Mentre raggiungeva l'aula della sua prima lezione del primo giorno dell'ultimo anno di scuola, Poli ripensava a ciò che era accaduto pochi minuti prima.
Uscita indenne dal suo breve ma intenso colloquio con Bellegrandi, Vanessa e le altre l'avevano accolta con aria stralunata.
«Ma che fine hai fatto?» le avevano chiesto, lievemente impazienti.
«Non è colpa mia, c'era coda in segreteria, l'avete visto anche voi» aveva ribattuto lei risentita.
Tutte avevano lasciato correre - tranne Vanessa, che fissava le gote arrossate dell'amica con espressione di chi la sa lunga - e avevano aperto i loro programmi.
Poli aveva quasi piagnucolato quando aveva scoperto che durante la settimana avrebbe avuto solo tre ore di lezione insieme alla bionda.
Shaila, Valentina e Silvia avrebbero avuto otto ore da trascorrere insieme, mentre Virginia e Vanessa nove.
Poli aveva scrutato il suo orario con aria truce, dopodiché lo aveva cacciato in malo modo nella tasca esterna dello zaino e aveva preso a marciare verso l'aula di psicologia.
Quando entrò, notò con dispiacere che la maggior parte dei posti erano già occupati. Grugnendo qualcosa di incomprensibile, raggiunse a testa bassa un banco in penultima fila, ben sapendo che questo avrebbe comportato delle pessime condizioni per poter seguire in pace la lezione.
In quell'ora non sarebbe stata affiancata da nessuna delle sue amiche, e per di più, con ogni probabilità sarebbe stata circondata da giovani delinquenti ai quali di tutto importava, meno che della psicologia. Si ripromise di svegliarsi dieci minuti prima l'indomani mattina.
Con una piccola fitta alla bocca dello stomaco, vide che nell'aula nel frattempo erano entrati Bellegrandi e Tufi.
Con una fitta allo stomaco decisamente più forte, osservò con ansia che si stavano avvicinando alla quinta fila.
Il suo stomaco era ridotto ad un nodo strettissimo quando i due la sorpassarono e si sedettero nella fila dietro di lei, leggermente più a destra.
Sospirando, Paola tirò fuori il libro e il quaderno degli appunti, attendendo che il professor Abete arrivasse in classe.
In ritardo come al solito, Antonio Abete varcò la soglia dell'aula col fiatone, premendosi la milza con una mano.
«Bentornati ragazzi» boccheggiò, appoggiando distrattamente la borsa in pelle marrone smangiata sulla cattedra. «Avete passato una buona estate?»
Ci fu qualche «sì», un paio di «insomma» e tanto, tanto silenzio.
Dispiaciuta per la poca considerazione che la classe aveva dimostrato nei confronti di quel professore, secondo lei geniale, Poli si schiarì la voce.
«Ottime vacanze signor Abete. E lei?»
Lui la guardò pieno di ammirazione e gratitudine. Poli invece avvertiva lo sguardo insistente di qualcuno pungerle la nuca. Lo ignorò.
«Grandiose anch'io, grazie Paola. Pronti per iniziare?»
Quella era una domanda retorica, e l'uomo lo sapeva bene; scarabocchiò qualcosa sulla lavagna con la sua calligrafia illeggibile e si voltò a fronteggiare i suoi alunni assonnati e annoiati.
«Come primo argomento, quest'anno riprenderemo le due istanze di Freud...»
La mano di Poli scattò immediatamente, e il fiume di parole del professore venne trascritto fedelmente dalla ragazza, concentrata per non perdersi neanche un passaggio.
Riempì una, due, tre facciate con la sua calligrafia ordinata e "da adulto" come la definiva sua madre.
Dopo mezz'ora si accorse che il pizzicore alla nuca era scomparso da altrettanto tempo; dato che quella parte dell'argomento la conosceva alla perfezione - durante l'estate aveva letto un'edizione scolastica di un libro di Freud - decise che poteva permettersi un'occhiata alle sue spalle.
Guardo solo chi c'è, mentì spudoratamente a sé stessa.
Ma non appena si fu voltata abbastanza da vedere ma non da essere vista da quelli dietro mentre sbirciava, i suoi occhi corsero a cercare la figura pressoché perfetta di Mattia Bellegrandi.
Il suo sguardo si infranse su di lui come l'onda su uno scoglio.
Lo abbracciò con gli occhi, osservando silenziosamente ogni dettaglio del suo viso; dalla linea della mascella al labbro inferiore leggermente imbronciato, alle lunghe ciglia che sfioravano gli zigomi...
Si era aspettata di trovarlo intento ad usare di nascosto il cellulare,o a chiacchierare con Tufi. Invece il giovane era concentratissimo sul suo quaderno, e trascriveva rapidamente la lezione del professor Abete.
Si stupì. Poli credeva che la rispostaccia alla professoressa di biologia fosse stata solo una scusa per bocciarlo, ma che comunque a scuola non andasse bene. Ma a giudicare dall'impegno con cui prendeva appunti, Bellegrandi doveva essere seriamente interessato alla scuola, o almeno alla psicologia.
Il bruno al suo fianco invece scarabocchiava pigramente sulla superficie verdognola del banco, sbadigliando di tanto in tanto.
Forse doveva aver provato la sua stessa fastidiosa sensazione di essere osservato, perché ad un tratto sollevò il capo e i suoi occhi verdi si scontrarono con quelli della ragazza. La fissò curioso e divertito al tempo stesso; ammiccò e tornò a pasticciare il banco, un sorriso ad increspargli le labbra.
Poli scosse la testa e riprese ad ascoltare il professore, cercando di riacciuffare il filo del discorso.
Accolse con sollievo la mano che picchiettò sulla sua spalla; si voltò e vide Giulia Miccoli - una biondissima, altissima, magrissima e antipaticissima ragazza dallo sguardo perennemente assente -tenderle con aria annoiata un foglietto ripiegato.
Lo prese con cautela e se lo appoggiò in grembo.
Cercando di apparire il più naturale possibile, prese un profondo respiro e lo spiegò.
Spero vorrai venire alla festa che danno dei miei amici stasera
M.B.
Si accorse di aver smesso di respirare quando cominciò a girarle la testa.
Con la mano che tremava, pescò una penna dall'astuccio e, in incredibile contrasto rispetto alla scrittura ordinata di Bellegrandi, scarabocchiò:
Che amici? Dove?
Sospirando, ripiegò il foglietto e lo porse a Giulia che, come un automa , lo passò a Tufi.
Con la cosa dell'occhio Poli vide Mattia che spingeva via il bruno mentre apriva il biglietto.
Qualche minuto dopo sul foglio c'era scritto:
A via Fiore n° 24, casa Lo Presti. Stasera alle nove e mezzo.
Poli piegò con cura il foglietto e lo inserì nel diario. Non ci sarebbe andata a quella festa ma almeno - ignorò la vocina acida nella sua testa che la stava paragonando a una tredicenne in piena tempesta ormonale - avrebbe avuto per sempre una prova che uno dei ragazzi più carini della scuola l'aveva notata.
Ridendo tra sé e sé per quel suo comportamento infantile, si accorse a malapena della campanella che suonava.
Mise le cose nello zaino rapidamente, decisa a trovare un posto al primo banco alla lezione di letteratura.
Un'ombra sul banco la convinse ad alzare lo sguardo.
«Allora ci sei?» le chiese Bellegrandi, con un sorriso sghembo.
Lei deglutì con fatica. «Mi dispiace, ma... non credo di poter venire».
Tufi comparve alle spalle dell'amico.
«Eddai, ci divertiamo».
Mattia sembrò leggermente infastidito da quell'interruzione. «Va' pure Gabri, ci vediamo alla terza ora».
Il bruno annuì e, salutando entrambi con un cenno del capo, uscì dall'aula fischiettando una canzone dei Queen.
«Be', se cambi idea...»
Il moro prese una penna dall'astuccio di Poli e, recuperato un pezzo di carta dalla tasca dei jeans, ci scrisse sopra qualcosa.
Quando lo diede alla giovane, lei notò che sopra c'era una sequenza di cifre.
«Questo è il mio numero. Fammi sapere se vieni, se non vieni, se hai bisogno di un passaggio o se non trovi la casa».
Sembrava un altro Mattia Bellegrandi rispetto a quello che aveva "conosciuto" poco più di un'ora prima. Sembrava quasi un gentiluomo.
«D-D'accordo» balbettò Poli.
Lui sorrise appena, poi seguì Tufi fuori dall'aula.
La ragazza invece si accasciò contro lo schienale della sedia, provata.
Una cosa era certa: non poteva reggere un altro incontro con quel ragazzo,non lo stesso giorno almeno. Ecco perché non sarebbe assolutamente andata alla festa.
STAI LEGGENDO
L'amore è qua
Romance«Un bacio sulla guancia» era disgustato. «Di nuovo». «Sta’ zitto Gabri. Sto cercando di seguire». Il bruno non si arrese, e prese il gomito dell’amico, facendolo distrarre nuovamente. «Voglio seguire questa fottuta lezione, Gabriele. Lasciami in pac...