-"Pronto?" Dissi con voce tremante.
-"Ciao Elisabetta, sono Gennaro." Il suo tono era distaccato ma cordiale.
-"Ciao Gennaro, dimmi."
-"Volevo chiederti quando volevamo organizzarci per la prossima ripetizione, per te andrebbe bene domani?"
-"Sì." Cercavo di rispondere a monosillabi per non fargli sentire che non stavo bene, ma continuavo a sentire un nodo alla gola.
-"D'accordo, allora facciamo alla stessa ora." Sembrava più un'affermazione che una domanda, la cosa mi diede leggermente fastidio.
-"Sì."
-"A domani, Eli."
Attaccai senza rispondere.
Quella telefonata, quel soprannome. Troppe emozioni, non riuscì neanche a piangere. I pensieri cominciarono a scorrere impetuosamente nella mia testa, lasciandomi disorientata.
Solo i miei genitori mi chiamavano in quel modo, e ormai non sentivo quel soprannome da tanto tempo. Non riuscivo a capire l'atteggiamento di Gennaro; ero io che mi stavo immaginando delle attenzioni da parte sua o erano reali? Come mai uno come lui mostrava anche solo un minimo interesse a conversare con la sottoscritta? Non mi davo spiegazioni, cosa che raramente mi era capitata nella mia vita, avevo sempre trovato una soluzione e una spiegazione sensata a tutto. Ma ora tutto nella mia mente di ragazza asociale tendente all'apatia era stato sconvolto nel giro di neanche 24 ore. Pensavo tutto il giorno al ragazzo che consideravo più lontano dalla mia concezione di ragazzo ideale, ero senza casa, con un lavoro praticamente inesistente, e non avevo nessuno.
Che fare? A questa domanda di risposte ce n'erano tante. Abbandonare tutto, tornare dai miei, andare all'Università di Napoli. Crogiolarmi nelle mie lacrime, aspettando un miracolo celeste. Diventare a tutti gli effetti una senzatetto e informarmi dove fosse la Caritas più vicina. Cercarmi un lavoro decente.
Poche certezze mi erano rimaste, ma se c'era una cosa che sapevo, era che nessuno avrebbe avuto ulteriori soddisfazioni nel vedermi crollare e abbandonare un obiettivo. Infilai il cappotto e uscì di casa, era ora di reagire, era ora di cercarsi un lavoro.
Mi recai all'edicola e comprai uno di quei giornali dove vengono inseriti quasi solo annunci di chi cerca lavoro o di chi ha bisogno di assumere dipendenti. Mi rinfilai infreddolita in macchina, e cominciai a sfogliarlo. Prima di leggere anche solo il primo annuncio, già un brivido che conoscevo più che bene mi scivolò lungo la schiena: ansia. E se non avessi trovato niente per me? Inspirai profondamente, a occhi chiusi. Espirai. Mi guardai attorno, quella macchina era di mia zia, era così vecchia che non l'avevano voluta neanche da rottamare. Una piccola FIAT 500 verde petrolio risalente come minimo agli anni '80, alcune parti erano un pochino malridotte ma non mi lamentavo. Quando me la regalarono ero stata così felice, non mi piaceva neanche all'epoca, ma aveva un valore simbolico. Fiducia da parte dei miei genitori, mia indipendenza, autonomia, e in pochi mesi mi ero già affezionata a quel rottame.
E se l'avessi dovuta vendere? Ne sarei stata in grado?
Ricacciai indietro quei pensieri e infilai gli occhiali, non avevo tempo da perdere per farmi prendere dall'angoscia.Erano davvero pochi i lavori disponibili per una ragazza al di sotto dei 21 anni e senza un diploma di un istituto tecnico. In effetti, mi rendevo conto che non ero minimamente preparata per quasi nessuno dei lavori elencati. Dopo aver fatto mente locale, le mie possibilità erano tre: commessa in un negozio di abiti, cassiera in un locale e aiuto segretaria per uno studio commercialista. Ovviamente la mia migliore opzione era la terza, ambiente più stimolante in relazione a come immaginavo sarebbe stato il mio futuro lavorativo, orario part-time, migliore pagamento. Una sensazione positiva mi investì, presi il telefono e chiamai il numero segnato.
Finalmente una notizia positiva, mi avrebbero ricevuto per un colloquio il giorno seguente, ma ovviamente anche le cose belle mi portavano problemi. Infatti, l'orario per il colloquio si accavallava con l'appuntamento con Gennaro.
Sapevo di doverlo avvertire. Ero una persona educata, e quel ragazzo, seppure non lo apprezzassi completamente, si era comportato con me sempre in modo gentile. Eppure sentivo una sorta di barriera tra noi due, non dovuta all'imbarazzo o al fatto che non avessimo molta confidenza, ma al timore. In quell'esatto momento, mi resi conto di avere timore che si facesse una cattiva opinione su di me e, di conseguenza, di avere interesse che ne avesse una positiva. E se mi avesse reputata una "sfigata" o una stupida? Cercai di ricordare l'ultima volta che mi era capitato mi importasse con un mio coetaneo, ma non mi venne in mente nessun nome. Cosa mi stava succedendo?
L'ennesima domanda senza risposta.
Decisi di scrivergli un messaggio. Dopo la quinta volta che lo scrivevo e poi cancellavo tutto mi ero quasi convinta della mia breve affermazione, e inviai.
"Ciao Gennaro, domani ho un impegno."
Più lo rileggevo più mi rendevo conto che non andasse bene, non sembravo disperata, o interessata a vederlo, ma neanche minimamente gentile. Dopo pochi secondi mi rispose.
"Capisco, tranquilla. Vogliamo fare dopo domani alle 18?"
Già il fatto che non scrivesse con le abbreviazioni mi fece tirare un sospiro di sollievo, c'era gente che ancora lo faceva. Il fatto che avesse risposto così in fretta mi fece abbozzare un sorriso, ma come d'istinto mi girai subito a controllare che nessuno mi avesse visto, non ricordandomi di trovarmi ancora chiusa in macchina parcheggiata di fronte all'edicola. In effetti era piuttosto tardi, forse sarebbe stato meglio tornare a casa. Mi corressi mentalmente sul fatto che non fosse più la mia "casa". Risposi un semplice "Ok." per continuare la mia farsa di finta disinteressata, e mi diressi verso casa.
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"Come tu mi vuoi"
FanfictionElisabetta e Gennaro. Così diversi, ma il destino li vorrà sempre vicini, per quanto loro cerchino di allontanarsi si ritroveranno sempre legati, intrecciati, in un rapporto di sentimenti contrastanti.