Capitolo 27

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« Se sei venuto qui per prenderti gioco di me, puoi anche andartene.» dissi guardandolo dritto negli occhi.
Aveva un sorriso fastidioso e gli occhi gli brillavano. Sarà stato l'alcool che aveva in corpo, ma sembrava diverso dal solito. Sembrava una versione più gentile e solare del Tyler che conoscevo.
Non rispose.
« Come vuoi, allora me ne vado io!» dissi alzandomi.
Mi prese un polso e mi fece di nuovo sedere, questa volta più vicino a lui. Continuò a tenere il mio braccio e a disegnare cerchi immaginari dal palmo fino al polso.
« Sei la prima ragazza che mi dice di andarmene.- sbuffai e lui sorrise - Le altre non vedono l'ora di starmi un po' vicino come te ora e tu mi respingi.» disse senza mai staccare gli occhi dai miei.
Non risposi nulla e lui continuò.
« Sei diversa e questo mi piace di te, ma adesso voglio delle risposte- la sua voce divenne tutto ad un tratto seria - che tu mi darai senza esitare.»
« Tu sì che hai tatto con le ragazze.» risposi.
Lui sorrise nuovamente.
« Non ti immagini neanche cosa sa fare il mio tatto.» mi scimmiottò.
Diventai rossa e tornai ad guardare la strada. Tirai via la mano dalla sua e subito sentii un formicolio dove lui mi stava accarezzando.
Non ci pensai.
« Perché stavi piangendo l'altro giorno?» chiese.
Alzai gli occhi al cielo. Ero leggermente innervosita da questa sua domanda, ma una parte di me era felice che si ricordasse ciò che facevo.
« Te lo dico per l'ultima volta. Non sono affari tuoi!» dissi.
« Come sospettavo.» sorrise mantenendo la calma che ormai io non avevo più.
« Perché non bevi?» chiese.
« Perché ti interessa tanto quello che faccio o non faccio?»
« Ti ho chiesto una cosa io prima di te.»
« Rispondi alla mia domanda e io risponderò alla tua.» dissi tornando a guardarlo.
« Sei interessante.» disse.
« Cosa speri di ottenere da me facendo così?» chiesi.
« Dovevo rispondere solo a quella domanda, ora sei tu che devi darmi una risposta.»
« Non mi piace bere.»
« Non ti ho chiesto se ti piace o no, ti ho chiesto il perché!» stava alzando il tono di voce.
Non poteva arrabbiarsi con me, ero io quella che piuttosto poteva innervosirmi per le sue continue domande, non lui. Strinsi i pugni e parlai.
« Vuoi sapere il perché? Bene, te lo dico io perché. Bere è solo una perdita di tempo, un piacere temporaneo. Puoi ubriacarti, divertirti, non pensare più ai tuoi problemi, ma prima o poi dovrai fare i conti con la realtà. E questa non si accontenta di una bella sbornia no, questa vuole di più. Ti porterà allo sfinimento. Continuerai a bere, svegliandoti la mattina con il mal di testa e con la nausea e con ancora tutti i tuoi problemi e la tua realtà ancora lì. Fino a quando ne avrai abbastanza della solita routine, fino a quando sarai stufo di girare intondo così. Solo allora capirai di dover decidere: la realtà, ricca di problemi ma anche di aspetti positivi, o niente, il vuoto più totale cioè la morte. Deciderai quando sarai meno sano e questo ti farà fare, ancora una volta, la scelta sbagliata. Deciderai il niente perché ti sembra così sicuro e facile rispetto alla realtà. Lascerai chi ti voleva bene, chi nutriva ancora speranze in te e chi ti amava solo per paura di dover affrontare la realtà e non poter stare tutta la vita ubriaco senza problemi. Questo comporta il bere, questo comporta il perdere il controllo e questo è quello che io non voglio fare. L'unica certezza che ho nella mia vita è che non voglio perdere la ragione. Ti basta come risposta?»
Non mi ero accorta di essermi alzata, avevo i pugni stretti lungo i fianchi e sentivo che stavo per esplodere. Avevo portato la risposta a un livello molto personale. Avevo fatto l'errore di tralasciare alcune delle mie emozioni. Dovevo rimediare al più presto.
Lo guardai negli occhi. Lo vidi stupefatto e lessi la compassione nel suo sguardo. Come il resto del mondo anche lui adesso provava pena per me. Era proprio questa la ragione principale per cui ce ne eravamo andati da Miami. Tutti si comportavano come se fossimo di cristallo. Ma questo non poteva aiutarci a non soffrire e loro non lo sapevano.
« Devo andare.» dissi per mettere fine a quella tortura.
Come mio solito fare anche questa volta scappai.
Rientrai nella palestra, diretta al tavolo.
« Matt, possiamo andare?» chiesi.
Tutti si voltarono nella mia direzione, sorrisi per smorzare il momento.
« Va tutto bene?» chiese Bea.
« Si si, tutto a posto. Devo tornare a casa perché Alice è rimasta chiusa fuori.»
« Alice?» chiese ancora Bea.
In quel momento ricordai quanto, quelli che ritenevo miei amici,mi conoscessero poco.
Rimasi immobile in piedi al fianco di Matt. Guardai tutti, ma nello stesso tempo era come se non ci fosse nessuno, solo un enorme silenzio.
Il suono della musica era svanito, le luci colorate non si vedevano più e la pista da ballo era vuota.
C'eravamo solo io e Matt di fronte a Bea, Pet, Steven e Josh.
Mi sentivo come se stessi aspettando un giudizio, mi sentivo di nuovo debole e vulnerabile.
Dovevo andarmene.
« Va bene, andiamo.» disse Matt alzandosi.
Come un angelo venuto per proteggermi mi prese per mano e mi condusse fino alla sua auto senza fare domande.
« Grazie.» dissi appena chiusi la portiera.
Lui mi rivolse un sorriso confortante.
« Non so cosa ti sia successo, ma se vuoi parlarne sono sempre a tua disposizione.»
Lo ringraziai ancora fino a quando arrivammo davanti al mio palazzo.
« Chiamami se ti serve qualcosa, anche solo un po' di compagnia.» Annuii e in quel momento mi fu chiaro che Matt potevo considerarlo veramente come un amico.
Scesi dalla macchina e salii le scale che conducevano al mio appartamento.
Alice dormiva già. Guardai l'orologio appeso alla parete: era già mezzanotte. Il tempo era volato via.
Mi coricai sul letto senza neanche togliermi il vestito e la treccia e, in men che non si dica, mi addormentai.

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