Gennaro

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Ancora non me ne capacitavo. Il tempo era passato così in fretta, perso nei miei pensieri. 

Lei era davvero intelligente, speravo sarebbe stato più facile ingannarla. Speravo bastasse qualche sorriso, qualche sguardo profondo, un bacio magari, poi avrei mantenuto un rapporto altalenante, sfruttandola all'occorrenza nel periodo degli esami, e ignorandola quando non avevo bisogno di lei. Tanto, non aveva mai avuto nessun tipo di contatto con i ragazzi, e non sarebbero di certo cominciati. 

Non ero una persona cattiva o opportunista, semplicemente ero disposto a tutto per la mia passione, la musica. La richiesta di mio padre era stata chiara, avrebbe investito i soldi che usava per corrompere i miei professori nella mia musica, a patto che mi fossi comunque laureato.

Non avevo saputo neanche ribattere. Quell'uomo mi incuteva così tanto timore, e provavo tanto odio. Avrei voluto dirgli tante cose, urlargli tante cose, tutto ciò che non gli avevo mai perdonato, a partire dal tradimento della mamma. Dio, quanto odiavo che l'avesse fatta soffrire così tanto. 

Ad Alessio, ovviamente, non avevo potuto dire nulla di quelle condizioni. Si sarebbe fatto in quattro per aiutarmi a studiare, non capendo che ero rimasto troppo indietro per poter passare qualunque tipo di esame. Avrebbe trascurato la musica. Non potevo permetterlo. Fui grato di aver preso quella decisione, quando scoprì che lei aveva iniziato a lavorare da Camden, il nostro bar.

Eppure la faccenda si stava facendo più complicata di come l'avevo pensata. La data del primo esame si avvicinava, e lei era ancora molto restia allo starmi accanto. 

Non la facevo una persona così intrigante, l'avevo sempre considerata una secchiona, fin dalla prima elementare. Non era brutta, ma era trasandata e trascurata, e i miei gusti erano molto difficili. Anche se la sera precedente l'avevo trovata quasi carina, ma immaginavo c'entrasse lo zampino di Valentina.

L'avevo sempre immaginata una persona piatta, che mostrava di sé tutto ciò che c'era da sapere, ma stavo imparando a conoscere sempre più lati nascosti del suo carattere. 

Stava sempre sulle sue, non dava fastidio a nessuno. Solitamente s'imbarazzava in modo estremamente facile, persino nel salutarmi, ma la sera prima più di una volta non aveva abbassato lo sguardo quando incontrava i miei occhi, ma l'aveva tenuto fisso, e aveva presentato quasi tutto lo spettacolo senza battere ciglio. 

Nonostante ciò, non mi dava minimamente attenzioni. Era fredda, non mi cercava, non mi guardava come le altre ragazze, né con amore, e neanche con desiderio sessuale, anche se sapevo di piacerle molto esteticamente. Però, quando mi aveva colto in un momento di debolezza, si era preoccupata per me, ed era stata tanto risoluta da calmarmi in meno di cinque minuti.

In quelle poche ore che avevo passato parcheggiato sotto casa sua, avevo ripercorso mentalmente quel momento. Avevo riascoltato il suono della sua voce soffusa, che pronunciava parole rassicuranti. Tutto nel suo viso era rassicurante, il suo sguardo profondo, le sue labbra che si muovevano lentamente. Le sue mani calde mi stringevano i polsi.
Poi, l'illuminazione. Nessuno ci aveva mai pensato. Non il mio psicologo, non i miei domestici, non mia madre, e neppure io. E lei, che conosceva il mio amore per la musica da qualche ora, sì. Aveva capito che quella mi avrebbe calmato.

Non so come chiamarlo. Empatia? Sintonia? Lei senza pensarci aveva capito come prendermi in una situazione critica, e io che non ero mai neanche venuto a prendere una ragazza sotto casa per un appuntamento, ero rimasto sotto casa sua fino alla mattina dopo. 

Sentivo che, in qualche modo, ci eravamo legati.

Mi risvegliò da quello stato il mio telefono che squillava. Elisabetta.
La telefonata fu molto breve, le dissi che ero già sotto casa sua e che l'avrei accompagnata a lavoro. Sembrava sorpresa, e un po' imbarazzata, il ché mi fece sorridere pensando al rossore sulle sue guance. 

Camminava velocemente verso la mia macchina, senza guardarla, probabilmente faceva finta di non vederla. Ma come diavolo si vestiva. Aveva un maglione lungo fino alle ginocchia, con dei jeans larghi sotto e le Adidas Stan Smith completamente nere che la avevo sempre vista indossare. Almeno quella mattina aveva i capelli sciolti ed era senza occhiali, ma comunque sempre priva di trucco. 

La guardai fissa mentre si avvicinava, sperando che reagisse in qualche modo, ma sembrava non si fosse neanche accorta della mia presenza.

Entrò nella macchina facendo entrare una folata di vento, rabbrividii. Mi guardò qualche secondo confusa, poi incrociò le braccia al petto nervosa e distolse lo sguardo. Aprii bocca per salutarla, ma mi precedette. Guardando fissa davanti a sé e scuotendo la testa, mi disse:-"Non posso credere tu sia così cretino".

Quell'affermazione mi gelò.

"Come tu mi vuoi"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora