Confusione

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Non feci in tempo a chiudere gli occhi che sentii il telefono vibrare sul copriletto. Senza neanche guardare dove fosse, tastai il letto finché non lo trovai e me lo avvicinai al viso.

Gennaro mi aveva inviato un messaggio.

-"Come procede? So che hai già congedato il mio autista, vuoi che ti passi a prendere?" Lo lessi e sospirai. Il modo in cui mi aveva scritto era amichevole, e trovai carino da parte sua interessarsi al procedimento della mia giornata e proporsi di passarmi a prendere. 

Non essendomi mai avvicinata al mondo dei ragazzi, non capivo se le attenzioni che mi rivolgeva erano normali o particolarmente affettuose, magari spinte da un sentimento diverso dall'amicizia, ma mi rendevo perfettamente conto di essere sempre alla ricerca delle suddette attenzioni.

Risposi velocemente per non farlo aspettare molto.

-"Tutto bene, grazie. Sì, mi è stato molto utile. No, ti ringrazio, ma posso venire da sola senza problemi. A stasera."

Infilai il telefono in tasca e decisi di uscire. Sia perché dovevo assolutamente andare a fare la spesa e recuperare le mie cose dalla macchina, ma anche per il piacere di una passeggiata, era da molto che non camminavo un po'.

Approfittai del tempo che avevo per riflettere un po' e per ascoltare della musica. Ovviamente, non prestai attenzione al percorso che stavo facendo e persi molto tempo per ritornare a casa. Faticai molto perché, in aggiunta a ciò, tra buste della spesa e valigie ero carica come un mulo.

Rientrata a casa mi soffermai a guardarmi allo specchio. Avevo un aspetto orribile. 

Non era da me, ma pensai di voler indossare qualcosa di più carino. Stavo andando solamente a lavorare, ma sarei stata pur sempre in compagnia di Gennaro. Provai quasi tutti i miei vestiti, non restando soddisfatta da nessuno di loro. Quando mi resi conto che se avessi perso altro tempo sarei arrivata in ritardo, mi decisi per un paio di jeans stretti che non mettevo da anni, con un maglione che mi arrivava alla vita a righe bianche e grigie. Sciolsi i capelli e misi le lenti a contatto.

Sorrisi davanti allo specchio, non ero poi così male.

Acchiappai la borsa con i libri e mi avviai verso casa di Gennaro.

Appena arrivai davanti al cancello una sensazione strana mi invase lo stomaco, non avevo mai provato nulla di così intenso, mi sembrava simile all'ansia. 

Come la volta precedente mi aprì una domestica, questa volta sapevo già cosa mi attendesse, perciò le consegnai il cappotto e mi spostai sulle scale per raggiungere la camera di Gennaro.

La porta era chiusa, e potevo sentirlo suonare già dall'inizio del corridoio. Mi fermai un po' là fuori per ascoltarlo, la sua voce mi piaceva così tanto. Poi, dopo averlo ascoltato cantare quelle belle parole con Alessio, quello era diventato un capitolo della sua vita che mi affascinava terribilmente.

Non pensavo si fosse accorto della mia presenza, eppure alla fine della canzone sentì la sua voce chiamarmi.

-"Ho finito, puoi entrare." 

Aprii la porta e me lo ritrovai davanti seduto per terra, a gambe incrociate, con la chitarra appoggiata sulle gambe. Indossava dei semplici jeans scuri con una maglietta a maniche corte che si adattava perfettamente al suo fisico magro ma tonico, mettendone in risalto i muscoli delle braccia.

Appena il suo sguardo si alzò su di me, scrutandomi dalla testa ai piedi con un sorriso compiaciuto stampato in viso, sentii le guance arrossire e distolsi lo sguardo, sedendomi alla scrivania.

-"Non mi saluti?" Sussurrò al mio orecchio. Era chino su di me, ma senza sfiorarmi in nessuna parte del corpo. Mi girai lentamente per paura di ritrovarmi troppo vicino a lui, e, con il cuore che avevo paura si sentisse all'esterno da quanto batteva velocemente, mi sforzai di non mostrarmi in preda alle emozioni. Gli sorrisi.

-"Ciao Gennaro. Da cosa vogliamo cominciare?" Subito ripresi la mia posizione iniziale verso la scrivania e mi misi a fingere di cercare qualcosa nella borsa, respirando lentamente per riprendere il controllo del mio battito cardiaco.

-"Stai bene vestita così. Mi piaci." Quelle parole rimbombarono nella mia mente, nessuno era mai stato così diretto con me, specialmente nel farmi un complimento.

Con tutta la mia forza e mantenendo lo sguardo basso gli risposi:-"Ti ringrazio, Gennaro; ma, ti prego, cominciamo a studiare."

Si spostò davanti a me, costringendolo a guardarlo negli occhi. Quegli occhi, così profondi e così belli. -"Mi preghi?" Disse sottovoce.

Eravamo vicinissimi, le nostre fronti si sfioravano. Non risposi. Il mio cervello non era più in grado di formulare una risposta in grado di togliermi da quella situazione che percepivo così sbagliata, e, probabilmente se anche avessi avuto qualcosa da dire non mi sarebbe uscita la voce.

La mia espressione era confusa, io stessa lo ero. Non capivo il suo comportamento, nessuno s'interessava mai a me, come poteva farlo proprio lui. Non capivo neanche me stessa, in fondo era sempre Gennaro Raia, lo stesso che fino a una settimana prima rideva di me all'ultimo banco. 

Quella di Gennaro era invece rassicurante, dolce, ma seria.

Interruppe i miei pensieri, lasciandomi un bacio sulle labbra. Il mio primo bacio. Fu un bacio lieve, ma intenso, per quello che mi riguarda. Mi lasciò stupida, tant'è che mi portai subito una mano alle labbra per capacitarmi che fosse accaduto davvero. Non sapevo cosa dire.

Lui mi sorrise dolcemente, e mi prese la mano.

"Come tu mi vuoi"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora