Confusione - Gennaro

343 35 8
                                    


Mi guardò con un espressione sconvolta. Immaginai che quel lieve contatto tra le nostre labbra fosse il primo dopo tanto tempo che non baciava un ragazzo. Mi faceva tenerezza, mi dispiaceva quasi. Non volevo soffrisse, perciò le presi la mano e mi sforzai di rivolgerle uno sguardo rassicurante.

-"A cosa pensi?" Le chiesi, con tono dolce.

Ci mise un po' a rispondere. Le tremavano le labbra, dettaglio che la faceva sembrare ancora più piccola, se non sapessi che ha solo un anno meno di me potrebbe sembrarmi tranquillamente una quindicenne.

Con quel corpo così minuto e androgino, e con il viso sempre privo di trucco. Immaginai come sarebbe stato fare sesso con lei, considerato che se volevo si affezionasse a me prima o poi sarebbe dovuto succedere. Non volevo s'innamorasse, non ero così cattivo da volerla far stare male, mi bastava s'invaghisse al punto da aiutarmi a passare gli esami.

A proposito di esami, mancavano solo due giorni al successivo, e ancora percepivo distanza tra di noi.

-"A quello che è appena successo." Disse con lo sguardo rivolto verso il basso e la voce roca, segno che la situazione la metteva a disagio.

-"Vuoi parlarne?" Cercai un contatto visivo, ma il suo sguardo persisteva sulle sue scarpe mentre muoveva nervosamente i piedi. Non rispose.

-"Allora per ora faremo finta che non sia successo- dissi deciso -d'accordo?" Sollevò lo sguardo e annuì lentamente. 

Cominciammo a studiare. Appena cominciammo a parlare di matematica si sciolse, non mi sembrava più in imbarazzo. Rispetto alla lezione precedente non aveva appunti o esercizi da mostrarmi, segno che era stata molto impegnata in altro e che aveva trascurato la scuola. Nonostante ciò, le risultava tutto con molta facilità, mentre facevamo i problemi sembrava non si sforzasse neanche di ragionarci su.

La sua intelligenza non smetteva di stupirmi. 

Al termine dell'ora di studio da trascorrere insieme, la vidi riprendere ad agitarsi. Questa volta si stuzzicava un elastico che aveva al polso. Le strinsi la parte del corpo in questione, facendola quasi sussultare.

-"Posso chiederti un parere su una canzone che sto scrivendo?"

Le vidi gli occhi illuminarsi, immaginavo di colpire a segno con la musica. Senza aspettare una sua risposta mi sedetti sul letto e presi la chitarra. Lei restò seduta alla scrivania, allora con un gesto della mano che batteva sul letto le indicai di sedersi accanto a me. Aspettò qualche secondo titubante fissando quello spazio vuoto accanto a me, e poi si avvicinò.

Dal punto in cui si trovava non ci sfioravamo neanche, perciò mi spostai verso di lei in modo che le nostre ginocchia si toccassero. Subito il suo sguardo si fiondò su quel contatto e arrossì. Com'era possibile che si emozionasse per così poco? Sorrisi pensando a quanto sarebbe stato imbarazzante per lei quando avrei dovuto spogliarla.

Controllai che la chitarra fosse accordata, dopodiché le sorrisi velocemente e cominciai a cantare.

Socchiusi gli occhi, oramai riconoscevo le corde a memoria. I miei pensieri si bloccarono, tutta l'energia del mio corpo si concentrò sulla mia voce, e ne uscì una vibrazione calda e pulita. Le dita scorrevano sicure sul manico della mia adorata chitarra, ne avevo tante, ma questa non mi aveva mai abbandonato da quando mi era stata regalata il primo anno delle superiori.

Se ripenso a quell'epoca, mi rendo conto di quanto debole io sia stato.
Ricordo che sognavo di diventare un cantante, di girare il mondo, ma di restare sempre legato ai miei amici. E, invece, mano a mano, avevo dovuto abbandonare quelle persone a cui tanto tenevo perché mio padre non reputava avere un rapporto con loro abbastanza fruttifero, mi ero dovuto trasferire dall'ambiente in cui ero cresciuto perché troppo poco stimolante, e mi ero dovuto iscrivere a una facoltà universitaria di cui non mi era mai importato nulla perché un futuro da cantante era troppo rischioso. 

Fermai violentemente il vibrare delle corde con la mano destra, il ché fece sussultare leggermente Elisabetta, che aveva anche lei gli occhi chiusi. Strinsi i pugni e serrai la mascella. Sentivo che stavo iniziando a tremare, ma mi rendevo conto in ritardo di quello che stava per succedere.

Il mio sguardo era fisso sui suoi occhi, non riuscivo a distoglierlo. I suoi occhi erano come magnetici. Sentivo la sua voce parlarmi soffusamente, capì che mi aveva fatto scendere dal letto e sdraiare sul tappeto della mia stanza. Il suo sguardo era preoccupato, ma il resto del suo viso forzatamente rilassato. Non riuscivo a sentire quello che mi diceva, il suono martellante del mio cuore copriva la sua voce.

Improvvisamente lo sentii rallentare. Le sue labbra erano poggiate sulle mie e le sue mani tremavano sulla pelle delle mi braccia. Due calde lacrime mi bagnarono il viso, ma non erano mie. La mia impressione fu che quel bacio fosse eterno. Sembrava non finire mai.

Quando ci allontanammo, notai più sicurezza sul suo viso, rispetto al bacio precedente. Questa volta, quello sconvolto dalla situazione ero io. Non mi capacitavo che ci fosse riuscita per la seconda volta. Mi aveva calmato in massimo cinque minuti, e la cosa più assurda era che l'aveva fatto baciandomi.

Avevo accettato l'uso della musica, perché in fondo aveva sempre avuto il potere di calmarmi e di farmi riflettere, ma come un suo bacio mi avesse trasmesso sensazioni simili, no, proprio non ero in grado di spiegarmelo.

"Come tu mi vuoi"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora