LENIRE IL DOLORE E IL SENTIMENTO

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La dalit raccolse da terra la spada. La rigirò osservando l'elsa dello tsurugi e poi la lama, prima di rivolgere la punta sul pavimento e tracciare un segno stridente sul marmo. I naga sibilarono rivoltandosi contro di essa.

«Dille di posare la spada, Mira, o qualcuno si farà male.»

«Volete attirarvi addosso l'ira dei deva? O quella degli haku? Quanto stupido è venire qui, armati, a minacciare un uomo della milizia?»

«Stai sbagliando, Mira,» la accusò uno degli uomini nella loro lingua.

Amane vide i naga farsi impazienti; gli lanciavano sguardi eccitati, pieni di rabbia e di aspettativa.

«Allora fai che sia la sola a portarne le conseguenze, Yamir, o preferisci che ricadano sulla tua famiglia?» Gli si rivolse con uno sguardo severo e la voce tagliente.

«Non ti vogliamo coinvolgere. Vattene. Domani sarà un giorno diverso. Non vedrai né noi né l'haku

Mira si erse indignata. «Mi stai chiedendo di passare sopra un omicidio

«È la milizia quella di cui stiamo parlando

«Pure fosse uno scarafaggio. Ma non qui, non davanti ai miei occhi,» emise appuntandogli contro lo sguardo.

Un uomo aveva preso a passarsi di mano in mano la pietra con scatti agitati, fremendo dalla voglia di scagliarla addosso all'haku, né avrebbe resistito a lungo, se non fosse stato per la spada che graffiava il pavimento con suoni aspri e minacciosi. L'haku non era sicuro che la dalit la sapesse usare. La brandiva come avrebbe brandito un bastone da passeggio e perfino la matrona sembrò irretirsi e perdere il filo un paio di volte, distratta dallo stridore. Ma nessuno si fece avanti per provare sulla sua pelle quanto bene la sapesse maneggiare.

«Ti avverto, Mira, le conseguenze...»

Amane esercitò ulteriore pressione sul polso della ragazza, che emise un grido strozzato attirando l'attenzione dei naga. Fra quei volti Amane incrociò lo sguardo di Mira. Lei fece appena un cenno del capo, prima di rivolgersi con un'espressione tesa ai naga.

«Molto bene. Fate di lui quel che volete.» Lo stridio sul pavimento cessò e Mira arretrò di un passo. «Ma se dovesse succedergli qualcosa, sarò io stessa ad andare dalla milizia e a riferire il fatto. E sulla vostra coscienza peserà il tempio di Manasa e tutta la comunità che gli sta attorno. La distruggerete con le vostre mani e che Manasa vi maledica se lo fate.»

I naga imprecarono lividi di rabbia.

«Vuoi morire anche tu con lui?» La minacciò Yamir con lo sguardo che schizzava da lei all'haku.

Mira sollevò il mento. «Fai pure. Tutti voi!» Passò lo sguardo sulla folla. «Ammazzate me pure, saprete voi cosa rimarrà allora

Stavolta Amane fu sicuro che la pietra avrebbe raggiunto prima lei, sebbene poi, guardando con più attenzione, notò che i naga temessero le conseguenze e non volessero toccarla. Se non la rispettavano come sacerdotessa o donna, qualcosa in lei dovevano pur tenerlo con riguardo. Con le espressioni sconcertate, tradite e rabbiose la maledivano; pur non osando prendere l'iniziativa, non potevano neppure andarsene. Mira li aveva intrappolati in una situazione senza uscita, perfino lui se ne rendeva conto: fosse stato lì al loro posto non avrebbe avuto scelta che ammazzarli entrambi.

«Pagherò il silenzio dell'haku

Una naga la fissava delusa nella sua frustrazione. «Come osi trattare con loro, Mira? Ti credevo migliore. Pensavo che avessi una dignità, non ti è rimasto un po' d'onore a trattare con il nemico, un invasore?»

Amane riconobbe la vergogna che lì sul momento la fece vacillare. Fu sul punto di minacciare nuovamente la ragazza e rivolgersi a loro per l'ultima volta prima di estrarre il tanto e fare strage di quei naga.

Mira tornò a ergersi, assumere severità sul viso. «Vendendo la mia dignità sto comprando la vostra sicurezza, Rani. Se questo mi fa poco onore, tanto vale morire senza

«Ti stai...»

«Andate.» Fu tutto ciò che disse senza battere ciglio, mentre i naga tentarono di appellarsi a lei di nuovo. Li ignorò limitandosi a fissarli, senza più alcuna indulgenza nel suo sguardo.

Uno alla volta i naga uscirono. Con rabbia alcuni di loro scagliarono a terra le armi, provocando frastuoni che si diffusero come un rombo attorno al tempio. Ma non si voltarono né richiesero la testa dell'haku.

«Porta via Kimaya,» Mira si rivolse alla dalit a voce bassa.

La naga osservò il volto della matrona, dopodiché avvicinando la testa alla sua quasi a sfiorarle la guancia, le sussurrò addosso: «So cosa hai fatto, Mira.» E stavolta la grinta della donna sembrò crollare.

«Asha, ritorna a casa. Ti prego, soltanto per stavolta, fai come ti dico.»

La naga sorrise.

Resosi impaziente da quello scambio Amane guardò la dalit venirgli incontro. Le sue lente movenze esacerbavano la sua pazienza e fu con sollievo che mandò via Kimaya non appena la naga gli porse la spada. La guardò brevemente soffermandosi sugli occhi, rendendosi solo allora conto che doveva trattarsi di una thari. La gente del deserto era imprevedibile, subdola e inaffidabile. I suoi occhi ambrati erano come loro. Un serpente delle dune, lontano da casa, marchiato a vista per i suoi crimini.

Le prese lo tsurugi di mano rimettendolo nel fodero. Si sentiva spossato; si poggiò contro un pilastro che delineava il confine fra le navate, riprendendo fiato. Il braccio sinistro era al suo fianco inerme. I minuti passarono senza che avvertisse alcun miglioramento. Doveva parlare alla ragazza, si disse. Doveva chiederle che cosa gli avesse fatto, prima di tornare da Mira e interrogarla.

Ma la ragazzina, Kimaya, era scappata, sgusciata via e scomparsa nella cella dietro l'altare.

Amane la seguì cercando di muovere la mano sinistra, attirato dalle note del sarangi che lei aveva iniziato a suonare. Vedendo Mira prendersi cura delle armi abbandonate nel tempio si fermò pensando a come lo avesse difeso.

«Grazie,» le disse rivolgendole appena un cenno. La donna rispose con un lieve inchino. «Sono fortunato ad averti incontrata nel tempio. Se fosse stato altrove, non avresti protestato contro il mio sangue che inzuppava la terra.»

Non sembrò capire.

«Se mi avessero braccato nei giardini, avresti tollerato l'omicidio?»

«Buon dio, haku, ti credevo più saggio,» si appellò a lui esterrefatta.

Amane le passò accanto andando a raggiungere la porta. Dovette far forza per scostarla, era pesante e il braccio era più stremato di quanto pensasse.

La ragazza era seduta sui cuscini con in grembo il sarangi. Si stava massaggiando il polso. Il velo era abbassato sulle spalle. In piena sorpresa Amane si bloccò all'entrata. Il suo volto, per quanto giovane, era un riflesso di grazia: le gote delicate e piene come petali di una begonia, le labbra come pane fresco e lievitato. Al di sotto della fronte, le sopracciglia evidenziavano gli occhi scuri e penetranti, rivolti verso una mano leggiadra, estremamente femminile e raffinata.

Lo guardò risentita, dopodiché con lentezza e di malavoglia tornò a coprirsi. Il suo sguardo non lasciava la dalit che disposta a terra beveva dal suo calice, seguendo pigramente i movimenti dell'haku. 

SEISHI - Il teatro delle ombre umane Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora