Amane ritornò ai suoi alloggi con la nausea e un'emicrania tali da lasciarlo stordito. Si lavò con l'acqua fredda prima di sistemarsi alla scrivania sommersa di papiri e volumi. Aveva studiato le immagini cercando di estrapolarne un qualche significato, ma non era stato in grado di tradurle in qualcosa di concreto.
La lingua che gli haku parlavano si era sparsa fra tanti popoli per motivi economici e commerciali. Era la lingua privilegiata per affari e questioni diplomatiche. Con la guerra la sua importanza era cresciuta, diventando una delle lingue ufficiali presso molti Stati, compresa Patala. I testi religiosi, tuttavia, non erano mai stati intaccati e la cultura naga restava in gran parte a loro inaccessibile.
Le mani gli tremavano, la sinistra più della destra. Ripensando a come i sintomi fossero comparsi si chiese, in fondo, se la malattia non fosse il risultato di un autoinganno.
Osservò la pagina con quella che gli sembrava essere la figura di un medico. Accarezzò l'immagine chiedendosi se non contenesse una qualche formula di guarigione. Non era una coincidenza: la malattia doveva essere un'opera umana. Mai avrebbe ammesso l'esistenza divina e mai si sarebbe sottomesso ad essa. Non restavano che naga.
Le prime vittime erano morte a Devi, guerrieri e soldati che avevano combattuto in prima linea. Erano succedute loro altre morti fra i personaggi imminenti. E per finire i civili, gli haku che non avevano mai combattuto o brandito un'arma.
Era una terra maledetta. Dovevano conquistarla invece di restarne intrappolati. E ora non avevano dove andare. Che la nagini potesse portare prosperità e pace per tutti loro era una speranza folle, pure ingenua. Cionondimeno avrebbe potuto agire da deterrente. Una volta calmati gli animi dei naga non si avrebbe avuto bisogno di sopprimerli continuamente. Se l'epidemia non si fermava, avrebbero dovuto esercitare un potere diverso.
Forse un giorno, impietosendosi, l'Imperatore avrebbe riaperto i confini.
Era un pensiero sciocco. Con amarezza Amane pensò che non l'avrebbe mai più rivista, non avrebbe più rivisto i suoi genitori, non avrebbe pregato gli antenati nella tomba di famiglia. Non soltanto sarebbe morto, sarebbe stato tagliato via dalle sue radici. Era un destino umiliante e vergognoso, degno di nomadi e vagabondi, non di guerrieri. Eppure ora era pure il suo.
Richiuse il libro. Si abbandonò sulla sedia guardando il cielo dalla finestra aperta. Era buio, le stelle si vedevano appena. Un velo di sudore gli copriva il volto in quella stanza umida e afosa.
Lui non apparteneva lì. Odiava quella terra, il suo clima tropicale, gli insetti, l'afa che si alternava a piogge torrenziali, tanto il cibo quanto gli animali, fra le scimmie e i serpenti che popolavano le strade.
Una volta fatto il possibile per trovare la nagini, se ne avesse avuto la forza, sarebbe tornato sulle montagne. Se non poteva morire fra la sua gente, sarebbe morto nella terra in cui aveva trovato pace, dacché aveva deciso di abbandonare Devi. Il pensiero gli tenne compagnia e gli allietò la notte, fin quando non si rese conto che ovunque fosse stato, sarebbe morto solo e poi dimenticato.
A tre giorni di distanza da quando aveva prestato visita a Kinari, era andato a cercarla nel suo locale. Trovò la naga invecchiata di parecchi anni, meno sicura di sé e con un volto tirato e cupo. Al vederlo Kinari si rasserenò perfino, mostrando una cortesia fredda e studiata. Lo guidò lungo un corridoio e successivamente giù per le scale, verso una stanza sotterranea che fungeva da dispensa e da ufficio. Era ricolma di scatole in legno e bauli, scaffali erano addossati alle pareti, contenenti carte e svariati registri, con annotazioni malmesse che spuntavano dall'interno.
«Le informazioni che ti avevo chiesto, Kinari.»
Lei gli indicò il posto sulla sedia vuota, una volta che si fu seduta dietro la scrivania. Amane osservò la sua postura, il volto fermo e un'espressione decisa: voleva negoziare.
«Non ho trovato la nagini, non so neanche se ne esiste una adesso. Se ne sente parlare, ma se ne sentiva anche prima.»
«Quindi non hai niente per me.»
«Affatto.» La sua voce si alzò di tono. «Non posso darti la nagini ma voglio proporti uno scambio, qualcosa che potrebbe davvero interessarti.»
Niente più gioielli e ori, suppongo.
Con un lieve gesto della mano, Amane la esortò ad andare avanti.
Il labbro di Kinari tremava. «Ti propongo un naga sadhu.»
Amane rimase impassibile. «Un naga sadhu?»
«Quanti dei vostri hanno ammazzato? Quante navi vi hanno bruciato? Te lo ricordi?»
Amane ricordava. L'esercito di Patala aveva resistito grazie al loro intervento, una grande forza fisica, eccellenti abilità nel combattimento e delle tecnologie mai viste prima, come la pietra incendiaria che avevano sviluppato. Erano chiamati tagliatori di teste.
Con la caduta di Devi, il nuovo governo li aveva ferocemente perseguitati fino ad annientarli. Pur non venerando la nagini, si erano messi al suo servizio e il giorno della sua morte, erano stati in molti a combattere per lei, dapprima tentando di difenderla e poi di vendicarla.
«Ricordi anche la strage di Manasa?»
La strage di Manasa. La fissò con il battito che accelerava; le narici dilatate mentre inspirava a fondo.
«La più grande strage dopo quella del Mandir di Uma Devi. Centinaia di asceti massacrati, ma i naga sadhu vi hanno dato del filo da torcere. Per uno ammazzato, sono caduti tre asura.» Kinari si sporse verso di lui al di sopra del tavolo. «Un naga sadhu ancora in vita.» Cercò di ingaggiare il suo sguardo. «Scampato alla persecuzione. Un tagliatore di teste ancora in vita dopo aver trucidato i tuoi simili. Accetti lo scambio, haku? Mio nipote in cambio del naga sadhu?»
Amane si poggiò allo schienale incrociando le braccia, vide le mani di Kinari in preda a un tremito. Piegò il collo all'indietro. Aveva combattuto con i naga sadhu, aveva visto i suoi uomini cadere per mano loro. Aveva preso d'assedio il tempio di Manasa, partecipando al loro sterminio.
«Haku?» sussurrò Kinari con urgenza. «Accetti lo scambio?»
Amane si alzò lentamente. Poggiando le mani sul tavolo si sporse verso di lei, fissandola. «Dovrai convivere con la consapevolezza che avresti potuto salvarlo, ma non l'hai fatto, e il ragazzino è morto per la tua inezia. Arrivederci, Kinari. Non mi farò più vivo.»
Le diede le spalle, sul punto di andarsene.
«Ho parlato alla sua amante!» Kinari scattò in piedi. «Ha detto che la morte della nagini ha scatenato l'epidemia e soltanto con il suo ritorno la farà finire.» I suoi occhi luccicavano ricolmi di un folle spregio. «E io spero che non arrivi, fino a quando l'ultimo di voi non è stato soppresso.»
Amane si voltò e con impeto violento sbatté le mani sul tavolo facendolo traballare. Kinari sobbalzò con un'espressione orripilata sul volto. «Fai sapere al tuo naga sadhu che presto raggiungerà la nagini nell'eterno nulla. Se noi cadremo, vi battezzeremo nel fuoco. Di Patala non resteranno che rovine e polvere.»
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SEISHI - Il teatro delle ombre umane
AventuraLa guerra è naturale e inevitabile, una lotta per sopravvivere e prosperare, a scapito di popoli deboli e asserviti. Per volere dell'Impero, nonostante la vittoria, i falchi sono stati esiliati a Patala, una terra diventata maledetta dopo la morte d...