Un vociare si sollevò fra i naga. C'era confusione, sorpresa, negazione. Vide la folla disgregarsi nelle sue reazioni vinte dall'incertezza. Mentre i bisbigli cessavano gli sguardi sempre più spesso correvano alla matrona. Anche Amane si trovò a fissarla senza rendersene conto fin quando il silenzio non divenne pesante.
Presa in contropiede, Mira gli restituì lo sguardo. Si sentì smarrita lì sul momento ma le bastò un'occhiata alla ragazza velata per riprendere il controllo sulla voce, che le uscì ferma e perfino serena. «I naga sadhu sono tutti estinti, caduti per mano vostra. Sono stati massacrati qua dentro. Qualunque cosa tu stia cercando mi impegnerò ad aiutarti. Ne discuteremo tranquillamente, faccia a faccia, senza coinvolgere altri che sono estranei a questa faccenda.»
Amane distolse lo sguardo. C'era del particolare ardore in lei che contraddiceva il suo tono pacato e gesti dosati, eleganti nei suoi atteggiamenti un poco tesi. Sta mentendo, si disse, ma poi cedette al dubbio. Sta mentendo?
«Asura,» gli si rivolse uno degli uomini naga. «Chiunque abbia diffuso questa voce si stava prendendo gioco del nostro passato. Ti hanno preso per i fondelli.»
«Menzogne.»
«Demonio.»
«Empio.»
Attorno a lui sentì bisbigliare. Le mani iniziarono a tremargli.
Non ancora, si disse.
«Che karma ti serva a dovere.»
Amane scattò in avanti afferrando la naga. La colpì al ginocchio spingendola a terra, mentre con la mano sinistra estraeva la lama e gliela posava sull'aorta. Piombò di nuovo la quiete che lungi dal portare pace mozzava il respiro.
«Haku...»
«La vita di una donna, che al tempio ha preso il posto di un uomo, non vale poi così tanto. Non varrà la vita di un naga sadhu. Ma ogni giorno, a partire da oggi, una donna come lei morirà finché...»
Un suono lacerante uscì dal sarangi quando sfregamenti metallici presero a dominare il tempio. Un sibilo acuto trafisse l'aria con tale inaspettata violenza, che Amane allentò la presa sulla donna per afferrarsi la testa. La naga gli sfuggì scansando sia la lama che il braccio. Quando tentò di ghermirla, Mira scivolò di lato tirandolo con tanta forza che Amane si sentì trascinare in avanti.
Approfittando di quella distrazione un naga gli si gettò addosso agitando in alto l'accetta. Amane lo scansò, usò l'elsa per ferire il braccio con cui l'attaccava. Lo disarmò fra le note strozzate del sarangi, gettandolo a terra con un moto di repulsione e disgusto.
Brandendo attrezzi da lavoro piuttosto che armi, i naga lo guardavano con un gran odio e stavolta paura. Li soppesò con lo sguardo, sfidandoli perché osassero venirgli incontro, mentre sentiva gli stridii violenti annidarsi in testa come se fossero un urlo disumano.
Si aprì la strada fra i naga, avanzando verso la dalit che fissava l'altare. La sua pelle scura era sfigurata dai tatuaggi che scorrevano dal collo fin sulle mani, non risparmiandole neppure il viso. Fra gli haku soltanto servitori per costrizione e i criminali venivano marchiati.
L'haku sfilò la spada puntandogliela contro. All'istante la giovane e minuta musicista si frappose tra loro, prendendo le difese della dalit e proteggendola con il suo corpo.
«Kimaya!» la chiamò Mira con un timbro acuto, la voce che le tremava.
Amane guardò negli occhi Kimaya ed ebbe la sensazione che fosse niente meno che ragazzina. Abbassò appena la spada vedendola animarsi come un gatto selvatico. Ma la sua stupidità riuscì perfino a coglierlo di sorpresa quando calò su di lui un paio di fendenti con una katara.
«Risparmiala, asura!» proruppe la voce di un naga quando Amane la afferrò per il polso e glielo torse facendo cadere l'arma.
La ragazzina si dimenò, lo graffiò, cercò di scalciare. Bastò un po' più di pressione che con un atteggiamento mansueto smise di dibattersi.
«Con il polso destro spezzato, ti sfido a tenere in mano l'archetto,» la minacciò.
Un naga si fece avanti con le mani alzate. «È solo una bambina, lasciala stare.»
Strilla e minacce invocavano pietà a cui Amane rimase sordo. Puntò contro la dalit lo tsurugi con il filo della lama che chiedeva il suo sangue. «In ginocchio,» le ordinò avvicinando a sé Kimaya.
La dalit si abbassò lentamente seguendo il suo ordine. Mal sopportando l'indolenza Amane attese che lasciasse andare il sarangi.
«Ti prego,» supplicò Mira con la mano alzata, cercando di rabbonirlo mentre gli camminava incontro. «Osserva la cortesia che ti ho mostrato.»
Lui sorrise sarcastico pensando a quelle loro preghiere e alla cortesia di un popolo asservito. Avrebbe riso se non ci fosse stato un sentimento di disagio a pervaderlo. Impallidì, con un filo di sudore sulla fronte, dopodiché abbassò il braccio quando non riuscì a sostenere lo sforzo di tener sollevata la spada.
Si guardò la mano. Il formicolio l'aveva avvolta togliendole sensibilità velocemente. Sentiva la spalla intorpidirsi fin quando l'intero braccio sinistro non rimase inerme. C'era un bruciore intenso laddove Kimaya gli aveva lasciato dei graffi, ma poco a poco anche quello sbiadì svanendo.
Con il braccio destro ancora integro si tirò accanto la ragazzina usandola come scudo. «Se mi attacchi di nuovo, spezzarti il polso sarà l'ultimo cosa che faccio,» le bisbigliò all'orecchio stringendola con la presa ancora salda.
I naga ricevettero una seconda grazia quando lo videro disarmato arretrare contro l'altare.
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SEISHI - Il teatro delle ombre umane
AventuraLa guerra è naturale e inevitabile, una lotta per sopravvivere e prosperare, a scapito di popoli deboli e asserviti. Per volere dell'Impero, nonostante la vittoria, i falchi sono stati esiliati a Patala, una terra diventata maledetta dopo la morte d...