Capitolo 19

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L'attesa non fa bene alla mente dell'essere umano. Crea troppe aspettative o a volte le distrugge completamente. Attendere è speranza o illusione? Farsi del male o del bene? Chiudersi in una bolla, lasciando il mondo reale al di fuori di qualsiasi altro pensiero è giusto? Far ruotare il continuo andare del tempo attorno ad un qualcosa che arriverà forse troppo tardi quanto può farci star bene? La verità è che aspettare è la cosa più difficile che si possa fare e non è tanto la mente, ma il cuore dell'uomo, che non può sopportare tutta questa frustrazione.

Da quando Louis era stato portato fuori dalla mia stanza una marea di domande e di dubbi erano rimasti lì dentro a colmarne il vuoto. Ogni santo giorno mi svegliavo con la speranza di trovarlo accanto a me, di avere finalmente una risposta, di sapere cos'era quella cosa che tanto lo turbava.

Mia mamma entrava spesso ed io facevo sempre finta di dormire. Ogni volta che sentivo la sua voce nel corridoio chiudevo gli occhi. Con quale coraggio era venuta fin qui? Era andata via di casa, non si era più fatta sentire o vedere e tutto d'un tratto il suo istinto materno la portava nella mia stanza, ogni singolo giorno.

Domani mi avrebbero finalmente dimessa e sarei tornata a casa mia, nella mia stanza, nel mio letto, alla mia vita di sempre. Ma la cosa più importante era lui. Dovevo vederlo, doveva darmi delle spiegazioni, ne avevo bisogno.

"Buongiorno bella addormentata." Abby entrò sorridendo nella camera con un vassoio pieno di dolci. I miei occhi presero la forma di due cuoricini alla vista di quelle delizie. "Sono per me?" Chiesi felice. "Sai ho pensato che sono quasi due settimane che sei chiusa qui e l'unico cibo che hai visto, sono quelle specie di pappette congelate che ti rifilano ogni giorno, un po' di dolcezza non fa mai male." Così poggiò il vassoio sulle mie gambe e insieme cominciammo a mangiare.

"Sai, ieri mi ha chiamata Calum." Disse Abby con la bocca piena. "Mi ha chiesto di te, voleva sapere come stavi." Concluse poi pulendosi le labbra. "Immagino quanto possa essere preoccupato." Commentai sarcasticamente. "Abby, ascolta, ma per caso tre giorni fa, è venuto qualcuno qui a farmi visita?" Lei mi guardò interdetta. "Durante l'orario delle visite sono venute diverse persone, perché?" Chiese. "Oh no, intendo dopo, quando non poteva più entrare nessuno." Abby avrebbe fatto di tutto pur di non dirmi la verità su Louis. "Ah si, l'ho incrociato in corridoio, l'infermiera lo stava accompagnando fuori." Rispose. "E tu ci hai parlato?" Chiesi aprendo un pacco di biscotti. "Si, ci siamo scambiati due parole ma poi si è fatto tardi ed è andato via." Abby e Louis che parlano civilmente?! "Capito.." Decisi di non andare più a fondo, questo mi bastava per capire che non stavo sognando. Che Louis era davvero venuto qui. Abby non chiese altro, la sua faccia sembrava non aver capito del tutto ma non tornammo sull'argomento.

Avevo preso le solite pillole perciò mi addormentai in poco tempo e al mio risveglio accanto al mio letto c'era mio papà. "Ehi.." Dissi stiracchiando le uniche ossa non doloranti del mio corpo. "La mia principessa!" Esclamò sorridendo. Mi chiamava sempre così. Anche se avessi avuto venti, trent'anni, sarei sempre stata la sua principessa. "Come ti senti?" Mi accarezzò la testa. "Stanca ma allo stesso piena di forze. Voglio uscire di qui al più presto." Risposi. "Sta vendendo il dottor Kelly per farti un'ultima visita prima di domani, così sapremo se puoi uscire o meno." Disse le ultime parole a bassa voce. "Vuoi dire che è probabile che io rimanga ancora qui?" Speravo davvero di no. "Oh no, assolutamente no." Si contraddisse da solo ma non mi andava di farlo star male perciò cambiai argomento. "Allora, a casa come va? Le pesti si stanno comportando bene?" Lui sorrise. "Le pesti sono a casa della zia, non posso di certo portarmeli qui, ne combinerebbero di tutti i colori." Entrambi ci guardammo e scoppiammo a ridere. "Sai Noelle, ho parlato con tua madre, ha detto che era dispiaciuta. Ogni volta che entrava nella tua stanza tu dormivi sempre, ma sappiamo entrambi che stavi solo fingendo e penso lo abbia capito anche lei." Prese la poltrona e si mise accanto a me. "Io non voglio che tu ti comporti in questo modo, lei è e resterà per sempre tua madre e anche se non accetterai mai il modo in cui è andata via, non potrai ignorarla per tutta la vita, non è da te, questa non è la Noelle che conosco e che ho sempre stimato." Perché la difendeva? Gli aveva spezzato il cuore e lui continuava ugualmente a trattarla bene. "Perché? Perché papà? Lei ti ha fatto solo soffrire, ha fatto star male me e i miei fratellini, nonché suoi figli, ci ha abbandonati, credi davvero che si meriti il mio amore o il mio rispetto? Io sono ancora la tua Noelle ma, è vero, sotto certi aspetti non sono più la stessa." Lui accarezzò la mia mano. "Portare rancore ti fa solo del male, non ferisci nessun altro se non te stesso." Dopo le parole di mio padre entrò il dottore.

"Allora, dopo gli ultimi accertamenti, sono felice di dirti che va tutto bene e presto ti riprenderai del tutto. Domani, per la tua felicità.." disse ridendo "..potrai uscire e tornare a casa tua. Purtroppo però, il gesso dovrai tenerlo per almeno altre cinque-sei giorni. Questo è tutto." Sorrise e poi uscì. "Sei stata davvero fortunata amore mio. Adesso però devo lasciarti, il lavoro mi chiama." Concluse mio papà accennando un sorriso. "Nella mia vita c'è spazio solo per poche persone, quelle più importanti, quelle che non mi deludono mai, prima c'era spazio anche per lei, adesso non ne sono più così sicura." Lui mi fissò per un attimo, fece uno strano cenno con il capo e andò via.

Questo letto aveva ormai preso la mia forma, mi alzavo solo per andare in bagno e fare la doccia, per il resto stavo tutto il tempo qui, così decisi di alzarmi e andare a sbriciare il mondo attraverso la finestra. New York era bella perché era fuori dal normale, non era una di quelle città dove venivi reputato strano se eri diverso dalla massa. Qui la gente camminava per strada persino in mutande, ricordo che una volta incontrai una ragazza vestita da sposa che si fermò a raccontarmi la sua storia. Era stata lasciata dal suo fidanzato sull'altare e per la vergogna fuggì via. Lui era l'amore della sua vita eppure, le aveva fatto così male. Fu proprio quel giorno che decisi di andare a tatuarmi la scritta 'Carpe diem' e di cambiare alcuni aspetti del mio carattere. Lei aveva dato tutta se stessa al suo ragazzo e alla fine l'unica cosa che ricevette in cambio fu un cuore in frantumi.

Si era fatto davvero tardi, così decisi di andare a dormire con la speranza di un domani migliore e con la consapevolezza che finalmente avrei saputo tutta la verità.

Just a moment || Louis Tomlinson (In revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora