Capitolo 23 (seconda parte)

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[vedi prima parte]

[...]

Uscii dalla stanza riservata al consulente quando mancava ancora un quarto d'ora all'inizio dell'ultima lezione. Ero appena scesa al pianterreno per avviarmi verso l'aula di scienze sociali quando qualcuno mi prese di sorpresa afferrandomi per un braccio; i corridoi erano sgombri quindi nessuno poté assistere mentre quel "qualcuno" mi tirava con tutta la forza all'interno di un'aula vuota. Dai mappamondi e dai planisferi affissi alle pareti l'associai subito a quella di geografia economica. La professoressa Stewart faceva lezione la mattina e non c'era alcuna possibilità che facesse ritorno. Perfetto. Quel "qualcuno" avrebbe potuto essere chiunque, anche uno psicopatico oppure... Ruby! Che in definitiva poteva essere identificata anche lei con l'appellativo "psicopatica".

Mi voltai di scatto pronta a mollare pugni ben assestati dove capitava; appena mi imbattei nel viso di Elliott feci un passo indietro mettendomi una mano sul petto come a voler arrestare il cuore che martellava all'impazzata.

«Cazzo! Mi hai fatto venire un colpo!», buttai fuori l'aria soffiando a labbra strette. Mi passai entrambe le mani sulla faccia fino a soffermarmi sugli occhi e strofinarli.

«Scusami», parlò in tono sottomesso. «Di nuovo», specificò.

Mi nascosi ancora un po' il volto tra le mani, ma le lasciai scivolare sulle guance pian piano per tirargli un'occhiataccia.

«Scusa un cavolo! Perché mi hai trascinata qui?», mi sfogai, forse a voce troppo alta, perché Elliott si posò un indice sulle labbra per farmi segno di parlare più piano; dopodiché partì subito a razzo verso la porta ancora aperta per chiuderla. «E perché continui a seguirmi?», ignorai di proposito il suo avvertimento e parlai a voce ancora più alta.

Elliott si voltò velocemente avvicinandosi a me fino ad arrivare a sfiorare il mio naso. «Perché tu mi eviti, mentre io vorrei soltanto parlarti e...», scattò in avanti per baciarmi sulla bocca di prepotenza. Rimasi a occhi aperti per la sorpresa e mi allontanai di riflesso. Gli tirai un sonoro schiaffo in piena guancia, così forte da farlo voltare dall'altra parte. Mi tappai subito la bocca con la stessa mano con cui lo avevo schiaffeggiato perché avevo paura di avergli fatto male. Se lo meritava eccome quel ceffone, ma dopo quello che mi aveva raccontato il signor Hart non ero tanto sicura di voler continuare ad avercela con lui.

«Picchi forte», si strofinò la guancia con una mano muovendo la mascella squadrata a destra e a sinistra. «Me lo sono meritato», ammise. Stavo per chiedergli scusa quando riprese di nuovo la parola: «Non ti azzardare a chiedermi scusa», mi offrì uno sguardo languido. «Se serve a farmi perdonare puoi prendermi a schiaffi, calci e pugni anche per tutto il giorno».

Non riuscii più a reggere il suo sguardo, pertanto guardai da un'altra parte, soffermandomi sui grandi finestroni che lasciavano filtrare la luce solare attraverso le tendine a soffietto.

«Ti posso parlare?», visto che non avevo mosso un muscolo aggiunse: «Per favore».

Allora riportai lo sguardo su di lui e annuii. «Vedi di fare una cosa veloce».

«Velocissima», si sbrigò a dire. Gonfiò il petto e scaricò tutta la tensione in un sospiro di sollievo.

Scrollai le spalle per incoraggiarlo a cominciare il discorso, visto che se ne stava lì a fissarmi come se fossi comparsa dal nulla. «Elliott?», lo richiamai.

«Sì», strizzò gli occhi più forte che poté e scosse la testa per farsi coraggio. «Più o meno sono le stesse cose che ti ho detto ieri nel parcheggio, ma volevo che tu avessi ben chiaro il concetto».

Mai innamorarti del tuo confidente (Confident #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora