Quando entrò nel Mandir, con la divisa della milizia indossata di proposito, si trovò davanti un centinaio di fedeli che seguivano la celebrazione. Una fila di scarpe accatastate le une sulle altre attendeva nell'anticamera che precedeva la sala.
«Non sarà la prima volta?» Un naga dalla pelle scura lo stava guardando, accennando agli stivali ancora indosso. La voce del vecchio dalit era ruvida, la bocca sdentata, ma l'atteggiamento era tutt'altro che ostile. Amane gli rivolse un cenno, procedendo a togliersi gli stivali e a disporli in fila insieme ad altre paia di calzari.
Si ritirò verso la navata laterale, nascosto nella penombra e fra i pilastri che lasciavano scoperta la sala centrale in piena celebrazione, con musica e canti profusi dai fedeli.
Quando i naga entravano nel tempio, una campanella risuonava allegra fondendosi con la musica del sarangi. I fedeli portavano con sé le offerte. Mentre la celebrazione era ancora in corso, le lasciavano sull'altare in mezzo ai fiori e ai dolci speziati. Si scambiavano dei rapidi cenni prima di unirsi al canto. Ma le voci correvano, dei bisbigli che i naga si passavano l'un l'altro e poi a stento trattenevano gli sguardi pur di non attirare l'attenzione dell'haku. Le donne si coprivano tirando il velo sul capo, stringendo per mano i bambini abituati a correre per il tempio. I ragazzini per questo lo fissavano senza ritegno, alcuni lo indicavano con il dito ridendo del suo aspetto.
Amane si spinse in avanti a osservare lo spettacolo che erano venuti a contemplare con le loro preghiere e i canti. Era circondato dal profumo di legno e di resina; l'odore d'incenso si mischiava a quello del fumo e spezie. La sua divisa ne era pregna: l'avrebbe lavata una volta tornato a casa, strofinato per eliminarne ogni sentore. Restarne imbevuto lo disgustava.
Il tempio che aveva pensato abbandonato era stipato di vita, una vita esaltata, carica di fede e di speranza. Era un tempio colmo di musica, un fluire dinamico, armonico e incredibilmente dotato, che animava i naga e li univa in una comunanza sacra.
Il misticismo lo esacerbava. La cantilena che andava avanti con una cadenza ritmica e note penetranti aveva del potere ipnotico. Come l'oppio annebbiava il dolore, sedava i sentimenti e conduceva all'apatia, il mantra calmava gli spiriti e portava all'euforia. Fuori dal tempio ne avrebbero voluto ancora, e ancora sarebbero tornati, per quietare dolore e sentimenti.
Una naga con indosso il velo suonava il sarangi; seduta su un cuscino guidava la cantilena. Non poteva scorgere il suo viso, velata com'era in tutto se non per gli occhi, ma le dita delicate si muovevano sicure fra le corde comandandole con una mano. Con l'altra dirigeva l'archetto imprimendo melodia alle stringhe che altrimenti sarebbero rimaste mute.
Una donna camminava con movimenti lenti e aggraziati fra i naga. Segnava con l'anulare destro un punto sulla fronte, lasciando della polvere rossa fra le sopracciglia.
Passando di volta in volta accanto ai fedeli, si fermò davanti ad Amane con la mano alzata, riabbassandola nel rendersi conto che si trattava di un haku. Si fissarono brevemente, dopodiché la naga si voltò altrove, tornando a benedire senza più volgere verso di lui lo sguardo. Ma i suoi occhi lo avevano visto e non ne erano rimasti impressionati.
Amane continuò a seguirla avendo dinanzi l'immagine del suo volto deturpato dal fuoco. Profonde cicatrici le percorrevano il lato destro del viso, il mento, la guancia, fino a intaccare lo zigomo. La pelle risanata era scura e deformata, sfigurava i lineamenti che sarebbero stati gradevoli se non fosse per le vecchie ustioni.
La musica proseguì in tono vibrante, si liberò in maniera selvaggia acquistando una vita propria. Traeva in sé uno spirito di libertà irrefrenabile, eppure il suo protrarsi a lungo lo stava stordendo.
Quando la cerimonia finì, diversi devoti avevano già abbandonato il tempio. Fu una processione veloce quella in cui i naga si diressero all'uscita, che culminò con la quiete e un silenzio in cui aleggiava il ricordo delle ultime note.
Le due donne che servivano al tempio raccolsero le offerte da portare nella stanza interna del Mandir. Sistemarono quanto era rimasto della celebrazione, presero con sé i doni e una volta che si furono inchinati all'altare, si risolsero ad abbandonare il tempio.
«Per essere un luogo che ha visto così tanto dolore e sangue, Manasa è tuttora grondante di vita,» proruppe Amane.
La naga si fermò in mezzo alla navata rivolgendogli un inchino con le mani giunte davanti al petto.
«Lode ai deva,» rispose con un tono pacato. «Che continui a esserlo.»
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SEISHI - Il teatro delle ombre umane
AdventureLa guerra è naturale e inevitabile, una lotta per sopravvivere e prosperare, a scapito di popoli deboli e asserviti. Per volere dell'Impero, nonostante la vittoria, i falchi sono stati esiliati a Patala, una terra diventata maledetta dopo la morte d...