Capitolo 18

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Mattia fu più rapido di Paola nel reagire.
Non appena vide Sabrina in quelle condizioni, la prese in braccio, camminando in fretta verso la macchina.
«Poli aprimi la portiera!» esclamò.
Lei obbedì, permettendogli di caricare la bionda sui sedili posteriori.
«Sabri come stai?» mormorò l'amica, seduta davanti.
«Mi fa male la pancia» singhiozzò l'altra.
Mattia si mise al posto di guida e partì in fretta, schizzando ghiaia ovunque.
«Che tipo di dolore senti?» chiese il ragazzo.
Quella esitò. «Sembrano delle... contrazioni».
Mattia irrigidì la mascella. «Sabrina perché-»
«Sta' zitto» lo interruppe lei. La sentirono piangere in silenzio. Sembrava in preda al panico, e le mani premevano costantemente sul ventre.
Arrivarono in fretta all'ospedale, e quando Mattia frenò davanti all'entrata del pronto soccorso, due paramedici raggiunsero di corsa la macchina.
Paola vide il moro dire qualcosa ai due uomini, che subito dopo aprirono la portiera dell'auto e tirarono fuori di peso Sabrina, caricandola poi su una delle barelle vicine.
Paola scese al volo dal veicolo, raggiungendo l'amica.
Le prese una mano, guardandola negli occhi.
«Cos'hai combinato, Sabri?» le chiese, preoccupata.
Sentì i paramedici dirsi qualcosa. Captò le parole 'emorragia interna' e immediatamente il panico l'assalì.
La mora socchiuse gli occhi, mentre il suo corpo era scosso da una serie di tremiti violenti. Ogni tanto un gemito di dolore fuoriusciva dalle labbra socchiuse.
Paola avvertì un braccio attorno alla vita, e si sentì allontanare dalla barella. I due uomini stavano portando via la sua amica da lei.
«Lasciami, Mattia» disse, la voce tremante. «Non voglio lasciarla sola».
Le labbra del moro le sfiorarono la spalla. «Stai calma, ti prego» .Sentiva che si stava sforzando di restare tranquillo, ma la mano sinistra stretta a pugno lo smascherava.
«Ma che cos'ha?»
«Io...non lo so».
«So che hai capito qualcosa. Ti prego, Matti» lo implorò.
Lui scosse il capo e tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans. «Aspettami qui. Chiamo Cristian e gli altri».
Paola si lasciò cadere su una panchina di legno addossata al muro esterno del pronto soccorso, sospirando pesantemente, nel vano tentativo di calmarsi.
Era preoccupata per Sabrina; che fosse malata? Forse aveva una malattia grave, e gli altri lo sapevano. Tutti tranne lei.
Qualche minuto dopo Mattia tornò. Vedendola così preoccupata, la strinse in un abbraccio, sussurrandole che sarebbe andato tutto bene.
«Cristiane i suoi stanno arrivando».
«I signori Lo Presti?»
«Sono appena arrivati da Fiumicino».
«Che brutto rientro» borbottò lei.

Marta e Michele Lo Presti erano due persone di bell'aspetto, vestiti bene e, a detta di Mattia, solitamente sempre allegri.
Eppure in quel momento i loro visi erano distorti in due identiche espressioni preoccupate; la signora Lo Presti si torturava continuamente le mani, rigirandosi di tanto in tanto la fede al dito.
Ogni volta che la doppia porta in fondo al corridoio si apriva, scattava in piedi, controllando se si trattava di sua figlia.
Gabriele arrivò per ultimo, agitato e sconvolto.
«Che cosa cazzo vuol dire 'sangue'?» urlò vedendo Mattia. Si tappò la bocca con una mano subito dopo, scioccato per aver usato quel tono e quel linguaggio davanti ai Lo Presti.
Cristian lo fissò inespressivo, mentre il moro si avvicinò all'amico per tranquillizzarlo.
Poco più di mezz'ora dopo, la porta si aprì per l'ennesima volta, e un dottore comparve nel corridoio.
I signori Lo Presti, Cristian e tutti gli altri si alzarono all'improvviso, vedendo che il medico puntava verso di loro.
Marta gli andò incontro; era un uomo intorno alla cinquantina, con folticapelli e baffi grigi.
«Lei è la madre di Sabrina Lo Presti?» chiese con voce profonda.
Quella annuì; sembrava sull'orlo di una crisi di nervi.
«Dottore, la prego. Cos'ha mia figlia?» piagnucolò.
Quello si guardò intorno. «Se vuole che la prognosi rimanga riservata-»
«PARLI!» gridò Gabriele, fuori di sé.
«Sabrina sta meglio, ma ora la dobbiamo sottoporre al raschiamento dell'utero...»
La signora Lo Presti sbiancò.
«Cosa?» mormorò con voce flebile.
Cristian affiancò la madre, mentre Gabriele si lasciò cadere su una sedia, con espressione un po' insicura.
«Sua figlia ha avuto un aborto incompleto. L'emorragia è stata violenta e abbondante, le stiamo facendo una trasfusione, ma niente di troppo grave».
«Aborto incompleto?»
«Avviene quando l'utero non espelle completamente feto e placenta. Alcune parti di tessuto rimangono all'interno. In questo caso si parla di aborto incompleto. Procederemo con un intervento, vostra figlia sarà sotto anestesia. Consisterà nella dilatazione della cervice e nel raschiamento dell'endometrio, ovvero il tessuto che riveste l'utero. Si potrebbe anche lasciare che l'utero espella da solo ciò che è rimasto al suo interno nei giorni seguenti all'aborto,ma si fa raramente, e soprattutto solo se l'emorragia è leggera e la madre in buona salute. Ma come vi ho detto prima, Sabrina ha avuto un'emorragia decisamente troppo abbondante, il che preclude senza dubbio una strategia del genere».
Quando il medico finì di parlare, la signora Lo Presti sembrava sul punto di svenire.
«Mia figlia è incinta?» fu tutto quello che riuscì a dire.
«Era incinta, sì. Ha avuto un aborto spontaneo. Da quello che mi ha detto, non fuma e beve poco. La causa di questa interruzione è quasi sicuramente la sua giovane età. Durante l'aborto spontaneo, il collo dell'utero si apre, e le acque si aprono. È come una nascita prematura, infatti sua figlia ha accusato un forte mal di schiena e delle contrazioni violente, tipiche di un travaglio».
«A che settimana era Sabrina?» intervenne Cristian, pallido quanto la madre.
«Alla sesta. Ora devo andare, dobbiamo procedere con l'intervento».
Il dottore si allontanò, lasciando il gelo dietro di sé.
Cristian stava già fissando Gabriele, che sedeva immobile.
«Parla» sibilò.
Il bruno sussultò; quando alzò lo sguardo, vide che tutti lo osservarono. Chi con compassione, come Paola, Davide e Giorgio; chi con rabbia, come Cristian e i signori Lo Presti, che probabilmente avevano già intuito qualcosa; c'era chi invece lo guardava inespressivo, come Mattia, che sembrava combattuto tra due emozioni.
«Cosa devi dirci, Gabriele?» ringhiò Michele Lo Presti.
Paola vide che il moro stava cercando una via di fuga con lo sguardo. Povero Gabriele.
«Io e Sabrina siamo andati insieme per un paio di mesi» confessò.
La signora Lo Presti si fece aria con una mano, respirando in fretta.
Il marito invece diventò rosso di rabbia.
«Tu... la mia bambina... ti uccido» disse risoluto.
«Signor Lo Presti...» provò il bruno, facendosi piccolo sulla sedia.
Marta afferrò il braccio dell'uomo. «Non mi preoccupa il fatto che Sabrina abbia avuto un ragazzo. È normale a diciotto anni, Michele. Mi preoccupa che non abbiate preso precauzioni» aggiunse, osservando Gabriele.
«Ma abbiamo sempre usato il preservativo!» esclamò quello, risentito. «Glielo giuro Marta, non la sto prendendo in giro. Forse si è rotto» disse sincero.
Quella respirò a fondo, sedendosi nuovamente. Si prese il volto tra le mani, cercando di calmarsi.
Paola afferrò la mano di Mattia, stringendogliela piano.
«Che hai?» gli sussurrò.
Lui le depositò un bacio leggero su uno zigomo. «Sono solo preoccupato per Sabrina. E per Gabriele».
«Non lasciarlo solo» bisbigliò lei.
«No» sospirò il moro. «Non se lo merita. So che è sempre stato attento con lei, perché lo minacciavo» ridacchiò senza allegria.
Lei strinse più forte la mano del ragazzo. «Quindi Sabrina era incinta da sette settimane» mormorò.
Lui annuí. «Ecco perché era così strana».

I signori Lo Presti avevano appena lasciato la camera della figlia, chiedendo ogni tipo di spiegazione in merito a quella gravidanza nascosta, in merito alla relazione con il figlio dei Tufi, in merito alla sua verginità e tante altre rotture.
Paola aveva sentito gran parte della conversazione, a causa della voce squillante del signor Lo Presti, che aveva la cattiva abitudine di urlare.
Era sicura che, se Sabrina fosse stata bene, gli avrebbe risposto atono.
Non appena fu sicura che Marta e Michele fossero andati a casa, bussò alla porta della stanza, tenendo stretta la mano di Mattia, che al suo fianco la osservava attento, pronto a darle il suo sostegno non appena ne avesse avuto bisogno. Il che era ridicolo, pensava Paola, perché l'unica che aveva bisogno di sostegno era la ragazza in quella camera d'ospedale.
Udirono un «avanti» debole, leggermente scocciato.
Quando aprì la porta e la vide, Paola dovette trattenersi dallo scoppiare in lacrime.
Sabrina aveva tutto il trucco sbavato sulle guance, anche se la maggior parte doveva essersela tolta con il fazzolettino sporco di nero che tenevain mano. I capelli mori erano legati in una coda arruffata, e la testa era abbandonata sul cuscino.
Quando li vide, si aprì in un piccolo sorriso, che stonava alla grande con i suoi occhi pesti.
«Ehi Briga. Bei Boccoli» si sforzò di sorridere di più. «Credevo fossero ancora i miei».
Poli la raggiunse in fretta e le prese una mano tra le sue.
«Come ti senti, Sabri?»
«Non sto morendo» disse quella in tono lamentoso.
«Io invece sì, a vederti così» disse l'altra, con la voce che si incrinava.
La mano di Mattia prese subito ad accarezzarle la schiena.
Era ridicolo. Lei a momenti piangeva disperata e dovevano quasi consolarla in due. Doveva essere più forte.
Si schiarì la voce, ricacciando indietro le lacrime a forza.
«Sto abbastanza bene. Anche se comincia a farmi un po' male la pancia e la... hai capito» ridacchiò.
Sembrò che a Mattia si fosse rizzato il pelo. «Forse è meglio che me ne vada. Se avete bisogno sono qui fuori» disse frettolosamente, uscendo.
«E tu stai con quel cagasotto?» rise Sabrina, osservando la porta chiusa.
«A quanto pare» sorrise controvoglia l'altra.
«Paola, davvero, non sto così male» tentò l'altra.
«Mi dispiace tanto, Sabri. Vorrei poter fare qualcosa per te».
Quella distolse lo sguardo dall'amica, fissando il cielo blu chiaro fuori dalla finestra.
Poco dopo, Poli sentì la mora tirare su col naso, e si accorse con orrore che stava piangendo.
«Sabrina...»
«Ho scoperto di essere incinta quattro settimane fa» disse, con voce tremante. «Il ciclo era in ritardo, e io sono sempre regolare. Così ho fatto il test per sicurezza. E ho scoperto di aspettare un bambino. Non sapevo cosa fare...»
«Perché non mi hai detto niente?»
«Non ho detto niente a nessuno, Poli. Non volevo dirlo a nessuno, dovevo ancora metabolizzare la cosa. Poi mi sono resa conto che era una cosa seria, e volevo dirlo a Gabriele. Ma c'era il problema che Cristian non sapeva nemmeno di noi due. Superato l'ostacolo di Cristian, Gabriele mi ha piantata. È stato lì che ho iniziato ad avere paura. Mi sentivo sola e... avevo così tanta paura» singhiozzò. Parlava velocemente, come se non vedesse l'ora di raccontare tutto a qualcuno.
Poli l'abbracciò meglio che poteva, e la mora pianse per un po' tra le sue braccia.
«Avrei voluto tenerlo» disse all'improvviso. «Lo avrei cresciuto anche da sola. Dio deve avermi punita».
L'amica la fissò inorridita.
«Non dire mai più una cosa del genere, chiaro?» disse Paola, in tono quasi isterico. «Tu... tu sei una delle persone più straordinarie che io abbia mai conosciuto, Sabri! Tu sei forte, spiritosa, anche dolce quando vuoi, perché mi sei stata vicina un sacco di volte. Nessuno potrebbe mai punirti in questo modo. Il dottore l'ha detto:sei troppo giovane. Il tuo corpo non era preparato a crescere un bambino».
Sabrina sospirò.
«Sai cos'avrei voluto vedere?»
Paola scosse il capo.
«I suoi occhi. Chissà... forse li avrebbe avuti verdi».

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