14.

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Capitolo di passaggio :)

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«Prendiamo anche queste.» disse per la ventesima volta Ellen, prendendo un altro pacchetto di caramelle e mettendolo nel carrello.

Subito dopo esser andato via da quella che ormai non era più la mia casa ero tornato da Ellen e avevo deciso definitivamente che avrei passato qualche giorno da lei, che era l'unica persona che riusciva a distogliermi dai pensieri del passato, ma anche del presente. Avevo spento il cellulare, ignorando così ogni contatto con i miei "amici" ed ero andato a fare la spesa con la mia nuova "coinquilina".

«Hai un'ossessione per le caramelle, Ellen.» sgranai gli occhi, notando quante bustine di esse avesse preso.

Lei ridacchiò, continuando a camminare lungo il corridoio e guardando concentrata le cose che si trovavano sugli scaffali. Io mi limitavo a trascinare il carrello, poggiato con i gomiti sull'estremità di esso. Notai Ellen allungarsi per prendere qualcosa nello scaffale più in alto, ma con scarsi risultati. Invece di andarla ad aiutare restai lì a vedere quanto avrebbe resistito; dopo qualche secondo sbuffò, lasciando le braccia cadere sui propri fianchi e rimanendo a fissare quel barattolo di ketchup, ma subito dopo si girò verso di me, guardandomi con un timido sorriso disegnato sul viso. Ridacchiai, sollevandomi dal carrello per avvicinarmi a lei e mi bastò allungare un braccio per prendere il barattolo, mentre sfioravo l'altro con quello di Ellen. Sorrisi appena glielo porsi.

«Nana.» commentai, tornando alla mia postazione dietro al carrello e aspettando una reazione da parte sua.

«A prova contraria sei tu quello eccessivamente alto.» disse sussultando appena sentì la mia parola e arrossendo leggermente, facendomi comparire un ghigno sul viso.

«Sei un metro e cinquanta.» specificai alzando le sopracciglia e lei alzò gli occhi al cielo.

Tirai un lungo respiro, provando fastidio appena lo fece, proprio come succedeva con Brooklyn, ma non dissi ancora nulla.

«Non sono così bassa.» rispose, dandomi le spalle e continuando a camminare dopo aver messo il barattolo nel carrello.

Decisi di non dire altro, l'avevo già fatta innervosire abbastanza per quel giorno. Ridacchiai solo al pensiero che mi avrebbe dovuto sopportare chissà per quanto ancora. Per tutta la giornata ignorai il pensiero che il cuore della mia ex ragazza ce l'avesse Ellen e cercai solo di pensare ad ogni cosa che facevo al momento. Quando accesi il cellulare, forzato da Ellen, trovai diecimila chiamate da parte di Louis, ma ovviamente anche da parte degli altri e svariati messaggi che mai avrei letto.

«Visto? Non avrei dovuto accenderlo.» sbuffai, lanciando il cellulare sul divano e lanciandomi subito dopo.

Ellen alzò gli occhi al cielo per la ventesima volta in quella giornata e come preso da una scossa le afferrai un braccio avvicinandola a me, dopo essermi alzato dal divano. I nostri visi erano vicini e potevo sentire il suo respiro sulla mia pelle, mentre mi guardava confusa e forse anche un po' impaurita dal mio scatto improvviso.

«Non alzare gli occhi al cielo con me, Ellen.» sussurrai per la troppa vicinanza e lei aggrottò le sopracciglia, annuendo poco convinta.

I nostri occhi si studiavano, si fissavano attentamente, mentre la mia mano era ancora salda al suo polso. Quando posai l'altra sul suo fianco sussultò leggermente e ciò mi fece sorridere compiaciuto ma appena mi accorsi di quello che stavo facendo mi allontanai velocemente, lasciando anche la presa sul suo polso e mi girai di spalle, prendendo un lungo respiro e chiudendo un attimo gli occhi. Per un momento non stavo più pensando a nulla, solo ai suoi dannati occhi, così simili ma anche così diversi a quelli di Brooklyn, alla sua pelle morbida e alle sue labbra socchiuse. Ma era tutto sbagliato, come potevo pensare ad Ellen in quel modo? Semplicemente non potevo. Non mi sarei innamorato di nuovo, tantomeno della persona che possedeva un qualcosa di Brooklyn. Sarebbe stato strano, no? Fatto sta che sicuramente l'avevo lasciata confusa e interdetta, anche imbarazzata, ma ero fatto così: compievo un'azione e subito dopo me ne pentivo. Ero un codardo, una persona che non sapeva affrontare le situazioni da uomo, una persona debole e alla quale mancava qualcosa o, forse, qualcuno. Avevo bisogno di una persona al mio fianco, una persona diversa, che mi completasse.

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