Capitolo 28

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Quella sera non era come le altre. Sentivo qualcosa nell'aria che mi metteva ancora più paura, ma non potevo farci niente. Dovevo stare lì e controllare la situazione. Avevo solo dodici anni, ero troppo giovane per assistere a quelle scene, ma la vita mi riservava quello.
Era passata quasi mezz'ora da quando David si era seduto al bancone, non sapevo quanto aveva bevuto. Avevo perso il conto molti bicchieri prima.
Dalla panchina su cui ero seduta non si vedeva un granché, solo David girato di schiena su uno sgabello. Ero concertata su di lui, non sapevo neanche di che colore era il locale.
Non mi accorsi neanche che qualcuno entrò. Erano due uomini sulla cinquantina, si sedetterò al fianco di David, uno da una parte e l'altro dall'altra.
Ordinarono da bere e iniziarono a parlare anche con David. Non li avevo mai visti prima e non sapevo chi fossero, perciò iniziai a preoccuparmi.
Ad un certo punto, senza un apparente motivo, uno dei due sbatté la testa di David sul bancone, mentre l'altro gli sferrò un pugno nella costola destra. Continuarono a malmenarlo fino a quando David cadde dallo sgabello senza più rialzarsi.
Rimasi immobile per tutto il tempo. Benché il mio cervello dicesse di chiamare aiuto, il mio corpo non si mosse. Non sapevo il perché.
Vidi qualcuno muoversi all'interno del bar e subito dopo sentii le sirene dell'ambulanza. Probabilmente il barista aveva chiamato i soccorsi.
Solo in quel momento ripresi possesso del mio corpo. Iniziai a camminare frettolosamente, poi corsi. Non avevo una meta e non sapevo neanche per quanto corsi.
Raggiunsi un vicolo stretto e buio, in un posto che non avevo mai visto. Mi appoggiai al muro scivolando verso il basso e mi lasciai andare. Per quanto ne sapevo David poteva essere morto e io, come una codarda, ero scappata. Piansi senza mai smettere, le lacrime non smettevano di scendere e i singhiozzi rimbombavano nella via.

« Élodie!» sentii dire.
Alzai la testa dalle mie ginocchia ed aprii gli occhi. Ero nel salotto di casa, Alice era accovacciata davanti a me.
« Va tutto bene tesoro?» chiese preoccupata.
Non capivo. Ero seduta a terra vicino al divano del mio appartamento, piangevo e riuscivo a stento a tenere gli occhi aperti. Come avevo fatto ad arrivare lì? Mi ero addormentata nel mio letto. Guardai Alice con aria confusa.
« Ti ho sentita piangere e sono venuta a vedere se stavi bene, ma in camera non c'eri.» spiegò.
Merda, capii tutto.
Mi alzai di colpo da terra.
« Non è possibile, non di nuovo!» dissi.
Alice mise le mani sulle mie guance e mi sorrise.
« Va tutto bene.» mi consolò.
Era stato tutto un incubo, mi ero addormenta nel mio letto e mi ero risvegliata a terra in salotto.
« No Alice! Non va bene niente! Guarda dove sono!» dissi in preda alla rabbia.
Avevo combattuto molto per vincere il sonnambulismo e gli incubi e alla fine ce l'avevo fatta. Non poteva ricominciare la tortura.
« È un caso isolato, non succederà più.»
« Ho paura, ho di nuovo sognato quella notte. Sembrava tutto così reale.» dissi in preda ad un altro pianto.
« Lo so Élo, lo so.» mi abbracciò.
Si sedette sul divano ed io accanto a lei. Continuai a piangere, non parlammo più e lei mi accarezzò la schiena per tutto il tempo. Si addormentò per prima. Io rimasi a guardare la parete a lungo. Quella notte non dormii più, non ce la feci. Appena sorse il sole mi alzai attenta a non svegliare Alice e andai a farmi una doccia.
Rimasi a lungo sotto l'acqua, fino a quando questa non divenne fredda. Mi vestii velocemente e andai a sedermi sul mio letto. Presi il cellulare dal comodino, dove l'avevo lasciato la sera prima, e lo accesi.
Avevo venti messaggi non letti e cinque chiamate perse. Cos'era successo la sera precedente?
Aprii i messaggi.
Mi stupii appena vidi che la maggior parte erano di Tyler.
" Élodie! Stai bene?"
" Rispondimi!"
" Dove sei? Dobbiamo parlare"
" Non volevo essere stronzo, ti prego richiamami!"
" Mi dispiace, davvero!"
" Mi sto preoccupando!"
" Dove abiti?"
" Porca puttana Élodie! Rispondimi"
E altri messaggi simili. Forse avrei dovuto rispondergli perché sembrava veramente preoccupato, ma non lo feci e passai alla conversazione successiva.
Era Beatrice. Anche lei mi chiedeva se stavo bene e diceva che Tyler mi cercava. Le aveva chiesto anche dove abitavo così da poter venire a cercarmi. Ovviamente lei non gli aveva detto nulla. Le risposi ringraziandola e chiedendole scusa per essermene andata via presto.
Non mi rispose subito come era suo solito, ma erano solo le 7 di domenica mattina e probabilmente era ancora a dormire.
Decisi di guardare chi mi aveva telefonato, anche se sospettavo già chi fosse stato.
Come pensavo le chiamate perse erano di Tyler e due di Pet. Probabilmente gli aveva prestato il cellulare pensando che avrei risposto.
Bloccai il telefono e lo appoggiai di nuovo sul comodino.
Ero stanca, ma avevo paura ad addormentarmi. Mi coricai sul letto e fissai il soffitto.
Come avevo fatto a ricadere nel buco da cui ero riuscita ad uscire? Avevo combattuto il sonnambulismo e avevo vinto. Non volevo ricominciare da zero.
I miei pensieri vennero interrotti da qualcuno che bussava alla porta.
« Avanti!» dissi.
Entrò Alice.
« Come stai?» chiese sedendosi sul letto.
« Sto bene.» mentii.
Non avevo voglia di parlare.
« Ti ho portato qualcosa da mangiare. Sembri uno zombie, hai bisogno di cibo!» sorrise leggermente.
La ringraziai.
Lei sapeva come mi sentivo adesso. Era rimasta ad aiutarmi per tutto il tempo che svolgevo la terapia e conosceva il sollievo che avevo avuto appena ero riuscita a non fare più incubi.
Si stava di nuovo spezzando lentamente, rivedevo nel suo sguardo paura e angoscia. Non potevo lasciare che i miei problemi la distruggessero.
« Tu come stai?»
« Sto bene, ma non pensare a me Élo. Adesso ti lascio sola, devo andare a fare la spesa. Se hai bisogno chiamami.»
Annuii e lei uscì dalla stanza.
Appena sentii la porta dell'entrata chiudersi mi alzai dal letto e corsi in bagno. Mi vestii decentemente, mi sistemai i capelli e il trucco ed uscii di casa.
Avevo bisogno di distrarmi e non pensare così mi diressi in palestra.
La domenica era chiusa, ma sapevo dove Marcus metteva le chiavi ed entrai.
Rimasi lì dentro per tutta la mattinata. Era mezzogiorno quando smisi. Ero sfinita, ma ero riuscita a cacciare i brutti pensieri.


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