Capitolo 12

96 11 0
                                    

Il giorno dopo, come i seguenti, proseguirono senza troppi intoppi, anche se Luke si stava un po' stancando delle ragazze che ronzavano intorno ad Ashton fuori da scuola. Era geloso, assurdamente geloso, ed ogni volta che qualcuna gli si avvicinava aveva voglia di piombare lì ed esclamare "lasciatelo stare"; poi si sentiva uno stupido per questi pensieri, e cercava di lasciar perdere. Un giorno, però, fu più forte di lui.
Sapeva che l'avrebbe trovato lí con le ragazze, come sempre, così uscì di corsa non appena la campanella suonò, così da prendere un bel po' di distanza dagli altri due. Arrivò fuori e lo prese per un braccio.

"Potete scusarci?" Disse, scocciato.

"Scusa ma che hai?" Chiese Ashton.

Luke lo portò in una via poco trafficata, dov'erano coperti da una siepe. In fondo aveva agito un po' d'impulso, senza pensare alle ovvie conseguenze. Guardò per terra, un po' imbarazzato. "Ho ragione, diamine, non ho nessun motivo per essere imbarazzato" pensava, e alzò lo sguardo, sostenendo quello di Ashton che ancora si chiedeva cosa fosse successo.

"Mi da fastidio, ecco cos'ho" disse allora, piccato.

"Fastidio cosa, scusa?"

"Ogni volta che esco da scuola devo sempre cercare di tirarti fuori a forza da quella mandria di galline"

Ashton, a quel punto, sorrise teneramente.

"Sei geloso?" gli chiese.

Luke arrossì.
"...M-mi da fastidio e basta"

"Se è davvero per quello, allora, cosa dovrei dire io? Ti guardano tutte, Luke, alla festa le avrei uccise, e non potevo farci nulla"

"E perché non potevi farci nulla?"

"Perché..la festa è successa prima, dai.."

"Prima di cosa?" Luke faceva il finto tonto, avvicinandosi ad Ashton mordendosi il labbro, con uno sguardo che probabilmente avrebbe fatto svenire metà delle ragazze fuori scuola. Lo prese per la maglietta e lo avvicinò a sé, facendo premere il suo corpo contro il suo.

"Luke..." Sussurrò Ashton.

"Dimmi" gli chiese Luke tra le labbra.

"Io..."

"ASHTON! LUKE! DOVE DIAMINE SIETE?!" Eccoli.

Luke si allontanò sbuffando da Ashton, e tornarono dagli altri.
"Così è frustrante" pensavano.
Ogni pomeriggio, quando si trovavano a provare, con una scusa si allontanavano entrambi per pochi minuti, in garage, in bagno, nel cortile sul retro; poi, quando tornavano a casa si fermavano nel loro posto e parlavano di loro, dei loro problemi, dei loro sogni, di qualsiasi cosa gli passasse per la testa e che avevano voglia di condividere con l'altro.
Luke era felice; era come trovare degli angoli di paradiso durante la giornata. Si fidavano l'uno dell'altro, stavano bene insieme. Non c'era neanche il bisogno di sottolineare se fossero una coppia oppure no, era sottointeso, era evidente: si appartenevano; e quando arrivava la fine della settimana, quando non avevano le prove per potersi vedere, uscivano a fare un giro, prendevano un gelato nel centro città, passeggiavano sul lungomare tra il caos delle biciclette e dei bambini che giocavano a pallone; era la quotidinianità del loro rapporto che lo migliorava ogni giorno, poiché, dovendo comunque restare in incognito, riuscivano ad apprezzare ogni momento trascorso insieme.

"Ormai, non so come farei se te ne andassi, Luke" gli diceva, nel bagno al pianterreno di casa Calum.

"Perchè devi pensarci? Io non vado da nessuna parte" rispose l'altro.

"Sei forse il rischio più grande che io abbia mai corso, lo sai?" Chiedeva Ashton, mentre premeva piano lo sue labbra contro quelle del ragazzo.
"Ma anche la più bella ricompensa."

E si scioglievano tra i baci; e probabilmente sarebbe andata avanti così per un bel po' se Michael non avesse aperto la porta del bagno, e, spalancando gli occhi, non avesse lasciato cadere, per lo stupore, il bicchiere che teneva in mano, che si frantumò con un suono acuto in un milione di pezzi.
Luke si allontanò di colpo da Ashton, mentre l'altro rimaneva immobile. Nessuno dei tre spiccicava parola.
Passarono dei secondi imbarazzanti.

"Scusate" disse Michael, con la voce piatta, togliendo il disturbo e lasciandoli lì, con i frammenti di vetro sparsi per la stanza.
Luke era pallido, e sconvolto: ciò che più temeva era successo. Michael li aveva visti, li aveva visti quando non li avrebbe dovuti vedere, e, ancora peggio, non aveva detto nulla: se n'era andato in silenzio, con la faccia più incredula che Luke gli avesse mai visto fare.
Quando se ne fu andato, Ashton lo guardò negli occhi, mortificato. Nessuno diceva nulla; non osavano toccarsi di nuovo.  Poi Luke gli prese il polso, con decisione, e lo portò fuori dal bagno; gli lasciò il braccio e tornarono di là, cercando di fare finta di nulla. Michael non gli parlò per quasi tutto il giorno, se non per necessità; quando fu il momento di andare, Luke ed Ashton si allontanarono insieme, uno di fianco all'altro, in silenzio.
Quando si furono distanziati abbastanza, Ashton parlò.

"Andiamo al solito posto?" Chiese timoroso.

"Non lo so" mormorò Luke.

"Quello che è successo non cambia nulla tra di noi, vero?"

Luke esitò.

"Ho solo bisogno di stare un po' da solo, scusami"

"Va bene, lo capisco. Lo sai comunque...che io ci sono" la voce di Ashton sembrò rompersi.

"Si, grazie. A domani"

Luke si allontanò in silenzio, ed Ashton ebbe paura.
Ebbe paura di perderlo, sul serio. Rimase immobile come una statua, a guardarlo, mentre Luke si allontanava in un addio silenzioso dalla parte sbagliata rispetto a quella dove andavano felici ogni giorno. Lo guardava mentre dentro di sé aveva capito che qualcosa sarebbe cambiato; che quell' "un po' da solo" sarebbe potuto durare giorni, settimane, e magari non finire più. L'aveva visto negli occhi di Luke, che qualcosa si era rotto; così, invece di tornare a casa, si diresse al prato, per poi stendersi a guardare il cielo.

Chasing HeartsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora