Capitolo 55

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« Durante il giorno lavorava come una persona normale, riusciva a separare benissimo la vita privata da quella lavorativa, infatti nessuno dei suoi colleghi lo conosceva veramente. La sera quando rientrava a casa stava con me ed Alice un'oretta e poi usciva di nuovo. Si vedeva che stava male, lo leggevo nei suoi occhi che stava morendo dentro, ma non riuscivo comunque ad aiutarlo. Se gli chiedevo come stava, lui mi rassicurava dicendomi che andava tutto bene, ma non era così.» mi feci forza per raccontargli l'ultima parte.
« Io avevo dodici anni, non potevo fare un granché. Sapevo in quale bar andava e ogni sera mi sedevo sulla panchina di fronte a quel locale per controllarlo. Vedevo come si riduceva a causa dell'alcool e mi sentivo sempre più in colpa perché non potevo fare nulla. Andò avanti così per mesi, ormai Alice aveva perso le speranze e sapeva che la vita di suo marito non sarebbe durata ancora molto. Lei aveva i suoi problemi, problemi che ogni mamma ha quando... beh.- mi bloccai non volevo raccontargli tutto, o almeno non tutti in quel momento- Era il 24 novembre 2010 quando ci lasciò. Era da poco entrato in quel bar ed era già ubriaco. In giro non c'era nessuno, forse per il freddo nessuno usciva più la sera. Mi stupidi quando vidi entrare due persone nel locale. Si vedeva che non erano tipi a posto, si guardavano intorno con fare sospetto e si comportavano come se avessero paura che qualcuno potesse vederli. Avevo un brutto presentimento che alla fine si rivelò vero. Sono entrati hanno detto qualcosa a David e dopo hanno cominciato a picchiarlo. L'hanno pestato fino a quando non riusciva più ad alzarsi l'hanno ridotto in fin di vita, ma quando lo dissero ad Alice le comunicarono che quando era arrivata l'ambulanza era già morto. Questo perché i soccorsi erano stati chiamati troppo tardi.» dissi trattenendomi dal piangere.
Lo guardai negli occhi e lessi il dispiacere che provava per me, ma sapevo di dover continuare.
« Quando l'ho visto a terra in fin di vita, io mi sono comportata da codarda. Dovevo correre da lui, cercare di aiutarlo o semplicemente chiamare aiuto. Invece mi sono alzata dalla panchina e sono scappata via da quel posto e, sinceramente, non conosco neanch'io il motivo per cui sono scappata. Forse lo shock o la paura che potesse succedere qualcosa anche a me, non lo so, ma ho fatto un gesto da egoista. Comunque sia ho corso fino a non sapere più dove mi trovavo e mi sono accasciata in un vicolo da sola e al buio. Una volta riordinati i pensieri capii quello che avevo fatto, avevo abbandonato una delle persone più care che avevo, l'avevo lasciata morire senza fare nulla. Non sapevo che fare perciò mi lasciai andare in un pianto liberatorio» finii.
Lui mi guardò incredulo come se fosse una storia troppo assurda per essere vera, ma leggevo anche nel suo sguardo che stava cercando di analizzare per intero la mia "situazione" e capivo anche che qualcosa lo turbava.
« Questo per dirti che capisco come ti sei sentito, anche se indirettamente capisco cosa ti ha spinto a bere, ma per me sei sempre una persona meravigliosa che mai giudicherò.» conclusi definitivamente.
Non avevo mai raccontato a nessuno quella mia esperienza di vita, se così si può chiamare, esclusi ovviamente Alice e Marcus. Neanche alla polizia avevo detto qualcosa, era stata Alice a riferire ciò che io avevo visto.
C'erano state altre molte persone che avevano tentato di tirarmi fuori la storia per, dicevano loro, aiutarmi, ma mai avevo raccontato loro quello che avevo appena detto a Tyler. Passavo da uno psicologo ad un altro in poco tempo, nel giro di quattro mesi conoscevo già tutti gli strizzacervelli di Orlando, ma nessuno di loro conosceva la mia storia. Erano stati gli assistenti sociali ad obbligare Alice a mandarmi da psicologi su psicologi, altrimenti mi avrebbero mandata in un centro specializzato. Ero vista come la dodicenne che aveva visto morire i suoi genitori, la su a migliore amica e il padre adottivo, perché così lo consideravo come un secondo padre, nel giro di tre mesi. Ero quella che faceva pena, quella da aiutare quando ormai anch'io avevo capito che non potevano aiutarmi, nessuno di quegli strizzacervelli poteva aiutarmi, perché la soluzione, per una ragazzina di 12 anni, era poter riabbracciare i suoi genitori, nulla di più. Peccato che era impossibile.
Mi reputarono come un caso senza speranze, una di quelle persone che avrebbe in di tutto fatto ricadere tutto il suo solito sugli altri, facendoli soffrire a loro volta. Per ciò non dovetti più andare a sedute psicologiche né a quelle di gruppo a cui avevo dovuto partecipare per un mesetto circa.
« Capisco ciò che ha fatto Josh per te e penso che mai lo ringrazierò abbastanza perché se lui non ti avesse aiutato, se ti avesse fatto sprofondare come ho fatto io, a quest'ora io non ti avrei qui con me e non mi starei risolevando dalla vita, se così si può definire, che stavo avendo.» dissi risvegliandomi dai miei pensieri.
« No, non farlo.» disse severo.
« Fare cosa?» chiesi non capendo.
« Non colpevolizzarti, non è colpa tua se lui ha fatto ciò che ha fatto. Non so cosa lo abbia spinto a ridursi così quando aveva una figlia meravigliosa come te e una moglie che gli voleva bene, ma è stato lui a scegliere, nessuno lo ha obbligato e tu non potevi farci nulla.»
Feci un passo indietro quando sentii pronunciare la parola figlia. Se solo lui sapesse che fine aveva fatto la figlia di David allora capirebbe tutto.
No, non era ancora arrivato il momento di raccontargli tutto. Per ora poteva credere che lui fosse mio padre.
« Potevo farlo curare o semplicemente parlargliene, invece non l'ho fatto!» risposi.
« Ma non sei stata tu a digli di bere, non lo hai obbligato tu a bere, è stata una sua scelta.» disse.
Sapevo che aveva ragione, ma non ero del tutto innocente io.
« E poi c'era anche Alice, lei aveva visto tutto poteva dargli una mano lei.»
« Alice non era in forma in quel periodo.» minimizzai facendo un gesto con la mano in segno di lasciar perdere.
« Per questo hai avuto quella sfuriata quando ti ho chiesto perché non bevevi?» chiese allora.
Io annuii solamente abbassando lo sguardo.
« Grazie per avermelo detto.» mi rispose alzandomi il viso per guardarlo negli occhi.
Sapessi quante cose ancora devo dirti. Pensai. Lo guardai e sorrisi. Ero felice di essermi liberata di uno dei tanti segreti che avevo, mi sentivo come più leggera.
Volevo aggiungere ancora qualcosa, ma avevo come l'impressione che non ce l'avrei fatta a raccontargli altri particolare della mia vita perciò mi morsi il labbro inferiore per tacere.
Non so cosa suscitò in lui quel mio gesto, ma appena lo feci lui mi baciò. Adoravo quando mi baciava senza che io me lo aspettassi.
« Solo io posso morsicarti il labbro.» rise.
Io lo spintonai diventando leggermente rossa e lui fece due passi indietro per non cadere. A volte mi stupivo anch'io della mia forza.
« Cosa devi fare oggi?» mi chiese tornando serio.
« Dovrei andare a casa, devo sbrigare una faccenda con Simon.» dissi per rimanere sul vago.
Lui annuì senza chiedermi altro per fortuna.
« Beh, allora andiamo.» disse prendendomi per mano e uscendo dalla camera.
Salutammo gli altri e uscimmo di casa.
Durante il tragitto in moto, non potei fare a meno di chiedermi quante volte ancora sarebbe successo quello che era capitato la sera precedente e quella mattina. Quante volte ancora Tyler si sarebbe arrabbiato con me perché non gli raccontavo del mio passato? E quante volte avrei fatto lo stesso io con lui?
Sperai non succedesse più, ma mi sentivo che un giorno o l'altro non avremmo finito con il ridere alla fine del discorso.
« Eccoci arrivati.» mi disse risvegliandomi dai miei pensieri.
Gli sorrisi porgendogli il casco e, dopo averlo salutato, camminai verso casa.
Appena raggiunsi la porta del palazzo Tyler mi chiamò facendomi di conseguenza voltare verso di lui.
« Se vuoi stasera puoi tornare da me.» disse.
Non c'era un minimo imbarazzo nella sua voce, al contrario della mia appena gli risposi.
« Vedremo.» dissi sorridendo.
Lui annuì e partì in moto, sapendo che tanto la mia risposta era un si sicurissimo.
Entrai nel palazzo senza smettere di ridere, Tyler mi stava entrando nel profondo e non potevo più cacciarlo, nemmeno se avessi voluto.

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