Tornato ai suoi alloggi Amane rimase seduto a lungo fissando davanti a sé il vuoto. Il caldo era fastidioso e perfino l'umidità costante lo rendeva iroso. Si chiese se sarebbe mai finita la permanenza forzata in quel Paese, che al tempo di guerra chiamavano scherzosamente zona di villeggiatura.
Pensò a lungo al tempio di Manasa, all'accordo che aveva fatto. Si sarebbe procurato il denaro che gli occorreva. Erano risparmi che risalivano agli anni della guerra, quando prestava servizio nell'esercito. Denari che sarebbero comunque rimasti intoccati. Non aveva figli a cui lasciarli, né sarebbero serviti a consolare una vedova. E da morto le monete gli avrebbe scaldato poco il cuore.
Esisteva la possibilità che l'amante del naga sadhu fosse un abbaglio. La naga era fiduciosa di poterla trovare. O la conosceva personalmente oppure avrebbe cercato di derubarlo. Avrebbe dovuto tenere in conto il voltafaccia. Se non avevano colto l'opportunità di ucciderlo e di sbarazzarsi del suo corpo in quelle vasche abbandonate, voleva dire che volevano usarlo.
Si rivolse ai libri: lo aiutavano a meditare. Per quanto le parole fossero solo dei segni illeggibili, le immagini si rivelavano facili da interpretare. Osservò la figura di un mago con una fiala in mano. L'elisir che aveva rubato agli dei gli aveva concesso l'immortalità e un impareggiabile potere sugli altri. Aveva rigettato i deva, diventando un dio lui stesso.
Ma il potere e l'eternità, lungi dal corromperlo o innalzarlo al cielo, lo resero insofferente alla vita. E mentre gli anni trascorrevano e tutto attorno a lui cambiava, egli restava ancorato al passato, incapace di farlo. La storia illustrava almeno sette tentativi di liberarsi dall'immortalità che lo opprimeva, fino a quando gli dei, impietositi, non gli tolsero il dolore e la vita.
La storia terminava con la sua morte, dando per appurato che la morte portasse finalmente pace. Portava pace, ammise a se stesso, se si erano avuti centinaia di anni per vivere. Ma se quello che si aveva erano pochi anni, e se la morte arrivava per mano nemica, non era la pace che portava, ma rimpianti e rabbia.
Sfogliò le pagine fino a trovare una nuova immagine. Era la nagini: una bambina circondata dai cortigiani intenti a venerarla, i sacerdoti che indicavano il cielo scrutandolo, i musicisti con flauti, sonagli, il sitar e la vina, e docili animali nel retroscena. Ornata d'oro da capo a piedi e abbellita in vesti vivacemente colorate, cavalcava un elefante con la mano alzata in segno di benedizione. Aveva un dolce sorriso da bambina, un viso tondo e degli occhi dorati, che sembravano sorridere loro stessi.
Amane si chiese, voltando la pagina, come quei devoti naga rappresentati nelle immagini avrebbero reagito ai nemici che l'avessero sgozzata. Si domandò se avrebbero potuto accogliere la sua morte come un atto di liberazione e finalmente uscire dalla società schiava di idoli e di superstizioni.
Non era ancora giunto a una conclusione che udì qualcuno bussare alla porta. Gettò i libri sparsi per il tavolo nel baule prima di accostarsi all'uscio.
Si arrestò sulla soglia. Daichi. Non lo aveva mai cercato per delle questioni private.
«Sergente,» lo salutò con un inchino. «Posso entrare?»
Amane si fece da parte. «Accomodati.» Cos'è successo?
Il cadetto prese posto su uno sgabello accanto alla sedia del suo sergente. Si muoveva nervosamente, grattandosi ora il collo, ora la guancia in modo distratto.
«Volevo sapere se andasse tutto bene.»
«Nella norma, Daichi.» Gli porse un bicchiere con la bottiglia di vino accanto. Versò a entrambi. «Per i nervi,» disse.
«Grazie, sergente,» chinò il capo mentre in silenzio Amane attendeva. «Ci chiedevamo,» si passò la mano sul collo. «Se sia incorso in un problema.»
Amane lo osservò con attenzione. «Ci chiedevamo... Intendi te, Itachi, Sato e Kazuya?»
Daichi rispose con un rapido cenno del capo.
«A cosa ti riferisci?»
Il ragazzo non osava alzare la testa, lo sguardo inchiodato sulle mani posate in grembo.
Dovevano aver tirato a sorte per parlargli. Che sfortuna, Daichi.
Il cadetto s'inchinò ulteriormente. «La prego di non tradirci e di non far saper che gliel'ho detto.»
«Non lo farò. Vai avanti.»
Gli parve che il ragazzo volesse sprofondare. «Il tenente è venuto a parlarci. È venuto chiedendo di lei.»
Tenente Minato, non potevi lasciar perdere, non è vero? «Una questione di routine, suppongo. Che cosa voleva sapere?» Chiese in tono distaccato.
«Ha fatto domande sul pattugliamento, ha parlato dei templi e del suo rapporto con i naga... ha chiesto della sua salute...»
«Gli avete detto la verità, non è così?»
Daichi impallidì. «Naturalmente, sergente. Abbiamo detto che va tutto bene. Come abbiamo sempre fatto.»
Amane bevve lentamente, lasciando che il silenzio pesasse su Daichi. «Molto bene, allora non c'è niente di cui preoccuparsi.»
«Sergente!» Alzò il volto di scatto. «Sergente! Non abbiamo fatto niente per diffamarla.»
Amane sorrise. «Lo so.»
Scese il silenzio.
«Possiamo fare...»
«No, Daichi. Mi lusinga che ti sia preoccupato e venuto a dirmelo. Ripongo molta stima in te. Sei un uomo con grande senso di lealtà e giustizia.»
«Non lo dica, sergente.» Era accaldato, le guance si erano arrossate e aveva le mani sudate per l'imbarazzo.
«Perché non raggiungi gli altri? Scommetto che ti stanno aspettando per sapere com'è andata.» Quando Daichi sollevò su di lui lo sguardo, Amane gli stava ancora sorridendo.
«La ringrazio. Grazie, sergente. A più tardi.»
«A più tardi.»
Una volta che se ne fu andato Amane si poggiò sul tavolo, respirando profondamente. Si portò la bottiglia alle labbra salvo accorgersi che gli tremavano le mani. Rassegnato la rimise sul tavolo lasciandosi andare sulla sedia. Si poggiò allo schienale rovesciando all'indietro la testa. Rimase così seduto ad occhi chiusi, mentre avvertiva un formicolio propagarsi dal petto e lentamente risalire fin sulla spalla, da cui raggiunse il gomito e poi le dita, intorpidendoli. Amane si immobilizzò, esalando un pesante respiro carico di paura. Per un singolo momento credette che fosse arrivata la sua fine.
Sorrise.
Era una battaglia che non poteva vincere. Esisteva un unico modo per arrestare la malattia e fermare il collasso. Avrebbe stroncato il male prima che prendesse il sopravvento. Un poco alla volta si rilassò, accettando quanto aveva da fare.
Trascorsero diverse decine di minuti. Quando tornò in sé non avvertiva né dolore né tanto meno dispiacere. Soltanto un sapore agrodolce in bocca. Andò a lavarsi. Voleva sentire ancora una volta il suo corpo forte, sotto il suo potere, mentre l'acqua fredda gli scorreva addosso. Voleva sentirsi vivo un'ultima volta.

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SEISHI - Il teatro delle ombre umane
AdventureLa guerra è naturale e inevitabile, una lotta per sopravvivere e prosperare, a scapito di popoli deboli e asserviti. Nonostante la vittoria, per volere dell'Imperatore i falchi sono stati esiliati a Patala, un territorio maledetto dalla nagini che h...