Cambiamento

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Appena sveglia diedi subito uno sguardo al telefono. 6:50, nessuna nuova notifica, nonostante alla fine gli avessi fatto uno squillo per permettergli di salvare il mio numero di telefono. Non che pensassi mi avrebbe scritto, ma inconsciamente mi ero illusa che il precedente pomeriggio avrebbe cambiato le mie abitudini da lupo solitario. Invece niente, era cominciato l'ennesimo giorno della mia faticosa e monotona vita.

Oggi era giorno d'affitto e avrei dovuto pagare anche quello dei due mesi precedenti, ma ovviamente non mi bastavano i soldi. Non che affittassi una grande dimora, era un semplice monolocale, con il bagno in comune con tutto il palazzo e una piccola cucina. In effetti, era piuttosto misero, ma non avrei potuto pretendere nulla di più, nonostante la borsa di studio, le spese scolastiche erano molto alte, e i miei genitori erano due semplici impiegati. Lo sapevo che sarebbe stato così, ero preparata, come per ogni cosa della mia vita, era stata una decisione meditata ed ero pronta a ciò che stavo affrontando. O almeno, cercavo di convincermi che fosse così.

Bevvi il mio caffè amaro in un sorso, cercando di smette di pensare per qualche secondo, inforcai gli occhiali e salì in macchina. Come al solito entrai in classe per le 7:30 e iniziai a ripassare gli argomenti della lezione del giorno, stavamo preparando un esame di cui gran parte del programma l'avevo già svolto al liceo, perciò non mi era necessario un particolare studio. Ero piuttosto nervosa, davo la colpa al caffè ma sapevo che non era quello il motivo. Continuavo a distrarmi, pensavo a quel momento, a quel saluto dove i nostri corpi erano stati tanto vicini. Mi sentii patetica. Io non ero parte di quella categoria di ragazze a cui bastava uno sguardo per cadere ai suoi piedi, non gli avrei mai dato questa soddisfazione, e non mi sarei abbassata quel livello. Eppure il colore intenso dei suoi occhi e la forma delle sue labbra mi tormentava.

Fortunatamente entrò la professoressa a distrarmi. Era una donna piuttosto rotonda, non particolarmente curata e non particolarmente brillante, però mi piaceva, sembrava una persona con forte personalità.

Durante la lezione pensai più volte a dove fosse, a come mai non venisse a lezione. Mi dispiaceva, ma ero consapevole del fatto che se anche fosse venuto avrebbe avuto personalità femminili più "interessanti" (secondo il suo concetto di interessante) della sottoscritta, e sicuramente non si stava facendo altrettanti complessi su dove mi trovassi io.

Ero così presa dalle mie speculazioni, che non mi accorsi di essere rimasta sola in aula, la lezione era ormai terminata da qualche minuto. Presi la borsa e mi affrettai a uscire, ricordandomi che in mezz'ora sarebbe passato il proprietario della mia abitazione a ritirare gli affitti. Cosa mi sarei inventata questa volta? I miei genitori all'ospedale? Che a breve avrei ricevuto un ingente pagamento? Avevo mentito abbastanza, capii che era ora di comportarsi da persona matura quale pretendevo di essere, e decisi che sarei stata sincera.

Seduta sulla mia poltrona un po' malmessa, picchiettavo con il piede a terra. Le mani sudate tremavano.
Sentii bussare e scattai in piedi. Aprii la porta.

-"Salve signorina, sono venuto a ritirare tre quote" disse sorridendo il signor Parisi, era un ometto anziano, dall'aria simpatica. Il suo viso subito si rabbuiò quando mi vide in quelle condizioni, aveva capito. Fece per aprire bocca ma scoppiai a piangere silenziosamente, non sapendo cosa dire.

Quando fui più tranquilla, lo guardai negli occhi e gli dissi sinceramente che stavo facendo il possibile per guadagnare quei soldi, ma che probabilmente non sarei mai riuscita a ridargli tutta la cifra. Scosse la testa. Cercai anche di proporgli di lavorare per lui in cambio di uno sconto sull'affitto, ma a malincuore dovette dirmi che non ne aveva bisogno, e che sarei stata soltanto un peso in più. Si dimostrò anche piuttosto disponibile per lo sfratto, mi diede tempo una settimana e mi assicurò che lui stesso mi avrebbe fatto presente qualche posto un po' meno costoso dove potermi trasferire.



Quando richiusi il portone sentii altre due calde lacrime scendermi sulle guance. Mi sedetti e appoggiai i gomiti sulle ginocchia portando la testa tra le mani. Cercavo di respirare profondamente per calmarmi. Stava andando tutto a rotoli, non era passato neanche metà semestre che già ero senza casa. Serviva un contrattacco da parte mia, dovevo rimboccarmi le maniche e ricominciare con più grinta di prima, con più energia, ma non ero sicura ne sarei stata in grado.

Ruppe quel silenzio assordante la suoneria del mio telefono. Sicuramente erano i miei genitori, ma non me la sentivo di dirgli la verità, anche perché probabilmente mi avrebbero detto di tornare a casa. La mia vera casa. Giustificandosi con frasi fatte come "Non sei ancora pronta", o "Non possiamo permettercelo", o peggio "Meriti di meglio".

Presi in mano il telefono. Numero privato, risposi.

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