Capitolo 8

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A ogni donna corrisponde un seduttore. La sua felicità sta nell'incontrarlo.

 (Søren Kierkegaard)


«Non fare troppo la donna di mondo, chiaro?».

Dopo aver mangiato la pizza – ne avevo lasciato più della metà perché nel vedere Elliott e gli altri mi si era chiuso lo stomaco – Channing mi aveva preso per mano e trascinato fuori dal locale, interpretando ancora la figura del fidanzato modello. Eravamo saliti di nuovo in auto e dopo un quarto d'ora di strada eravamo arrivati in un bar, l'EZ Street, sulle rive del fiume Kanawha. Era uno di quei bar per motociclisti dove potevi cenare con un cheeseburger e una birra, berti l'anima al bancone del bar per poi vomitarla nel bagno sul retro, e giocare nella sala delle slot machine, al più classico biliardo o a freccette. Non era il massimo del divertimento, ma gli avevo chiesto io di portarmi con lui quindi non mi potevo lamentare. «Stai sulle tue». Mi suggerì.

«Smettila di dirmi cosa devo fare, grazie».

Aveva continuato a ripetere istruzioni su istruzioni per tutto il percorso in macchina e anche adesso che eravamo nell'ingresso del bar. C'erano un sacco di persone, musica live non troppo forte da impedire qualche chiacchiera e fiumi di alcool che scorrevano dagli spillatori di birra. Mi tolsi il giaccone perché faceva troppo caldo, anche più che in pizzeria. E c'era una puzza indescrivibile, di fumo, sudore e altre cose che non riuscivo bene a distinguere.

«E non dare troppa confidenza, ché qui è un attimo a ritrovarti nel bagno insieme a un vecchio arrapato». Proprio non ce la faceva a non comportarsi come un fratello maggiore.

«Tu sei vecchio per me», mi tappai gli occhi. «Non ti devo guardare, allora». E scoppiai a ridere.

«Ah-ah», mi poggiò una mano sulla testa con fare affettuoso. «Fortuna che ti è tornato il buonumore». Mi accarezzò scompigliandomi i capelli di proposito. «Chiedi l'età...». Mi urlò all'orecchio affinché il messaggio mi arrivasse forte e chiaro.

Alzai gli occhi al cielo. «Baaaasta», allungai il collo per vedere se ci fosse un tavolino libero non troppo lontano, ma nemmeno troppo vicino alla confusione. «Vado a sedermi laggiù», ce n'era uno libero a ridosso della sala da giochi, così mi incamminai in quella direzione, ancheggiando su quei maledetti tacchi che mi stavano torturando i piedi. Stavo per sedermi, quando mi ritrovai di fronte Channing che prendeva posto al mio stesso tavolino. «Non ci dovevamo separare? Io qui e tu da un'altra parte a fare...», mi strinsi nelle spalle, «quello che fai sempre quando vieni qui?».

Si sistemò sulla sedia con le spalle poggiate allo schienale, del tutto rilassato nel suo ambiente.

«Okay, mi trovo un altro tavolo», feci qualche passo in avanti superando Channing, ma lui mi trattenne per un braccio.

«Ferma, ferma», mi guardò dal basso e mi fece segno con la testa di prendere posto dall'altro lato del tavolo. «Siediti così ti metto alla prova».

Non osai obiettare e presi posto di fronte a lui. «Mi metti alla prova, nel senso che ci vuoi provare con me?»

«Per finta, chiaro», aggiunse: «Voglio proprio vedere come te la cavi». E io volevo proprio vedere quale sarebbe stato il suo approccio. Si allontanò dallo schienale con un colpo di reni fulmineo e piantò i gomiti sul tavolino per raccogliersi il volto tra le mani. «Allora...».

Lo imitai nelle movenze, piantando un gomito sul tavolino per poggiare una guancia sulla mano chiusa a pugno. «Uno che parte con "Allora", non lo sto neanche ad ascoltare», battei la mano sul tavolino per schiacciare un pulsante invisibile producendo un suono gutturale, come a volergli dire «Errore! Avanti il prossimo!».

Mai innamorarti del tuo confidente (Confident #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora