Decisioni

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-"Sì, Genn. Che cavolo faccio adesso?"
Disse Alessio piano al telefono.
-"No che non posso andarmene!" Alzò un po' la voce, abbastanza da farmi stropicciare gli occhi lentamente e voltarmi verso di lui.
-"Adesso devo andare, ci vediamo dopo." Disse velocemente, liquidando la sua chiamata al telefono.

Il suo sguardo si fece serio. Notai che si era abbottonato la camicia e l'aveva infilata nei pantaloni. Capii che doveva dirmi qualcosa di serio, così mi voltai verso di lui per permettergli di parlarmi.

-"Elisabetta,- fece una breve pausa riflessiva -io non so cosa sia successo stanotte, ma.." Sapevo dove voleva andare a parare. Non gli piacevo. Ci rimasi male. Non per le sue parole, in fondo è normale non piacere a tutti, ma perché non era neanche sicuro che fosse successo qualcosa, e già si era messo sulla difensiva. Era terrorizzato. Possibile che fosse una tale tragedia aver avuto un rapporto con me?

Mi alzai infastidita dal letto e gli puntai un dito contro.
-"Risparmiati il discorsetto, tanto sono abituata. Stanotte non è successo niente, puoi anche tranquillizzarti." Le mie parole furono taglienti, e mi sorpresi di me stessa: fino a poco tempo prima non avrei saputo fare un discorso del genere, soprattutto ad un ragazzo come Alessio.

-"Elisabetta, aspetta.." Disse quando ormai io ero dentro il bagno, e avevo sbattuto la porta.

Mi sciacquai ripetutamente il viso per evitare alle lacrime di scendere, riuscendo nel mio intento.
Mi guardai allo specchio dritta negli occhi per qualche secondo.
E capii. Capii che l'era del brutto anatroccolo che non piace mai a nessuno doveva finire. Capii che era arrivato il momento di un cambiamento, che sarebbe stato in primis caratteriale, ma anche fisico.

Finii di lavarmi, ed uscii dal bagno, sperando di  non trovarmi Alessio ancora seduto sul bordo del mio letto. Fortunatamente così fu, al suo posto, però, aveva lasciato due righe scritte a penna sul retro di uno scontrino.

-"Sono un coglione. Grazie di tutto per ieri. (Oggi avresti il turno pomeridiano, ma se non ti va lo capisco). Ti voglio bene."

Aveva ragione, si era comportato da ragazzino immaturo, ma apprezzai i ringraziamenti e il "ti voglio bene", soprattutto perché così ebbi la conferma che erano parole sentite, e non le aveva dette solo da ubriaco.

Aprii il mio armadio e mi resi conto che avevo un bisogno impellente di comprare nuovi vestiti, ma immediatamente sorsero tre problemi: i soldi per acquistarli, cosa comprare, e dove andare.

Per risolvere il primo chiamai Valentina, e le chiesi se poteva anticiparmi i soldi delle ore lavorate fino a quel momento, ovvero 130€, non erano molti, ma per il momento mi sarebbero bastati.

Lei si mostrò molto disponibile, e, quando le spiegai il mio intento sembrò entusiasta, così ne approfittai per invitarla ad accompagnarmi, così da risolvere gli altri problemi.

Dopo circa mezz'ora si presentò alla mia porta, come dà appuntamento. Mi abbracciò prima ancora di entrare in casa. Riconobbi in quel gesto l'affettuosità del fratello, entrambi avevano mantenuto quella caratteristica tipica delle persone del sud, al contrario di Gennaro, che era diventato un perfetto milanese.
Dopo ciò, mi consegnò una busta chiusa, dove all'interno c'erano i soldi.

Era bellissima, come sempre, il suo stile era molto ricercato. Portava pochissimo trucco, e indossava un paio di jeans neri, sopra un poncho particolare con motivi bianchi e neri, e ai piedi degli stivaletti con il tacco neri, il tutto completato da una borsa ampia rosso ciliegia.

All'inizio mi sentii piuttosto imbarazzata, mi guardava con un'espressione mista di concentrazione e perplessità, mentre le spiegavo perché avessi deciso di cambiare.

Avevo così tanto da raccontare, tutto ciò che mi ero sempre tenuta dentro.

Le parlai delle ragazze che all'ultimo banco ridevano di come mi vestivo, del colloquio allo studio legale, di suo fratello quella mattina, del professore che non mi aveva mai voluta come sua assistente, e di Gennaro. Quell'ultima parte riuscii a raccontarla solo mantenendo un tono di voce particolarmente basso e lo sguardo fisso sul pavimento.

Quando finii lei si alzò in piedi e mi sorrise.
-"Beh, direi di cominciare dal tuo armadio." Presto un sorriso si fece spazio anche sul mio volto. La sua reazione era stata perfetta, nessuna parola di compassione, niente finto buonismo e niente frasi come "L'importante è che ti piaccia tu".

Ispezionammo il mio guardaroba da cima a fondo. Mi stupii di come lei fu risoluta e critica: non salvò neanche un mio vestito, a parte un paio di jeans e un abito nero che mi suggerì di far accorciare. Non ci rimasi male, non ero affezionata a quel tipo di cose materiali.
Dopodiché ci preparammo per uscire.

Cercai di imitare un po' la sua camminata: passi ampi scanditi dal suono dei tacchi, che si intervallavano a un ondeggiamento regolare dei fianchi. La postura dritta e il mento in alto.
Mi sentii un po' ridicola.

Notai che al suo passaggio tutto gli uomini si giravano per guardarla in tutta la sua eleganza.
Quanto avrei desiderato avere quel fascino innato che portava le persone a cadere ai tuoi piedi. E non parlo solo di bellezza esteriore, ma di quel non so che che ti rende una persona interessante, intrigante.

Quel non so che, che, dovevo ammettere, aveva anche Gennaro.

"Come tu mi vuoi"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora