18.

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«Harry...»

«Brooklyn, tu... cosa ci fai qui?» sussurrai, spaventato e confuso allo stesso tempo.

Riuscivo a focalizzare solamente lei, con i capelli un po' più lunghi del solito, mentre tutto il resto era sfocato e poco importante, come nei miei pensieri.

«Ogni tanto dovrò pur farti visita, non pensi?» ridacchiò appena, mostrando il suo bellissimo sorriso.

«Tu... è tutto nella mia testa, vero?» mormorai amareggiato.

Lei scrollò le spalle, guardandomi come se stesse studiando ogni particolare del mio viso ed io stavo facendo altrettanto.

«Può darsi, però sono qui ed è questo ciò che conta, mh?»

Si avvicinò maggiormente a me, ma senza toccarmi, poi passò lo sguardo dai miei occhi ai miei capelli.

«Ti sono cresciuti.» sorrise compiaciuta e annuii leggermente.

«Anche i tuoi, o almeno... nella mia immaginazione.» dissi per poi abbassare un attimo lo sguardo.

Sapevo che era un sogno, sapevo che non sarebbe durato per sempre e sapevo che probabilmente l'avrei rincontrata in un'altra notte nebbiosa, in un'altra notte di ricordi e angosce.

«Sì, ti piacciono?» alzò le sopracciglia, mantenendo un sorriso divertito sul volto. «Beh, ti devono piacere per forza.» ridacchiò.

Ricambiai il sorriso e feci roteare gli occhi, accorgendomi di quanto la mia mente la ricordasse bene, in ogni particolare e ogni sua sfumatura. Dio, non avrei voluto lasciarla andare, ma sarebbe arrivata la mattina prima o poi.

«Devo andare ora, Harry.» si morse il labbro, per poi sorridere dolcemente.

«Ci rivedremo, giusto?» chiesi, speranzoso.

«Stesso posto, stesso sogno

Aprii lentamente gli occhi, stiracchiandomi appena, sentendo la schiena indolenzita. La tirai su, mettendomi seduto e guardandomi attorno, infastidito dalla luce che entrava dalla finestra. Erano appena scattate le otto e mi sarei dovuto alzare comunque per andare al lavoro, visto che era lunedì. Stavamo cercando disperatamente personale perché in due era veramente difficile mandare avanti un negozio e in più il proprietario era un bastardo. Andai in cucina barcollando e ovviamente stavano tutti ancora dormendo, avendo il lavoro la sera, nei locali. Mi dispiaceva solo per Jeremy che non aveva trovato un lavoro e doveva stare tutte le serate da solo (non che non riuscisse ad uscire senza nessuno, ma insomma, Liam non glielo permetteva). Mentre mangiavo pensai ad Ellen e allo spavento che mi aveva fatto prendere sul quel cazzo di surf. Avevo molte domande, soprattutto su quel tipo, Jack, che la fissava continuamente ogni volta che andavamo lì. Non lo sopportavo. Fatto sta, che lei mi ricordava sempre di più Brooklyn, forse la sua parte più dolce che quest'ultima non mostrava quasi mai agli altri, se non a me. Brooklyn era talmente testarda, spavalda e determinata che tutti pensavano non avesse una parte più debole, invece eccome se l'aveva e quella parte la vedevo riflessa in Ellen. E' difficile da spiegare, e nemmeno io riuscivo a capirlo bene. Sapevo quanto pesasse ad Ellen il fatto di somigliare così tanto alla mia ex ragazza, ma non potevo fare a meno di confrontarle.

Quando arrivai al lavoro era più presto del solito e così aprii prima il negozio, non alzando – però del tutto – le serrande. Mi sentivo stanco e avevo la testa che scoppiava, così mi poggiai con entrambi i gomiti sulla scrivania della cassa e chiusi un attimo gli occhi, cercando di fermare il mal di testa. Sentii il campanello attaccato alla porta suonare e così alzai il viso, notando Ellen entrare in tutta tranquillità con il suo bellissimo sorriso per poi raggiungermi. Aggrottò le sopracciglia appena si avvicinò maggiormente a me e cominciò a fissarmi.

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