Fra gli ufficiali, le voci giravano per davvero. Ma quando si veniva all'oppio i discorsi si facevano criptati e tanto seri, quanto il tentativo di coprirsi l'un l'altro. Non erano neppure inclini a discutere di Kinari e Amane fu costretto seguirla fino a casa per sapere dove abitasse.
La donna viveva con le figlie e suo nipote. Il genero, come scoprì Amane, tornava per cena a giorni alterni, rimanendo poi a dormire. In sua assenza e con un marmocchio di mezzo, le naga avrebbero collaborato più volentieri.
La casa di Kinari era attigua al piccolo tempio, dedicato alla dea Lakshmi. La sagoma del tempio, ora silente e scura, era illuminata appena dalla tiepida luce che usciva dalle finestre schermate al primo piano. I ricami finemente cesellati del legno, non lasciavano intravedere l'interno, ma le voci alte e vivaci si udivano fin sulla strada.
Il secondo piano invece era quieto: né voci ne venivano né luci, lasciando nell'ombra i balconi sporgenti, protetti da balaustre e sormontati, oltre la cupola, da archi inflessi. Il tetto esprimeva a suo modo l'opulenza, con una terrazza estesa coperta di vegetazione. Pure ci fosse stato qualcuno a osservarli, sarebbe stato troppo tardi per dare l'allarme.
Nessuno si rese conto della loro presenza fin quando il ragazzino non venne correndo in salotto. Sato si posò l'indice sulle labbra, con un ghigno divertito sul volto. Il ragazzino dardeggiò fuori con un'espressione spaurita in viso e squittendo andò a rifugiarsi in cucina. Parlando nella lingua naga, una giovane donna con il sari addosso si affacciò sul salotto, trattenendo a stento il fiato. Indietreggiò chiamando con voce acuta la madre.
Entrando nella stanza con un'espressione severa e abiti più semplici di quanto non lo fossero nella casa di piacere, Kinari si immobilizzò, trovandosi davanti cinque uomini della milizia che avevano violato la sua casa, interrompendo l'atmosfera intima e familiare. Si sentiva violata lei stessa mentre, con uno sguardo che passava dal terrore all'ira, con un gesto istintivo indicava alla figlia di andarsene nell'altra stanza.
La figlia si era impanicata e non osava lasciare la madre. Le aveva afferrato il braccio e le parlava in maniera insistente facendo domande. Gli haku sparsi per la stanza avevano coperto le uscite, mentre silenziosi e immobili, con abiti scuri ed espressioni indecifrabili, attendevano. Si poteva attribuire qualsiasi intenzione, fra le più malvagie, a un volto che non comunicava.
«Permetti, Kinari?» Amane prese posto sulla sedia imbottita accanto a un delicato tavolino, decorato con fregi e una patina dorata. Indubbiamente la sedia apparteneva al capofamiglia.
«Andatevene,» bisbigliò Kinari con ferocia. Non era chiaro se fosse rivolto alla milizia o alle figlie, quando anche la seconda si avventurò per raggiungere la sorella. Kinari dovette liberarsi dalla presa della ragazza per porsi di fronte ad Amane. Si sedette su uno sgabello che trovò accanto allo scaffale, pur di marcare fisicamente la linea fra la milizia e la sua famiglia.
«A cosa devo il piacere? A chi devo il piacere?» Sedeva a schiena dritta, gli occhi intenti a scrutare, uno sguardo intelligente che vagliava ogni possibilità nei brevi attimi in cui parlava.
«Voglio discutere con te di alcuni affari.»
«Privati. Devono essere privati se osi entrare in casa mia senza che ti abbia invitato.»
Amane rimase immobile, guardandola con noia. «Quando si parla di affari, il tuo nome salta fuori più spesso sulla nostra lista. I bordelli che gestisci non sono l'unica impresa che hai, dico bene? Ricevi visite incessanti e di tutti i tipi.»
«Pure degli haku,» dichiarò gettando un'occhiata loquace ai due degli uomini che riconosceva. Aveva trattato con loro diverse volte, e non solo per una questione di donne. Si tormentava nel tentativo di trovare un motivo per quella visita tanto brusca quanto sgradita. «Perché non ci trasferiamo tutti altrove? Priya, porta tua sorella in cucina,» le ordinò senza rendersi conto che stava ancora parlando nella lingua haku.
Priya tirò la sorella, ma la ragazza, figlia maggiore nell'età e nell'aspetto, rimaneva nel salotto, intontita dalla presenza della milizia. Non era capace di distogliere da loro lo sguardo. L'insubordinazione della figlia riempì Kinari di rabbia e di vergogna.
Si alzò decisa a guidarli via, salvo per poi accorgersi che il sergente fosse l'unico a seguirla. Si fermò esitando. Con un gesto brusco Amane le indicò di procedere. Sibilando, con i nervi tesi e un'espressione tirata, Kinari lo condusse in una stanza privata. Affacciata sul cortile interno, era abbellita da affreschi che mostravano giardini lussuriosi e alcune divinità immerse nel piacere. Doveva servire ad accogliere amici intimi e familiari, con mobili comodi e raffinati, la superficie laccata che riluceva alla calda luce della lanterna.
Amane si sedette sull'ottomana, di fronte a lui Kinari, con il tavolino da tè che li separava. A terra, tra di loro, erano sparsi cuscini vermigli su un morbido tappeto ricamato con delicati motivi floreali.
«Perché non richiami i tuoi uomini, haku? Si troveranno più a loro agio a parlare di affari in un contesto più discreto. Non è per questo che siete qui?»
«Le nostre opinioni divergono, Kinari. Detto fra noi, si sentiranno più a loro agio con le tue figlie.»
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SEISHI - Il teatro delle ombre umane
AdventureLa guerra è naturale e inevitabile, una lotta per sopravvivere e prosperare, a scapito di popoli deboli e asserviti. Per volere dell'Impero, nonostante la vittoria, i falchi sono stati esiliati a Patala, una terra diventata maledetta dopo la morte d...