Intransigenza

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Di certo non ero stupida. Avevo tanti difetti, tante insicurezze e imperfezioni ma, di certo, non ero una ragazza stupida. La storia del ragazzo bello e ricco di cui è innamorata mezza scuola che, improvvisamente, dopo anni che si conoscono e si ignorano, s'interessa della ragazza emarginata e povera, non mi aveva mai convinto del tutto, ma, ovviamente, mi ero lasciata illudere.

Inoltre le voci a scuola giravano, e persino io, solitamente esclusa da quei giri, le avevo sentite. Pensavano tutti che mi stesse sfruttando per i miei voti scolastici o che mi stesse dedicando attenzioni per una scommessa, per poi deridermi con il suo gruppo.

Dei passi, dapprima veloci, poi man mano sempre più lenti, mi risvegliarono dal turbine di pensieri che si stava facendo largo nella mia testa, senza però giungere a una conclusione.

Non feci in tempo a voltarmi per vedere chi stava camminando nella mia direzione, quando Alessio mi strinse forte in un abbraccio protettivo.

Quel gesto inconsapevolmente mi incentivò a piangere ancora più disperatamente, bagnandogli di lacrime la camicia.

-"Tu non meriti questo." Mi sussurrò all'orecchio dolcemente, spostandomi i capelli.
Avrei voluto rispondere, ma né la testa per trovare una risposta, né tanto meno la voce per aprire bocca mi assistettero, perciò mi strinsi solo di più a lui.

Dopo qualche secondo in quella posizione, con la sua mano che mi accarezzava la spalla, mi disse in modo risoluto: -"Ti porto a casa, andiamo." Annuii, e lo seguii verso la sua auto.

In macchina ebbi modo di guardarmi allo specchietto, e non potei non notare quanto ero brutta: avevo il trucco colato, gli occhi gonfi di pianto e il naso rosso, motivo per cui mi levai le scarpe e mi accoccolai sul sedile, nascondendo il viso tra le ginocchia.

Ad Alessio, guardandomi in quella posizione, scappò una risatina, dopodiché aggiunse: -"Così sei identica al mio gatto quando cerca di guardarsi la coda"
Apprezzai molto il suo tentativo di sollevarmi il morale, ma non ero dell'umore per dimostrarglielo con una risata.

Fortunatamente capì e, senza offendersi, fece partire un po' di musica tranquilla. Inizialmente mi aiutò a rilassarmi, finché i rumori esterni si fecero sempre più ovattati, fino a diventare sordi, le palpebre pesanti, e le immagini completamente nere.

Quando mi risvegliai, ero nel mio letto, completamente vestita, ma con le coperte rimboccate. Ai piedi del letto le mie scarpe, sulla sedia della scrivania la mia giacca, e sul comodino un bigliettino, scritto sul retro di uno scontrino.

"La mia gatta è più leggera. Buonanotte e sogni d'oro Lizzie. Xthebug."

Ancora stordita dal sonno, impiegai qualche secondo a capire che "Xthebug" era Alessio, e che mi aveva portata in braccio fino a casa mia, dopo che mi ero addormentata sul sedile della sua macchina.

Lo immaginai un po' maldestro, mentre cercava le chiavi nella mia borsetta, il tutto con me a penzoloni sulla spalla, e sorrisi di gusto.

Guardai l'ora, erano le 5:10, ed era chiaro che non mi sarei più riaddormentata, perciò preferii alzarmi per sistemarmi un po': struccarmi, mettere un paio di pantaloni della tuta, e magari farmi una tisana.

Mentre ero impegnata in quelle mansioni, un rumore stridente di una sgommata richiamò la mia attenzione verso la finestra. Mi affacciai curiosa, e mi trovai davanti l'ultima scena che avrei voluto vedere.

Gennaro, probabilmente ubriaco, che aveva lasciato la macchina parcheggiata in mezzo al suo giardino, e che si accingeva a far entrare in casa sua la ragazza con cui l'avevo visto insieme qualche ora prima, intenta a ridere e a barcollare sui tacchi più alti che avessi mai visto, probabilmente anche lei ubriaca.

Lui sembrava serio e, per qualche istante, mi sembrò anche girarsi verso la mia finestra illuminata, ma ciò non era possibile: mi aveva dimostrato oramai troppe volte quanto poco gli importasse di me.

Quella scena fece riscattare in me il meccanismo che da sempre mi aveva messo in imbarazzo nelle più disparate situazioni: il pianto incontrollabile.

Mi buttai sul letto e spensi la luce.
Soffocai nel cuscino i miei respiri già pesanti. E ricominciai a torturarmi pensando a quanto facile era stato per lui illudermi, e quanto sarebbe stato divertente prendermi in giro con i suoi amici.

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Il giorno seguente non andai a scuola. Neanche il successivo, e così per tutta la settimana.
Il solo pensiero di doverlo rivedere mi faceva tremare, e non avevo alcuna intenzione di mostrarmi così debole davanti ai suoi occhi.

L'unica gioia dei miei giorni anti-Gennaro, era stato Alessio. Ogni giorno era passato a trovarmi, nei diversi orari della giornata. Avevamo mangiato pizza dal cartone sul mio letto, guardato puntate di Grey's Anatomy (e pianto insieme) in camera sua, fatto passeggiate, e anche un po' di shopping, ovviamente in compagnia di Valentina.

Per quello che riguarda il lavoro, aveva rivoluzionato l'orario dei turni quasi ogni giorno, per assicurarsi che io non avrei mai dovuto affrontare Gennaro in quella situazione.

Il nostro rapporto andava stringendosi sempre di più, e la cosa mi rendeva davvero felice, ma allo stesso tempo sentivo una certa pressione. Quasi tutti i giorni si vedeva con Gennaro, ed ogni volta era costretto a usare scuse palesi per non dirmelo, avevano fatto un'esibizione il venerdì sera, avrei voluto vedere Alessio ma per evitare il suo compagno me l'ero persa, persino in ogni aneddoto che mi raccontava per farmi ridere c'era Gennaro. Quei due erano inseparabili e, per quanto Alessio stesse attento a non parlarmi di Gennaro, sentivo che questa situazione divisa a metà lo faceva stare male.

Avrei voluto chiarire con lui, per lo meno per alleviare la condizione di Alessio, ma il mio orgoglio e la mia sofferenza me lo impedivano. Non avevo intenzione di perdonarlo.

"Come tu mi vuoi"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora