Come ogni giorno mi alzai la mattina presto, al primo squillo della mia sveglia, non perché fossi contenta di andare in università, ma per l'ansia. Vivevo in un costante stato d'ansia. Di arrivare tardi, di incontrare qualcuno all'entrata, di non riuscire a prendere il posto, di dover parlare con qualche mio compagno di corso, di trovare traffico, di non trovare parcheggio. Più ci pensavo più mi venivano in mente possibili inconvenienti che mi avrebbero rovinato la giornata, se non la vita intera.In effetti all'epoca la mia vita non era esattamente serena; la mia decisione di trasferirmi a Milano da sola, lontana dalla mia famiglia e dalla mia spensieratezza, mi portava una serie di responsabilità e impegni decisamente troppo pesanti per una ragazza di appena 18 anni. Ad aggiungere il carico, la vita di una città come Milano era l'opposto della vita che avevo vissuto fino a quel momento nel mio paese d'origine, Somma Vesuviana, era molto più frenetica e molto più esigente.
Arrivai con mezz'ora d'anticipo, il grande edificio moderno era deserto. Non mi turbava più ormai, ero abituata alla solitudine, sia quando ero sola, sia quando mi trovavo con un gruppo di persone. La solitudine portava a osservare meglio, a cogliere tutti i dettagli. E a pensare.
Appena dopo il professore entrarono in aula le sue assistenti. Per quanto bravo fosse, aveva decisamente un debole per le belle donne, e soprattutto per quelle molto più giovani di lui. La loro carriera era segnata, gli bastava una scollatura un po' più profonda e una gonna un po' più corta per laurearsi con il massimo in tempo record. Rabbrividii al pensiero. Anni di lotta per l'emancipazione femminile, per permetterci di studiare e lavorare, buttati al vento.La voce calda e profonda del professor Varazzi stava già riempiendo la classe. Potevo vedere tutte le tipologie di studenti universitari; c'erano coloro che si erano segnati solo per accontentare i genitori, il cui volto era svogliato, neanche un astuccio avevano, qualche interessato alla lezione che già prendeva appunti, le ragazze rigorosamente senza trucco e con la coda di cavallo. Nell'ultima fila c'erano i ragazzi più popolari, segnati dalle occhiaie della nottata insonne appena passata, qualcuno persino dormiva con la testa sul banco, ovviamente erano circondati da ragazze, tutte molto insicure, in cerca di attenzione. In quel momento mi resi conto che mancava il fulcro di quel gruppo, il figlio di papà che incarnava perfettamente le qualità di fascista, maschilista, classista, arrogante e superficiale. Gennaro Raia.
Lo conoscevo già da molti anni ormai, era originario del mio stesso paese e veniva dal mio stesso liceo scientifico. Il padre era amministratore delegato della Sony, un uomo decisamente particolare. Ovviamente tra noi non c'era mai stato alcun tipo di rapporto, eravamo l'opposto, ma in qualche modo era una certezza che lui ci fosse, aveva accompagnato, seppur a dovuta distanza, ogni passo importante della mia vita, compreso trasferirmi.
Eccolo qua, avrei riconosciuto il suono della sua Mercedes Classe A a distanza di chilometri, due minuti dopo, il tempo di fumarsi una sigaretta, ed entrò in classe. Rigorosamente vestito di marca, con occhiali da sole e giacca di pelle. Lo sguardo del professore era un misto di fastidio e subordinazione a quel ragazzo, il padre non mancava di finanziare profumatamente un suo progetto in laboratorio.
Un suo passo dentro l'aula e già tutte le ragazze si erano ripassate il trucco e sistemate i capelli, le più audaci accavallavano le gambe e lo guardavano dritto negli occhi, con aria di sfida, le più timide arrossivano e sfuggivano al suo sguardo. Il suo sorriso non era perfetto, ma estremamente accattivante, assomigliava più a un ghigno, ed era contornato da due bellissime labbra carnose.
Con un gesto si tolse gli occhiali mostrando due occhiaie molto pesanti, appena sotto a due occhi di ghiaccio. Sfoderò il suo sguardo più attraente per un paio di ragazze, probabilmente se le sarebbe portate a letto entro la fine della giornata. La sua vita era così, una continua festa nei locali più esclusivi, sperperava soldi in lussi estremi. Nessuna responsabilità, nessun pensiero ad affliggergli la mente.
Anche se rinnegavo tutto ciò che apparteneva a quel mondo, mi rendevo conto che mancava la presenza di un ragazzo nella mia vita. A 18 anni ero ancora vergine, e l'unico bacio che avevo dato era stato durante il gioco della bottiglia. Non che ne avessi bisogno per sentirmi completa, ma solo per non sentirmi completamente sbagliata, volevo una certezza che qualcuno nel mondo prima o poi avrebbe amato anche una come me.
Tornata a casa, mangiai la mia solita insalatina insipida, nonostante vivessi da sola la mia abilità nel cucinare non era granché aumentata. Aprii la posta: bollette, bollette, una cartolina da parte dei miei genitori, e altre bollette. Le spese mi divoravano, e i soldi che mi mandavano i miei non bastavano minimamente. Non riuscivo a dirglielo, mi sarei sentita troppo in colpa, perciò preferivo arrotondare facendo ripetizioni. Un ennesimo impegno in più che mi toglieva tempo allo studio, fortunatamente avevo un'ottima memoria che mi permetteva di superare gli esami con facilità.
Quel giorno dovevo sbrigarmi; dovevo andare da un cliente che mi avrebbe pagato 30€ l'ora, cosa che avveniva molto raramente. Doveva essere una persona rilevante, perché mi aveva fatto contattare da un suo domestico e mi aveva detto di scegliere il prezzo che più ritenevo adatto. Prima di uscire diedi un'occhiata alla mia immagine nello specchio. Ero molto magra sotto i pesanti vestiti che mi coprivano ogni centimetro di pelle, un maglione di lana a collo alto verde, un paio di pantaloni neri larghi, mocassini e un cappellino nero. Non ero esattamente l'esempio di femminilità con gli occhiali rotondi e uno chignon basso, ma mi consolai dicendo che stavo andando solo a lavorare, e che non dovevo essere perfetta, né bella, né sexy.
Arrivai davanti alla casa del mio cliente, era molto grande ed aveva un bellissimo giardino. Restai un po' spaesata per qualche secondo, finché non citofonai e fui invitata ad entrare.
STAI LEGGENDO
"Come tu mi vuoi"
FanfictionElisabetta e Gennaro. Così diversi, ma il destino li vorrà sempre vicini, per quanto loro cerchino di allontanarsi si ritroveranno sempre legati, intrecciati, in un rapporto di sentimenti contrastanti.