Capitolo 23 (prima parte)

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Se una donna ha dei dubbi sull'accettare o no un uomo, dovrebbe decisamente rifiutarlo. Se esita nel dire sì, dovrebbe dire no senza pensarci. 

(Emma - Jane Austen)


«Non sono affatto stupito da questa D, dico bene signor Johnson?», seguirono delle risatine di sottofondo. Il professore stava passando tra i banchi per consegnare i compiti corretti di matematica avanzata che avevamo fatto il giorno prima in classe. «Vorrei sapere perché ha scelto il mio corso se è un fedele abbonato alla lettera D», altre risatine. Hardy si era iscritto solo per i crediti perché altrimenti non gli sarebbero bastati per entrare nei Cardinal, la squadra di basket di Stanford. Contava sull'appoggio di Elliott che però non sempre riusciva a fargli entrare in quella testaccia che leggere i riassunti dei riassunti non era sufficiente per superare i temibili test del professor Lewis. «Una A meno, signor Campbell», il professore continuò a parlare con la sua voce nasale e consegnò i due fogli spillati a Elliott, seduto a qualche metro da me in seconda fila. Elliott, senza neppure guardare il voto sul primo foglio, si voltò indietro per lanciarmi un'occhiata: forse aveva notato che lo stavo osservando a mia volta. Abbassai lo sguardo di riflesso dopo essermi ritrovata i suoi occhi cupi che mi scrutavano con insistenza. «Una A più, per la signorina Foley», fortuna che tra me ed Elliott si frappose il signor Lewis. «Nel suo caso mi sarei stupito del contrario», mi fece l'occhiolino. Nemmeno io ero poi così sorpresa, dato che la sua materia era l'unica che non avessi bisogno di studiare assiduamente: mi bastava poco per mettermi in pari con il programma. Era con le altre materie che avevo dei seri problemi.

Il professor Lewis era un tipo giovanile anche se ormai aveva superato la quarantina; capelli scuri, un po' lunghi, occhi castani dallo sguardo cordiale, un colorito pallido e degli occhiali grandi inforcati sul naso adunco, forse uno dei pochi difetti che aveva insieme a un po' di gobba. Rimaneva comunque uno dei professori più gentili in quella scuola. Il più simpatico, dopo il signor Hart, chiaramente. Ma lui non era un professore, quindi non contava. E a proposito del signor Hart, come ogni mese, mi sarei dovuta presentare nel suo ufficio durante la pausa pranzo per la solita "chiacchierata".

«Lowson!», il professore gridò facendo voltare Kim che stava parlottando a bassa voce con Eleanor, una brunetta tutto pepe che faceva parte delle cheerleader, «un mezzo disastro ma ho chiuso un occhio per la precisione con cui ha disegnato il grafico», si tirò su gli occhiali che gli erano scivolati sul naso. «Ohhh», esclamò soddisfatto, «McCallister!», fece scivolare sul banco di Molly il suo compito, «A, come sempre. Come anche il nostro Wittacker», Rhod e Molly si scambiarono un'occhiata d'intesa e mi chiesi se tra quei due ci fosse più di un'amicizia. Da parte di Rhod, sicuramente. Lo avevo beccato più di una volta a guardarla di sfuggita sia a mensa che in classe, quando lei era distratta. Chissà.

Il professore continuò il giro e dopo averli consegnati tutti, iniziò ad accennare il nuovo argomento oggetto di studio che ci avrebbe tenuto compagnia fino all'ultima settimana di marzo. Smisi di ascoltarlo, perdendomi nei miei pensieri; quando avevo detto a Channing della dichiarazione di Elliott mi sarebbe piaciuto che mi avesse detto di non tornare con lui perché voleva stare con me e invece mi aveva confermato la sua amicizia, seppure fossimo andati ben oltre alla normale confidenza tra amici. Per lui ero stata un passatempo piacevole, mentre per me lui era stato ben altro. Ma pazienza. Ormai ero abituata ad ammortizzare il colpo e ad andare avanti qualsiasi cosa accadesse. La sera prima ci eravamo salutati intorno alle nove e mezzo ed ero scappata nel mio appartamento insieme a Buzz in tempo per il ritorno anticipato di mia madre. Quella mattina Chan mi era sembrato più freddo dell'aria che si respirava, ma forse era colpa della fretta che aveva di aprire l'officina. O almeno così mi aveva detto. Sembrava più una scusa per evitare di parlare con me, invece.

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