15.

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Ero ormai a casa di Ellen da qualche giorno e anche quando non stava a me lavorare in libreria lo facevo lo stesso, non avendo ormai più nulla da fare. Il mio telefono era sempre spento e i miei amici ancora non mi erano venuti a cercare, ciò significava che mi stessero lasciando spazio per pensare e chiarirmi le idee. Con Ellen andavamo sempre al lavoro insieme e tornavamo insieme a casa, anche se spesso stava via per un po' senza dirmi dove andasse, ma in fondo non erano affari miei. La stavo conoscendo veramente meglio ed era una ragazza tanto dolce quanto, spesso, determinata. Aveva un lato del carattere che mi ricordava un sacco Brooklyn, ma non era – ovviamente – lei. Da quand'ero a casa con Ellen stavo accettando, forse, un po' di più la morte di Brooklyn.

Mi divertivo, spesso, a guardare Ellen mentre bruciava le cose da mangiare la mattina, oppure mentre dormiva con le braccia sotto il cuscino a pancia sotto o ancora quando arricciava il nasino mentre rideva. Avevo imparato a conoscerla bene, era una ragazza meravigliosa ed eravamo diventati grandi amici.

Quella mattina di domenica mi svegliai a causa di una gran puzza di bruciato, così, aprendo gli occhi notai di essere nuovamente sul divano. Mi tolsi la coperta dal corpo e mi alzai, stiracchiandomi leggermente. Mi infilai il mio pantalone della tuta che avevo poggiato sul bracciolo del divano la sera prima e una maglietta, andando poi verso la cucina, ridacchiando appena vidi Ellen sventolare via con un panno il fumo che aveva creato bruciando la colazione. Mi poggiai allo stipite della porta, trattenendo un sorriso divertito e prendendo tra i denti il labbro inferiore. Indossava il suo solito pigiamone intero tipo a forma di unicorno che mi faceva ridere solo di più. Si girò dopo verso di me e sorrise innocentemente.

«Beh, a quanto pare anche stamattina hai carbonizzato i pancake.» dissi per poi scoppiare a ridere, portando la testa all'indietro.

Lei sbuffò, roteando gli occhi e smisi subito di ridere, alzando le mani in segno di resa.

«Mi arrendo, non sono capace.» affermò, sedendosi su uno sgabello e poggiando i gomiti sul tavolino.

«Faccio io, bastava chiedere, piccola Ellen.»

Detto questo mi avviai verso i fornelli e ripulii tutto il casino che aveva fatto, per poi cucinare dei – modestamente – buonissimi pancake.

«Come faresti senza di me, eh?» sorrisi compiaciuto, una volta poggiati i piatti con i pancake sul tavolino.

«Il tuo secondo nome è Modesto per caso?» alzò le sopracciglia, ridacchiando e scrollai le spalle.

Una volta finito di mangiare sistemammo tutto insieme. La madre non c'era praticamente mai in casa, ma ancora non le avevo chiesto niente su ciò.

«Ellen, ma tua madre?»

Chiedendole questo lei subito alzò il viso verso il mio e prese tra i denti il proprio labbro inferiore, scuotendo leggermente la testa.

«Mh, non la vedi mai perché si è... si è trasferita.» balbettò, distogliendo lo sguardo dal mio.

Non mi convinse per niente la sua affermazione e sapevo che stesse mentendo. Non sapevo se approfondire per scoprire la verità oppure no.

«Ellen...» la richiamai, con tono severo. «Perché mi dici bugie? Ci conosciamo da un bel po', non ne vedo motivo.»

Lei sospirò, alzando gli occhi verso i miei e si fecero subito lucidi, così scesi dallo sgabello andando velocemente verso di lei, prendendole il viso tra le mani. Ormai numerose lacrime stavano scendendo lungo le sue guance.

«Ehi, non piangere, sono qui.» sussurrai.

L'accolsi tra le mie braccia, stringendola a me mentre cominciava a singhiozzare con il viso nell'incavo del mio collo. Una volta calmata si allontanò da me, pulendosi le guance dalle lacrime e le presi le mani, stringendole nelle mie e cercando un contatto con i suoi occhi.

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