Novità

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Misi le mani in tasca e appoggiai la testa contro il vetro freddo del finestrino. Anche se il mondo esterno era fermo, ed eravamo noi a muoverci, avevo la sensazione che tutto corresse velocemente. Le macchine, le strade, i palazzi, il tempo. Le persone stesse. Erano tutti così impegnati a correre, a sbrigarsi, vittime del vortice frenetico della vita, da non accorgersi di star perdendo tempo, di star sprecando una parte importante della stessa vita.

Io stessa ero come quelle persone. Avevo mollato tutto ciò che mi rendesse felice, per andare a vivere in un buco, nella periferia di una città che mi faceva schifo. Usavo tutto il mio tempo libero dallo studio andando a lavorare, non prendendomi mai del tempo per me. E tutto per cosa? Per una laurea che forse mi avrebbe permesso di cominciare una vita altrettanto frenetica e stressante? Ne valeva la pena?

Non me l'ero mai chiesto. Avevo avuto dei dubbi sul percorso, se alla fine ce l'avrei fatta, se sarei stata abbastanza forte, ma mai sull'arrivo.

Mentre ero persa in questi pensieri cominciai a riconoscere qualche strada. Eravamo nella zona ricca della città. Non capivo ancora come quell'uomo potesse pensare di aiutarmi portandomi in quel quartiere, ma decisi di non chiedere ulteriori informazioni. Furono le parole che aveva usato Gennaro quando mi aveva salutato a tranquillizzarmi.

Superammo casa di Gennaro, e ci fermammo appena dopo. Parcheggiò l'auto in un garage, e mi aprì la portiera, questi gesti mi stupivano sempre.
Dopodiché prendemmo l'ascensore per raggiungere il piano terra.
Durante il tragitto potei osservare meglio il signor Marchettini. Mi era sembrato più giovane da lontano, invece in quel momento notai varie rughe che gli segnavano il viso.

Sentendosi osservato, abbassò lo sguardo su di me.
-"Mi conferma che lavora assieme alla famiglia Iodice?"
Annuì, ma non capì il suo interesse nel pormi quella domanda.

Ci avvicinammo a una portineria dove si trovava una donna di mezz'età intenta a sistemare dei documenti. Quando si accorse della nostra presenza ci sorride, salutando il mio accompagnatore.
Lui le rispose:-"Salve Stefania. Lei è la nuova barista del Camden Lock, quale le spetta?"

-"Ah, giusto. Dammi un minuto."
La vidi cercare nei documenti che aveva davanti, finché non trovò un modulo da compilare, dove l'unico campo non da scrivere era il mio nome completo.

Continuavo a non capire, ma avevo la sensazione che a breve avrei ricevuto spiegazioni.
Mi fu chiesto di completare il modulo e così feci. Le ultime richieste erano relative alla mia situazione familiare, inserì che vivevo da sola senza animali.

Quando la signora Stefania lesse quelle ultime informazioni mi consegnò delle chiavi, e il signor Marchettini si offrì di accompagnarmi lui stesso al mio appartamento.

Appena fummo fuori dal raggio di ascolto della portiera mi rivolsi a lui.
-"Non ho idea di come potrò pagare un appartamento in questo quartiere, e soprattutto cosa c'entri con il mio lavoro."
Dissi con tono leggermente irritato, mi dava fastidio non essere a conoscenze di cose che mi riguardavano così profondamente.

L'uomo prese un bel respiro e iniziò a parlare velocemente.
-"Non so se ne è a conoscenza, ma il Camden Lock è di proprietà del Signor Raia, e, di conseguenza, lei è una dipendente del Signor Raia. Egli mette a disposizione questi palazzi di sua proprietà come dependance dei suoi dipendenti, ai quali scala il basso affitto dallo stipendio, con l'unica condizione di essere reperibili e pronti a lavorare in qualsiasi momento della giornata, escluse ferie."

Ci fu qualche istante di silenzio. Dovevo ancora metabolizzare la quantità di informazioni che avevo ricevuto con quella risposta.

-"Il signor Raia sarebbe il padre di Gennaro?"

-"Esattamente."

Per quanto la situazione m'imbarazzasse, era un'occasione che non potevo rifiutare.

Aprii la porta davanti alla quale si era fermato l'autista. Interno 10. Eravamo al quinto piano.
La casa era piccola, c'era un piccolo ingresso con un paio di poltroncine, una stanza da letto con una tv, un bagno sui toni del grigio perla e una cucina.
Annesso alla camera c'era un piccolo balcone con uno stendino per i panni, che dava sul giardino dei Raia.

Il signor Marchettini era rimasto fuori dalla porta. Lo raggiunsi e lo salutai, ringraziandolo per tutto quello che aveva fatto.
Lo vidi sciogliersi leggermente in un sorriso, dopodiché tornò alla sua solita aria austera, informandomi che la mia auto sarebbe stata parcheggiata questo pomeriggio nel garage sotto al palazzo, al parcheggio dell'interno 10, con le mie valigie nel portabagagli.

Mi chiesi come facessero a sapere dove vivevo precedentemente, ma non feci domande e annuì.

Dopo che si fu congedato, la prima cosa che feci fu lanciarmi sul letto, tanto ero esausta dalla giornata pesante, nonostante fosse ancora ora di pranzo.

"Come tu mi vuoi"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora