•37 - La monotonia di una perfezione solitaria.

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ASH

Dopo il natale passato ad Aspen, il ritorno a New York mi ha fatto tornare con i piedi per terra.
Siamo a Manhattan da due giorni e ancora i miei genitori non mi hanno parlato.
Di fatto, si stanno comportando come due bambini. Merito davvero di essere ignorato in questo modo?

Come me, stanno evitando anche Arabella. Lei non ha ceduto, continuando a dimostrare di essere sé stessa e soprattutto senza pentirsi per la sua relazione con Grayson che, a quanto so, sta continuando lo stesso.

«Vado in camera» dico, ai miei genitori, che sono ancora seduti al tavolo a finire di bere un bicchiere di vino prima di uscire per il party annuale di natale - beh, del dopo natale - del giornale per cui lavora mia madre.

Loro non mi rispondono, solo mio padre mi rivolge uno sguardo e annuisce. È la prima  reazione che ho dopo una settimana, è un passo avanti.

Sospiro, per poi stringermi nel mio cardigan e iniziare a salire le scale.
Se vado a letto presto, eviterò di pensare a tutto quanto: ai miei genitori, ad Archie e soprattutto a Papi.

Dopo essere passato dal bagno, per sciacquarmi la faccia dalla tensione in questa casa, vado in camera con l'intento di non uscire fino a quando non sarà ricominciata la scuola.

Tuttavia, non appena entro, sento solo di voler tornare indietro.
Tutto il mio corpo si paralizza. Sono incapace di muovere un muscolo o di sbattere le palpebre.

L'unica cosa che capisco è, «biondino

Thiago è seduto ai piedi del mio letto, con una maglietta stropicciata e dei jeans stracciati. Ha appoggiato la giacca accanto a sé, mentre tiene le mani congiunte e gli occhi fissi su di me.
La prima cosa che noto è il suo viso e il fatto che abbia dei lividi.

Riprendo possesso di me, limitandomi a scuotere la testa.
«Tu non dovresti essere qui» gli dico, tremante, mentre appiattisco la schiena contro alla porta.

«No, forse non dovrei» risponde, per poi alzarsi in piedi. «Ma lo voglio sicuramente.»

Non ti avvicinare, penso quando comincia a camminare verso di me lentamente come se volesse torturarmi. Sento di non poter più fare finta di niente, perché nulla mi è costato quanto mandarlo via il giorno della partenza.

«Se tu invece non mi vuoi, allora mandami via adesso.»
Ingoio un groppo quando mi è a pochi millimetri di distanza. Fatico a sostenere il suo sguardo, così lui appoggia le sue mani dietro di me tenendomi bloccato tra di sé e la porta.

Non ho vie di fuga, ma probabilmente non ne voglio avere.
Papi mi guarda negli occhi, respirando vicino alla mia bocca e sfiorando le mie labbra con le sue. Mi concedo di sentirmi cedere, lasciando che capisca quanto mi fa sentire bene.

«Ma non credo che lo farai» dice, facendo scorrere la mani lungo la porta fino ad trovarsi vicino ai miei fianchi.

Mi lecco le labbra, sentendomi sempre più privo del mio controllo.
Lo guardo attentamente, come se cercassi di mescolare i colori dei nostri occhi, e poso le mie mani sul suo petto, afferrando la sua maglietta tra le dita.
Lui è compiaciuto del mio gesto, perché afferra i miei fianchi con forza facendomi sussultare.

«Papi» sussurro, «tu lo sai che non voglio mandarti via.»
Appoggia la mano sulla mia guancia, passando il suo pollice sulle mie labbra e concentrando il suo sguardo nel mio che si sta facendo sempre più debole.

DANGEROUS PERFECTION (Vol. 1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora