Capitolo 14

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Cristian era seduto sul divano, una gamba che si muoveva incessantemente, il piede che ticchettava sul parquet senza sosta.
Davide lo osservava preoccupato dalla poltrona di fronte, mentre Giorgio passeggiava avanti e indietro, il cellulare all'orecchio.
«Mattia non risponde» si arrese all'improvviso, gettando nervosamente il telefono sul divano; quello rimbalzò contro lo schienale e atterrò sul tappeto con un piccolo tonfo sordo. Nessuno sembrò farci caso.
Cristian si grattò il mento, chiudendo gli occhi; sembrava che stesse facendo ricorso a tutte le sue forze per non tornare in camera della sorella e spaccare la faccia a Gabriele.
Davide si schiarì la voce, per attirare l'attenzione degli altri due.
Nella sala infatti, erano appena entrati Sabrina e il bruno, vestiti di tutto punto e a un metro di distanza l'uno dall'altra.
Lei guardò immediatamente il fratello; sembrava furente.
Gabriele invece teneva ostinatamente lo sguardo incollato alle punte delle sue scarpe, come se ciò che stava succedendo nella stanza non lo riguardasse minimamente.
Fu Giorgio a rompere il silenzio.
«Dunque...» sospirò. «Facciamo un bel respiro tutti, e diamoci una calmata».
Cristian emise una specie di sibilo. «Calmarmi?» sbottò, balzando in piedi. «Come faccio a stare calmo? Come faccio a non picchiare questo stronzo?» gridò quasi, indicando Gabriele con un gesto secco della mano.
Quello fece una smorfia, ma non accennò a sollevare lo sguardo.
«Modera il linguaggio» sputò Sabrina, assottigliando lo sguardo. «È inutile che te la prendi a morte con lui. Il sesso si fa in due. Io sono sempre stata consenziente, quindi evita di accanirti contro di lui».
Il ragazzo fissò la sorella come se fosse uscita di senno.
«Ma che fai ora, lo difendi anche?!» esclamò incredulo e arrabbiato. «Tu non conosci Gabriele...»
L'interessato borbottò qualcosa che suonò come un "io sarei qui", ma i due non ci fecero caso.
«Perché invece tu lo conosci, vero?» commentò la mora, sprezzante. «Lo conosci talmente bene che in quasi due mesi non ti sei mai accorto che viene a letto con me!».
Cristian socchiuse gli occhi, come per concentrarsi meglio sulle ultime parole.
«Due mesi? Questa storia va avanti da due mesi
Sabrina annuì, guardandolo con sfida. «Avanti, di' che a diciotto anni non posso fare sesso con chi mi pare».
Il ragazzo scosse il capo. Più che arrabbiato sembrava confuso.
«Fino a poco tempo fa mi avevi giurato che eri ancora... si insomma...»
«Vergine. Puoi dirlo Cristian, non è una bestemmia. Vergine. E infatti lo ero. Poi è nata la cosa con Gabriele».
Passò qualche secondo, nel silenzio più assoluto. A Davide parve di vedere le rotelle del cervello dell'amico lavorare febbrilmente, mentre cercavano di non considerare la verità lampante che si celava dietro alle parole della giovane.
Anche Giorgio aveva intuito che la situazione poteva precipitare da un momento all'altro e, impercettibilmente, iniziò ad avvicinarsi all'amico, che nel frattempo rimaneva immobile, in piedi con le mani strette a pugno.
Successe in un secondo: Cristian fece un passo in avanti, e con un movimento fulmineo tirò indietro un braccio, pronto a colpire Gabriele con un pugno in pieno viso.
Giorgio fu abbastanza pronto di riflessi da scattare nello stesso momento, avvolgendo con le braccia il corpo dell'amico e fermandolo; il pugno andò a vuoto, colpendo l'aria.
«Io ti ammazzo» bofonchiò Cristian, osservando Gabriele, che per la prima volta sembrava essersi reso conto di quello che stava succedendo intorno a lui. «Tu hai... hai...»
«Sverginato» accorse in suo aiuto Sabrina; la sua voce trasudava sarcasmo. «Nemmeno questa è una bestemmia».
«...mia sorella!» continuò il fratello.
«Be'» esordì il bruno, «non capisco perché ti incazzi tanto. Non è mica una puttanella che va a letto con tutti. Ha perso la verginità a diciott'anni, con una persona che conosce da un sacco di tempo. Non vedo cosa ci sia di così deplorevole».
Cristian parve sgonfiarsi; Giorgio lo lasciò andare.
«Io mi fidavo di te» sibilò, rivolto al bruno.
«Oh Dio, non la farei così tragica! Sono andato a letto con tua sorella, si!» disse l'altro, esasperato. «Non ho ucciso nessuno, non ti ho rubato la macchina, non mi sono scopato la tua ragazza. Sul serio amico, non so perché ti scaldi tanto».
«Perché è piccola!» protestò Cristian, non più tanto convinto.
«Ho diciotto anni!»
«Ha diciotto anni!»
Gabriele e Sabrina si guardarono per una frazione di secondo, trattenendo un sorrisino di vittoria. Sapevano di aver vinto.
Infatti, la mora vide il fratello far cadere le braccia lungo i fianchi e sospirare.
«State insieme?»
«No!» esclamarono all'unisono, lievemente disgustati.
«Quindi non l'hai fatto per amore» disse deluso, guardando la sorella.
Sabrina si sentì improvvisamente a disagio. Provò l'impulso di correre in camera sua, ai ripari. Tuttavia sostenne lo sguardo del ragazzo. «A dire la verità, l'ho fatto perché mi annoiavo. In giro si diceva della fama di Don Giovanni di Tufi, e lo conoscevo abbastanza bene da non farmi strane idee su un possibile futuro con lui. Tutto qui. Non ne farei un dramma, Cristian. Non lo sto sposando contro la mia volontà».
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli castani.
«Quindi non ho il diritto di incazzarmi?»
Sabrina lo raggiunse e gli mise le braccia al collo.
«Ehi, idiota, lo so che ci tieni a me. Ma non sono più una bambina, quindi, ti prego, non giocare al papà geloso. Non ne ho uno e non ho intenzione di averlo».
«Solo perché papà non controlla i tuoi messaggi non significa che non sia geloso» mugugnò Cristian, ma la sorella gli mise due dita sulle labbra.
«Basta. Io e Gabriele siamo... amici di letto» concluse, osservando il ragazzo, come per cercare una conferma. Quello non annuì; anzi, non la stava nemmeno guardando. Fissava il muro davanti a sé.
«Ve bene. Ma fate in modo che non debba più beccarvi mentre... ci date dentro».
La mora ridacchiò, e l'atmosfera si alleggerì. «Ho afferrato il concetto».


«Paola!» strillò la signora Marotta dalla cucina.
Poli fece gli ultimi quattro scalini in un balzo, rischiando seriamente dirompersi l'osso del collo.
«Sei in ritardo per la colazione! A quest'ora di solito esci di casa» la riprese la madre nel vederla entrare nel locale.
«Infatti sto uscendo».
«E non mangi?»
Giorgia Marotta era orripilata. «Non ti azzardare
«Mamma, compro qualcosa per strada, è troppo tardi per fare colazione» la interruppe la figlia, di fretta.
La donna scosse il capo con stizza, osservando la ragazza che afferrava lo zaino e usciva rapidamente di casa.
Era lunedì mattina, e il vento si rinfrescava ogni giorno di più ormai.
Aveva passato la domenica pomeriggio attaccata al cellulare, rispondendo agli sms di Mattia e Sabrina.
Il primo le aveva posto una serie infinita di domande, che andavano da "qual è il tuo colore preferito" a "un attore che non sopporti". L'altra invece le aveva fornito un resoconto più che dettagliato su come Cristian avesse sorpreso lei e Gabriele mentre facevano sesso. Poli era sorpresa che la ragazza fosse ancora in grado di scrivere messaggi. Credeva che Cristian avrebbe ucciso entrambi.
Mentre camminava sul marciapiede, ad un'andatura rapida ma non forsennata, sentì la nuca pizzicare. Qualcuno la osservava.
Non fece nemmeno in tempo a formulare il pensiero, che un braccio sbucò dal nulla e si avvolse intorno alla sua vita, trascinandola in una stradina laterale, tra un garage e una villetta dipinta di rosa chiaro.
«Ma che...» ansimò, nel panico.
Quando incontrò lo sguardo divertito di Mattia, aprì la bocca per insultarlo.
Ma nessuna offesa scivolò fuori dalle sue labbra, perché quelle del moro le tapparono, in un bacio affamato.
Era famelico.
Affondava la lingua nella bocca della giovane ad un ritmo che lei non credeva possibile, e intanto con una mano la spingeva contro il suo petto, cercando un contatto sempre più profondo.
Poli era sconvolta. Eccitata e sconvolta.
Rimase passiva solo per pochi secondi, poi ricambiò il bacio con foga, facendo danzare la sua lingua insieme a quella del ragazzo.
Affondò le mani tra i capelli di Mattia, esultando interiormente quando lo sentì gemere di protesta: gli stava rovinando il ciuffo perfetto. Ma esultò ancora di più quando lui decise che era decisamente meglio continuare a baciarla piuttosto che controllarsi nello specchietto di una delle auto parcheggiate.
Intanto la mano di Mattia raggiunse il sedere della ragazza; si appoggiò su una delle natiche e strinse appena. Lei non si imbarazzò affatto,anzi: la sua eccitazione crebbe, e si schiacciò ulteriormente contro il corpo del moro.
Felice per quella reazione, lui portò anche l'altra mano sul fondoschiena di lei, facendo la stessa cosa.
Paola intanto fece scivolare le mani sulle spalle di Mattia, accarezzandole e stringendole a sé.
Quando sentì qualcosa di duro premerle sul ventre arrossì di botto, ma non accennò ad allontanarsi.
Furono costretti a separarsi bruscamente quando qualcuno sopra di loro li interruppe.
«Brutti sporcaccioni! Lontano da casa mia, depravati!» stava gridando istericamente una signora; la sua testa cotonata sbucava da una delle finestre della villetta rosa.
Entrambi scoppiarono a ridere, ma scapparono immediatamente quando quella sollevò a fatica un secchio che doveva essere pieno d'acqua, con l'intenzione di rovesciarlo sulle loro teste.
«Sporcaccioni!» gridò di nuovo, mente i due si allontanavano rapidamente, tenendosi per mano.
Corsero a perdifiato per tutta la stradina, poi svoltarono per arrivare a scuola.
Mattia la guardò ridere.
Era dannatamente meravigliosa. Gli occhi le brillavano, e i capelli erano leggermente arruffati.
«Poveretta, le sarà venuto un infarto» riuscì a dire lei, tra le rise.
«Se scopasse di più non avrebbe reagito così» borbottò lui aggiustandosi il ciuffo.
Lei lo riprese con un buffetto sul braccio, poi si incamminò verso il portone della loro scuola.
«Ciao Sabrina» salutò, vedendo la mora.
Quella le rivolse un sorriso fugace. «Come mai così di buon umore? Sei anche arrossita» notò, osservando le guance dell'amica ancora leggermente arrossate.
Mattia sbucò al fianco di Paola. «Abbiamo scandalizzato una vecchietta» disse.
La mora si accigliò. «Eh?»
«Ci stavamo dando da fare contro il muro di casa sua» spiegò il moro.
Poli rinunciò all'idea di recuperare un colorito normale prima dell'inizio delle lezioni, arrendendosi al sangue che le invase le guance.
Sabrina sogghignò controvoglia. «Capisco».
«Dov'è Gabri?» chiese poi Bellegrandi, guardandosi intorno.
La ragazza si irrigidì. «E che ne so io?»
Poi si allontanò, sparendo tra la folla.
«Il ciclo mestruale è il peggior nemico dei ragazzi» sbuffò Mattia, cercando il bruno con lo sguardo.
Poli invece continuava a fissare il punto in cui Sabrina era scomparsa.
Che diavolo le era preso?
Fu tentata di seguirla, ma l'arrivo di Gabriele la distrasse.
«Ciao ragazzi» disse tetro.
Mattia lo salutò con una pacca sulla spalla, e il bruno sembrò infastidito da tutto quel buon umore.
«Ma cos'avete oggi tutti quanti?» disse Poli accigliata.
Il ragazzo non rispose; non che si aspettasse una risposta. Sabrina le aveva assicurato per messaggio che tra lei, Gabriele e Cristian era tutto chiarito. Che fosse successo qualcos'altro?
Non ebbe il tempo di pensarci ulteriormente, perché la campanella le trapassò il cranio, strappandola dal residuo torpore che i baci infuocati con il moro le avevano lasciato addosso.


Più tardi, durante l'ora di biologia, notò un certo fermento nell'aula.
Lei e Mattia erano seduti fianco a fianco, e di tanto in tanto lasciavano che le loro dita si intrecciassero, senza farci caso.
Quando Poli si voltò notò lo sguardo assassino di molte ragazze presenti in classe; ma furono gli sguardi derisori a preoccuparla.
Si sentì chiamare da un banco più indietro; quando si voltò incontrò il viso di Gabriele distorto da un'espressione infastidita.
«Che razza di arpie» borbottò Gabriele.
«Ma che hanno?» bisbigliò Poli, confusa. Lanciò un'occhiata al professor Mirone, per controllare che fosse ben impegnato a disegnare un neurone alla lavagna.
Il ragazzo non le rispose, si limitò a passarle il telefono.
Lei lo prese, e quando vide cosa c'era sullo schermo, il respiro le si fermò per un secondo in gola.
Aveva già visto quella foto di Mattia e Alessia su Facebook.
Quello che la impressionò, fu il numero di 'mi piace'.
Era sicura che, fino a qualche giorno prima, la foto non superasse i quindici; in quel momento invece, si contavano ottantasette pollici in su.
Restituì il telefono a Gabriele, con espressione interrogativa.
«Si sono messe d'accordo. Le ragazze, intendo. Non sono contente del vostro rapporto, e vogliono far tornare in voga il Mattia di due anni fa» spiegò quello sottovoce.
Poli si assicurò che il ragazzo al suo fianco stesse riproducendo il disegno del neurone sul suo quaderno – ed era decisamente meglio di quello del professore – per poi rispondere all'amico.
«Ma è ridicolo» mormorò.
«Loro sono ridicole. Alessia si ritroverà un bel po' di notifiche. Ma anche Mattia, considerando che stanno lasciando commenti a raffica».
Quando l'ora terminò e lei dovette separarsi da Mattia, raggiunse il bagno più vicino.
Li' estrasse il cellulare dallo zaino ed entrò su Facebook. Senza pensarci due volte, cercò il profilo di Alessia Boreale e le inoltrò una richiesta di amicizia.
Stava per uscire dai bagni, quando da uno dei cubicoli uscì Sabrina.
Quella visione fu una delle cose che più la spaventò in tutta la sua vita.
La sorella di Cristian aveva gli occhi rossi e gonfi, e sembrava atterrita.
Non si accorse subito di Poli, ma quando la vide si affrettò a passarsi una mano sugli occhi, cercando di cancellare il disastro che il mascara aveva combinato sulle sue guance.
«Ehi Bei Boccoli» disse, cercando di usare il tono spavaldo di sempre; peccato che la voce si fosse incrinata, e non di poco.
«Sabri ma cos'è successo?» mormorò Poli, preoccupata.
L'altra si guardò intorno. «Oh, nulla di grave».
«Stai piangendo» ribatté l'amica, osservando le tracce nere del trucco colato.
Sabrina sospirò sconfitta. «Sul serio non è nient-»
«Dimmelo» si impose.
Sconfitta, la mora si appoggiò alla porta di un gabinetto, sospirando.
«Ieri sera Gabriele mi ha chiamata» iniziò. «Ha iniziato a blaterare, come al solito... a girarci intorno» sbuffò, cercando di controllare la voce.
Paola fece un gesto con la mano, per farle capire che la stava ascoltando.
Sabrina sembrava esausta. Come se fosse invecchiata improvvisamente di trent'anni.
«Gabriele mi ha scaricata» concluse, in un sospiro. «Che poi dire "scaricata" implica che ci fosse qualcosa di serio. In pratica mi ha solo detto che non faremo più sesso insieme».
L'altra la fissò senza capire. «E perché stai piangendo? Mi hai detto un sacco di volte che non provi niente per lui, e ora sembri disperata...»
«Sì, be', più che altro sono arrabbiata» sbottò lei, stizzita. «Non spettava a lui dire basta. Sono io che ho deciso di andarci a letto la prima volta, io che dettavo le... regole del gioco... Dio, così sembra Ocean's Eleven» ridacchiò senza allegria. «Non mi va giù che sia stato lui a decidere. Tutto qui».
Poli annuì, anche se non era per niente convinta.
Sabrina sembrava disperata, anche se si stava sforzando con tutta sé stessa di apparire spavalda e forte come al solito; Poli si chiese quanto in realtà fosse fragile quella ragazza.
Ma non poteva credere che quegli occhi pesti fossero una conseguenza della rottura con Gabriele. Era sicura che sotto ci fosse qualcos'altro.


Quando tornò a casa, la prima cosa che fece fu accendere il computer e collegarsi a Facebook.
Come aveva previsto, una notifica la informava che Alessia Boreale aveva accettato la sua richiesta d'amicizia.
Con sua sorpresa, la trovò disponibile in chat, e non perse tempo.
Ciao ,digitò. Non mi conosci, sono Paola. Dovrei chiederti una cosa.
Attese qualche istante.
Ciao. Piacere, Alessia. Dimmi pure.
Paola prese un respiro profondo.
Ecco, forse ti sembrerà strano... ed è anche un po' imbarazzante chiedertelo.
Dovette aspettare quasi un minuto per la risposta di Alessia.
Non capisco... guarda che io non spaccio eh.
Si trattenne dal ridere.
No, niente del genere... si tratta di Mattia
Attese almeno tre minuti, osservando lo schermo del computer.
Senti, scusa, ma ora devo uscire. Venerdì torno a casa dal college, se vuoi possiamo incontrarci da Vesuvio, a Piazza di Spagna.
Si sorprese di tutta quella cortesia; si era sempre immaginata una ragazza antipatica e per nulla disponibile.
D'accordo. Venerdì pomeriggio?
Si, per le cinque sono là. Scusa ma stacco, ho un'assemblea.

Nonfece nemmeno in tempo a salutarla che quella passò offline.

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