GLI ATAVIKA

18 4 8
                                    

Una volta che le ospiti si furono congedate e la porta chiusa, Asha si accomodò sull'ottomana, poggiandosi contro lo schienale e chiudendo gli occhi. La formalità di poc'anzi se n'era andata. Trascorsero diversi minuti prima che la naga annoverasse la presenza di Amane, che si era fermato dinanzi alla finestra fissando l'esterno.

«Vuoi condividere la tua decisione?»

«Mi hai chiesto di accompagnarti per riportare la nagini a casa.»

Gli fece un cenno perché seguisse.

«Prima di accettare voglio avere la certezza che quanto mi hai raccontato sia vero. Sulla malattia, sulla nagini, sui naga sadhu. Altrimenti è tempo sprecato, un tempo che d'altronde io non posso offrirti,» ammise.

«Che tu lo voglia o no, i nostri destini sono intrecciati.»

Lui rimase impassibile pensando a come il loro destini si sarebbe incrociati non appena avesse messo le mani attorno al suo collo.

«Siete stati banditi e isolati come se foste degli appestati. Pensi che verrete riaccolti dall'Impero come figli prodighi?» Si alzò per avvicinarsi a lui; davanti alla finestra lo vedeva in controluce. «Nessuno vi aprirà mai le porte. Voi siete i dalit per l'Impero.»

Amane la fissò con rancore stringendo nel pugno la pietra incendiaria.

«Il destino dei naga e degli haku è inscindibile. I falchi che vivono a Devi, ormai, appartengono a Devi,» disse, cercando di decifrare il suo viso.

«Non sta a te decidere se ci apriranno le porte o meno.»

«Non l'ho deciso io.»

Invece l'aveva fatto, condannandoli. Lei era la loro maledizione. «La tua razza...» emise con la voce strozzata.

«Quanto è passato dall'ultimo attacco?»

Amane non capì.

«Dai sintomi... Quando hai avuto l'ultimo attacco violento.»

Non lo sapeva. Anche rassegnandosi all'idea, il conto alla rovescia era difficile da sostenere.

«Tre, quattro giorni.» Si aspettava che le predicesse il giorno esatto della sua morte. Sarebbe stata una prova ironica e pure fatale. Avrebbe potuto risparmiarsela.

«Al tempio, domani, ti darò la tua prova. Ti porterò il siero.»

Amane rimase attonito mentre sentiva il cuore battere con irruenza e la pietra nera tagliargli il palmo.

Si schiarì la voce. «Porterai l'antidoto?»

«Ti sorprende che ce l'abbia?»

La vena del collo gli pulsava violentemente. «No. Non mi sorprende.»

«Molto bene, allora. Ti basta come prova?»

«In tutto questo tempo...» La gola secca gli faceva male a deglutire. «L'hai avuto per tutto questo tempo?»

Asha scosse il capo. «Non ho iniziato io questa guerra.»

Una guerra che non è mai finita.

«Il siero che ti darò, prendilo quanto prima. Non aspettare il prossimo attacco o finirai per rimetterci. Inoltre, abbassa le tue aspettative. Questa non è una cura definitiva.»

Serrò la mascella. Naturalmente.

«Non ce n'è una. Per sopravvivere bisogna somministrarsi periodicamente una dose.»

«Quindi anche sopravvivendo ci si rende schiavi dei medicamenti per il resto della vita.» La voce gli si incrinò.

Vide la naga sorridere in maniera cupa. «Dobbiamo mangiare e bere per il resto della nostra vita per sopravvivere. Non è sconfortante?»

Amane strinse più forte la pietra, chiedendosi se avrebbe potuto esplodere annientandoli entrambi.

«Domani al tempio ti porterò quanto promesso.»

Non si dissero altro. All'esterno, lontano dalla casa, Amane inspirò a fondo ignorando il dolore al petto. Aveva la fronte sudata e si sentiva bruciare in preda ai sintomi febbrili. Aveva con sé l'esplosivo che aveva requisito a Kinari. Se non ci fosse stata altra prova, se il siero fosse risultato inutile, avrebbe consegnato al capitano la pietra incendiaria, il marchio di fabbrica dei naga sadhu. Che lei fosse o meno un'asceta, sarebbero caduti insieme, trascinati sul fondo dell'abisso.

SEISHI - Il teatro delle ombre umane Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora