𝓝𝓾𝓸𝓿𝓮 𝓶𝓮𝓶𝓸𝓻𝓲𝓮

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Gally, spinto da forte rancore e accecato dalla rabbia, rinchiuse me e Thomas all'interno di quelle celle semi-sotterranee, una dei pochi edifici rimasti ancora in piedi dopo l'attacco dei Dolenti alla radura, probabilmente perché tentai di difenderlo, di giustificarlo. Caddi in un sonno profondo accanto al corpo inerme di Thomas, ancora soggetto al virus, che venne poi curato da Teresa con una di quelle piccole ampolle con cui era giunta nella Radura.

Sognai ancora una volta, o meglio, un altro ricordo riemerse come un pezzo di un puzzle dall'oblio.

Questa volta lo scenario era più accogliente del procedente, sembrava esserlo, sicuramente faceva trasparire a livelli minimi quanto tutto quello scenario creato fosse una pura menzogna.

Ero, ancora una volta, rinchiusa in una stanza, questa volta molto più ampia e con la diretta luce del sole che si insinuava dalle alte finestre, ciò infatti mi permise di potermi guardare intorno, di vedere dove mi trovassi. Il pavimento è di legno scuro, alcuni assi erano più consumate di altre, indice che la disposizione dei mobili tendeva a cambiare spesso. I muri erano ricoperti da una carta da parati ambrata, con disegni sottili di foglie di un verde smeraldo, molto elegante e probabilmente eccessiva, ma ciò permetteva la creazione di una bella atmosfera. Il resto delle pareti erano parzialmente nascoste da ampie librerie che si stagliavano verso l'alto, colme di libri a cui non feci mai troppo caso.

Al centro della stanza giaceva un tappeto rosso di forma rettangolare, estremamente morbido al tatto, sopra al quale era posato, a non molta distanza, un ampio divano di cuoio scuro, ben imbottito ed estremamente morbido.

Avevo appena sette anni, probabilmente e me ne stavo silenziosamente sdraiata sul divano con una piccola copertina di lana bianca, della quale mi sentivo capace tutt'ora di percepire la sua morbidezza. Il mio sguardo era fisso sulle fiamme del caminetto che ardevano con insistenza alcun ciocchi secchi di legno e man mano che il tempo passava, questi mutavano il loro colore, assumendone uno più scuro, sino a fermarsi al raggiungimento del nero carbone. Il caminetto era stato costruito con pietra e mattino, cosa che lo rendeva abbastanza rustico, ma che si armonizzava alla perfezione con il resto della stanza.

Una porta di legno scuro, su un lato del divani, si aprì lentamente e due figure minute si fecero avanti. La prima era più armoniosa e slanciata, presentava una lunga chioma nera legata e spartita in due morbide trecce che le ricadevano sulle spalle, in contrasto con la luminosità dei suoi grandi occhi azzurri. La seconda, invece, appartenente ad un ragazzino, era indubbiamente più bassa, dei grandi occhioni nocciola erano appena coperti da lunghe ciocche di capelli castani.

<< Chi siete voi? >>

Nessuno dei due parlò, si limitarono a chiudere la porta alle loro spalle e a prendere posto davanti al caminetto, sedendosi sul tappeto rosso senza troppi problemi. Poi il ragazzino, sollevando il volto, mi sorrise dolcemente, come se ci conoscessimo già da tempo immemore:

<< Piacere! Io sono Stephen! >>

<< Non è vero! >>

La ragazzina ribatté, scuotendo rapidamente il capo. Se fossi stata più grande e meno curiosa, sarei scoppiata ridere dinanzi alle facce buffe che quei due nanerottoli si rivolgevano, ma eravamo pressoché coetanei e il vedere qualcuno che non fosse un adulto mi aiutava a farmi stare meglio, in un certo senso.

<< Io sono Teresa e lui è Thomas... >>

Il cosiddetto Thomas corrugò la fronte, scuotendo il capo.

<< Ma io mi chiamo Stephen e tu sei Deedee! Ci chiamiamo così... >>

Teresa abbassò il capo, sospirando.

<< Non più, ora siamo due persone nuove... Lo ha anche detto la signora Paige! >>

Concessi ad entrambi il tempo di lasciarsi coinvolgere dalle proprie emozioni, probabilmente perché non compresi quell'improvviso cambiamento del loro nome, non mi fu chiaro prima di un certo tempo, quando ogni pezzo del puzzle incominciò a combaciare e a darmi la possibilità di poter assistere ad un'immagine più ampia di un singolo tassello.

<< Oh, io sono Sophia! Molto piacere! >>

Mi sarebbe piaciuto comprendere di più il motivo di quella vista, mi sarebbe indubbiamente piaciuto sapere che, in realtà, oltre le semplice pareti, ci stessero monitorando. Da brave pedine, troppi innocenti e creduloni delle sperimentazioni che quotidianamente facevano su di noi, non facemmo mai fin troppe domande, timorosi di essere rimproverati o chiusi in stanze di isolamento per semplici punizioni o perché non eravamo capaci di riuscire in qualche progetto.

<< Tu... Tu puoi sentirmi? >>

Le labbra di Thomas erano sigillate, eppure ero stata in grado di poter udire il suo pensiero echeggiare nella mia mente. Mentre la piccola me sussultò visibilmente, ma poi sorriso gioiosamente verso il ragazzo, io, come spettatrice esterna, mi sentii destabilizzata da una cosa simile. Non compresi come una cosa simile potesse essere possibile fino a i veri ultimi istanti di quel viaggio.

<< Certo! Ma come fai a fare una cosa simile? >>

<< Non lo so! Mi sono risvegliato a qualche giorno dal mio arrivo perché sentivo una voce che canticchiava, ma nessuno la sentiva, quindi ho fatto delle domande in giro... Tutti mi hanno preso per pazzo, ma non la signora Paige, lei mi ha aiutato e sono riuscito a capire che fosse la persona che sentivo cantare... Eri tu! Grazie a te sono riuscito a calmarmi quando avevo tanta paura... >>

Teresa sbuffò sonoramente, incrociando le braccia davanti al petto. Entrambi ricevemmo un'occhiatina acida e non poco infastidita da lei, il tutto le aiutava a sottolineare quel broncio puramente fanciullesco dovuto al presunto torto che le avevamo fatto.

<< Smettetela di parlare con la mente! So che ne siete capaci... >>

Sia io che Thomas scoppiammo in una risata sonora e, rimuovendomi quella coperta di dosso, scesi dal divano e mi sedetti non molto distante da entrambi, soffermandosi così ad osservarli con estrema tranquillità. Poi tutto divenne confuso, erano presente delle risate e altre scene rapide, frutto probabilmente di una successione rapida di ricordi. Alcune immagini mi rimasero anche fin troppo impresse nella mente: Dolenti, un grande laboratorio colmo di luci e noi tre, da adolescenti, con la donna bionda che ripeteva: W.I.C.K.E.D. è buono.

Per una volta riuscì a non svegliarmi di soprassalto, mi limitai ad aprire gli occhi a fatica, probabilmente a causa della luce che si insinuava tra le varie fessure lasciate da piccole fessure nel tetto. Mi girai appena su un lato, scorgendo così la figura di Thomas che, in preda alla più atroce sofferenza, era sveglio anche lui. Girò lentamente il volto e ci guardammo, in silenzio:

<< Siamo stati noi. >>

Era incredibile come, ad alta voce, pronunciammo le stesse parole con la medesima tonalità.


(Edit: 21/07/2019)


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