SFIORARE IL FONDO DELL'ABISSO

13 5 6
                                    

Riavendosi, d'istinto Amane sfiorò la tempia. Dovette afferrarsi la testa tra le mani, quando essa venne attraversata da una fitta violenta. Il dolore si estendeva attorno all'occhio sinistro, gli perforava la fronte, insediatosi dentro. La vista gli appariva distorta tanto che a malapena sapeva distinguere i contorni e le ombre.

«Dannazione,» si disse, poggiandosi al muro per rialzarsi.

Sentì la coppa rovesciarsi a terra e rotolare sul pavimento. Si guardò attorno con un senso di stordimento. Non riconobbe dove fosse finito, fin quando non gli si disegnarono davanti le sagome dei cuscini e dell'altare. Alcuni bastoncini d'incenso bruciavano lì vicino rafforzando in lui la confusione.

Con cautela si mise in piedi, sostenendosi con una mano la fronte. Varcò lentamente la soglia aprendo davanti a sé le porte. Nel vestibolo erano visibili tracce di sangue, macchie scure e secche che gli causarono delle fitte che vennero insieme ai ricordi. I naga sadhu che mietevano vittime. Era una carneficina: uomini trucidati, corpi decapitati giacevano attorno a loro.

Aveva la nausea. Chiuse gli occhi per riprendersi.

La dalit gli serviva viva, ma chi poteva dire se non l'avesse ferita mortalmente. Doveva versare in condizioni difficili, eppure ebbe la sensazione che quelle macchie a terra fossero sue, il sangue che non poteva essere lavato via, mai più rimosso da quel suolo maledetto.

Si passò le mani sul volto. Era stato sconsiderato, mai come prima di allora. Ripensò a come la testa delle vipere, quando queste venivano decapitate, potesse ancora mordere. Un istinto innato a uccidere. Avrebbe dovuto tenerne da conto.

Respirò a fondo. Che fosse spirata o meno, avrebbe verificato di persona. E poi sarebbe andato a parlare con Mira, dando per certo che lei fosse al corrente di tutto: la tramite di Kinari, la sua salvatrice, la sola a cui avrebbe affidato una figlia.

Dovevano essere passate delle ore. Non poteva essere rimasto svenuto tanto a lungo. L'avevano drogato forse, spostato senza uccidere temendo ancora le ripercussioni, nonostante tutto.

La visione si stava riabilitando, assumendo contorni più nitidi. Era in uno stato pietoso, voleva cercare un pozzo, prelevare dell'acqua e ripulirsi. Mai al mondo gli haku avrebbero dovuto vedere in che condizioni disgraziate versava. 

SEISHI - Il teatro delle ombre umane Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora