LE PREGHIERE DEGLI ASURA

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Quando il giorno seguente Amane indossò la divisa, fu con un senso di inquietudine che raccolse le armi. Una strana agitazione lo prese, come quella che gli saliva in attesa di uno scontro. Si era sempre gettato nella mischia con una calma strisciante, che lo avvolgeva poco prima di iniziare. Ma per come lo gettasse nell'irrequietezza senza dargli requie, la vigilia della battaglia lo stremava. Eppure non era la battaglia che temeva stavolta. Si guardò le mani che gli tremavano e si disse che presto sarebbe finita.

Non c'è onore nella paura, la paura è volubile, è passeggera, è corruttibile.

Inspirò a fondo cercando di calmarsi.

Tutti dobbiamo morire un giorno.

Quando salì sul cavallo non lasciò detto al comando dove sarebbe andato. Evitò i suoi uomini e partì verso il tempio. Non appena lo intravide da lontano sentì le emozioni raffreddarsi. Stando dinanzi ad esso, finalmente calmo, varcò l'ingresso per ritornare al mondo dei morti. Lì i suoi commilitoni giacevano su un suolo viscido di sangue in mezzo al nemico, gli uni accanto all'altro, immobili sul pavimento.

La celebrazione era nel suo pieno svolgimento. Furono pochi i volti che riconobbe. La maggior parte era estranea, eppure li sentiva guardarlo con disprezzo, sentiva il loro sguardo gravare su di sé e così seppe per certo che fossero giunti con un invito. La musica stessa era diversa: piena di sé e travolgente, un'antilope imbizzarrita lanciata al galoppo. Non faceva che incitare in lui pensieri accesi e violenti.

Tre donne erano di fronte all'altare. La matrona, con le ustioni sul volto, stava recitando una preghiera; i devoti seguivano il suo mantra, accompagnati da un sarangi e un tamburo.

C'era una consistente agitazione nell'aria. Le occhiate che gli venivano rivolte erano torve e sempre più frequenti. Si accorse di come i naga si stessero disponendo in modo da coprire l'uscita. Quando la donna si avvicinò a loro per una benedizione, la accolsero con diffidenza, accettando per una qualche cortesia. Non era dunque stata lei a chiamarli. 

La celebrazione fu lunga, aveva superato la sua pazienza e quella di molti uomini lì presenti. Con smania e concitazione stavano tutti attendendo una fine.

L'attenzione che aveva attirato non era stata vana. Una volta riportato al capitano quanto sapeva, la situazione sarebbe scivolata via dalle sue mani. Con la malattia che progrediva non avrebbe continuato a dirigere la squadra, né a restare nella milizia. Quello sarebbe stato il suo canto del cigno, ma avrebbe fatto in modo che il tempio di Manasa ricevesse un contraccolpo altrettanto devastante, abbastanza grave da annientarlo. La comunità che vi era nata sarebbe potuta diventare pericolosa quanto un naga sadhu.

Le sue previsioni non ci misero molto ad avverarsi. Quando suonarono le ultime note, i devoti raggiunsero la matrona, sussurrandole qualche parola di consolazione, incitandola ad andare. Ma la donna rimase e con lei due decine di naga che fremevano nell'attesa come uno sciame di api inquieto. 

Amane rimase a guardarli poggiato contro una scultura marmorea su cui si avvinghiavano delle serpi, mentre essi camminavano cauti conversando piano fra di loro.

«Un falco caduto fra di noi, deve essere una benedizione,» gli si rivolse un naga con la voce bassa che quasi tremava dall'eccitazione. 

«Un falco appartiene al cielo, le serpi alla polvere. Potrai vederla come una grazia; per me invece è una maledizione.»

«Che fine credi che facciano i falchi con le ali spezzate?» Gli chiese una donna con spregio.

«Gli asura non credono alla vita eterna. Tanto meglio! Magari i deva vi concederanno di non averla.»

«Non vedo deva qua. E se non ci sono deva, non ci sarà neanche la vita eterna.» Lontano da loro, accanto all'altare, si accorse della musicista che riponeva il sarangi, mentre la matrona le sussurrava qualcosa. «Chi sarà il primo a vedere se i deva esistono davvero?» Si rivolse a un altro viso. «Chi muore dalla voglia di andarli a trovare?»

Pieno di sprezzante orgoglio, un uomo sollevò la mano. Al suo cenno i naga iniziarono a estrarre le armi, fra cui pugnali, martelli, zappe e pietre, nascoste all'ingresso del tempio per poter entrare. C'era della soddisfazione in quei volti che fra ghigni e smorfie non chiedevano altro che una resa dei conti.

Il tintinnio della campanella aleggiò in aria.

I naga si voltarono impazienti. Ferma sulla porta, la ragazza che aveva suonato il sarangi subì le loro occhiate senza battere ciglio, il viso ancora velato li squadrava con uno sguardo borioso.

Approfittandone la matrona prese parola. «Ricordate ancora che cosa significa entrare nella casa dei deva? Avete dimenticato del disonore di portare le armi in un tempio? Avete dimenticato il rispetto?» 

«Vostra signora naga vi ha parlato,» osservò Amane in tono di scherno.

I naga la guardavano con faceto disprezzo. Ma lei, con la dignità che aveva, si voltò verso Amane. Con i palmi congiunti all'altezza della fronte piegò il capo. «Mi inchino a te, haku. Osserva le nostre usanze con la cortesia di un ospite.»

Amane la squadrò con interesse mentre dietro di lei scorgeva i naga reagire con modi ostili, i muscoli tesi e i visi contorti in smorfie di odio e di disapprovazione.

«Non mancheremo di rispetto né a te né ai deva. Lo trascineremo fuori e risolveremo la questione in silenzio.» Alle sue spalle gli uomini si muovevano con frenesia.

«Non voglio né sangue né armi,» dichiarò lei con un'occhiata severa rivolta a loro. «Voi c'eravate quando il tempio è caduto in disgrazia? O quando c'era da risollevarlo? Se l'haku non peccherà contro l'ospitalità, voi non sarete da meno.»

«Senza sangue e violenza ti violenterà e brucerà la casa di Manasa, Mira,» la avvertì una naga stringendo con aggressività la zappa.

«Non è solo la casa di Manasa questa. Questa è la casa di tutti i deva. Anche gli asura pregano,» si lasciò sfuggire.

Un vociare si alzò fra la folla. «Hai detto bene, sono demoni. E i demoni non pregano deva, pregano spiriti maligni

Amane seguì quella conversazione con calma, mentre i naga si rivoltavano contro una donna come loro. Li sentì parlare nella loro lingua, colse offese e critiche abbattersi su di lei con sprezzante indulgenza.

«Gli haku pregano i loro antenati.» La sentì prorompere.

«Basta così!» la sua voce tuonò nel tempio esigendo il silenzio. Li osservò finché non tacquero. «Non ci sarà bisogno di sangue. Ciascuno di voi oggi tornerà a casa, dalle vostre donne e bambini. Senza un graffio, senza ribellarsi contro il governo, senza sangue addosso.» Attese scrutandoli uno ad uno. «Mi è giunta voce che fra di voi si nasconde un naga sadhu. Uno spettro del passato e un codardo. Sopravvissuto ai suoi fratelli, non ha avuto il coraggio di battersi per la loro vita, fallendo la sua missione nei confronti dei suoi uomini e nei confronti dei deva.» 

SEISHI - Il teatro delle ombre umane Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora