglio, Poli. Tu non hai idea di quanto mi stia trattenendo».
Lei sentì il cuore accelerare in maniera frenetica.
Si districò dalla sua stretta, facendo in modo di essere faccia a faccia.
Gli mise le braccia attorno al collo.
Sapeva che lui si aspettava un bacio, per questo non glielo diede.
«Da quanto tempo stai lavorando a quel ritratto?»
Non era un'esperta di disegno, ma era abbastanza preparata in materia da capire che Mattia ci stava lavorando da parecchio.
Lui sembrò indeciso se rispondere oppure no. «Un anno» confessò, leggermente a disagio.
Questa volta il respiro le si fermò veramente.
«Tu mi osservi da un anno?» chiese sbalordita, quando la respirazione tornò ad essere normale.
Lui annuì. «Patetico, eh?»
«No!» esclamò lei, quasi arrabbiata. «Tu sei così... così perfetto» sbuffò.
«Sembra che questa cosa ti infastidisca» rise.
«Non capisco come sia possibile che certe persone siano come te e altre invece siano orribili» disse imbronciata, ignorando l'espressione da modello che il moro aveva prontamente sfoggiato. «Però una cosa non l'ho ancora capita».
«Sarebbe?»
«Perché il primo giorno di scuola hai cercato di approcciarti a me con quel fare da sex symbol?»
«Be'...per prima cosa, io sono un sex symbol» scherzò. «E poi... te l'ho detto, non ho mai dovuto impegnarmi con le ragazze. Attaccare bottone in quel modo con te, è stata una delle mie idee peggiori. Oltre al fatto che... non posso negare che fosse una specie di verifica».
«Verifica?»
«Sì, be'... ti ho detto che ti osservo da un anno. Volevo verificare di non essermi sbagliato. Se tu avessi fatto la femme fatale al primo approccio con me, mi sarebbe crollato il mondo addosso, perché avrebbe voluto dire che avevo sbagliato tutto su di te. Ma il tuo sguardo non appena ti ho rivolto la parola è stata una conferma lampante» sorrise.
«Quindi volevi essere sicuro che non fossi la classica troietta?» ridacchiò Poli.
«Esatto. Sei offesa?»
«No... credo di no. Se hai detto che era una conferma, vuol dire che mi avevi già capita. Non sono difficile da leggere».
«Ti sbagli» la corresse, aggrottando le sopracciglia. «Non è così facile come sembra, sei una continua sorpresa. Per esempio, non mi sarei mai aspettato che Paola Marotta sarebbe entrata in camera mia di domenica mattina per svegliarmi» mormorò, stampandole un bacio sulla guancia.
«Mi piace stupire le persone. Ma non sempre ci riesco».
«Oggi ci sei riuscita alla grand-»
Le labbra morbide di Poli che si poggiarono sulle sue, gli impedirono di finire la frase.
«Anche ora» mormorò contro la bocca della ragazza.
Lei ridacchiò, pensando che fosse tutto meraviglioso.

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