Capitolo 18 : Panico

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Jade quella mattina appena aprì gli occhi vide una particolare luce bianca illuminare la stanza. La neve aveva ricoperto ogni cosa e ce n'erano almeno 80 cm.
Di sicuro quel giorno le scuole sarebbero rimaste chiuse, quindi la ragazza si alzò dal letto e si avviò in cucina per fare colazione con calma. Poi me ne torno a dormire. Si disse Jade.
La casa era silenziosa a quell'ora, mentre lei rovistava nella dispensa della cucina per trovare dei biscotti al cioccolato. Qualche istante dopo il silenzio fu sostituito dal rumore di passi e Giselle fece il suo ingresso in cucina, lo sguardo abbassato e il volto semicoperto dai suoi folti capelli rossi.
Entrambe non dissero niente, Jade la vide solo avvicinarsi ad un cassetto ed aprirlo. Strano che sia così silenziosa, forse si é stancata troppo con Thomas, ieri. Pensò la ragazza prendendo i biscotti e lasciando la cucina.
Sbadiglió, ancora mezza addormentata, e sentì nuovamente dei passi, ma più veloci, alle sue spalle, come se qualcuno stesse correndo.
Si voltó giusto in tempo per vedere Giselle che le piantava un lungo coltello dalla lama liscia nella spalla destra.
Fu tutto così improvviso che a stento se ne rese conto. Il sonno la abbandonó in un attimo e inizió ad urlare:
-CHE DIAVOLO FAI?
Jade spalancò gli occhi, più per lo sconcerto che per il dolore. Giselle non le rispose, si limitó a sfilare svelta il coltello dalla sua spalla, veloce ed inespressiva. Lei urló ancora per il dolore, la lama aveva fatto più male uscendo che perforando la sua pelle. Quel gesto veloce e scattante fu seguito un attimo dopo da un altro colpo, che sta volta peró Jade non subì riuscendo a scansarlo in tempo.
Cominciò a correre verso la sua camera, in preda al panico, mantenendosi la spalla destra, ferita e dolorante.
Qualcosa le voló accanto alla gamba destra e Jade vide la lama affilata infilarsi nel parquet a pochi centimetri da lei.
Barcolló e si voltó a fissare la cugina che l'aveva lanciato in quella che sembrava una situazione surreale.
Riuscì a guardarla solo per poco, ma quel poco bastó per farle notare che il bel volto di Giselle era molto diverso dal solito, non per le labbra o altri dettagli, ma per gli occhi. Fissó quegli occhi contornati da lunghe ciglia, vuoti e spenti, iride e pupilla erano scomparse, l'unico colore rimasto, l'unica spaventosa caratteristica che avevano era un profondo e inquietante bianco. Gli occhi di lei erano totalmente bianchi e senza vita.
Fu poco il tempo che poté permettersi per guardarla, un attimo dopo sua cugina aveva già ricominciato a correre verso di lei, così Jade era scattata verso la propria camera.
Chiuse in fretta la porta e giró la chiave giusto un istante prima di vedere Giselle, con scatto quasi felino, afferrare il coltello conficcatosi nel pavimento e fiondarsi verso la porta.
Si sentì un tonfo, poi il silenzio.
Il cuore le rimbombava nelle orecchie, batteva forte e possente per l'agitazione e l'ansia che provava. Jade restó immobile, ferma a fissare la porta chiusa. Vide la sua spalla sanguinare, la ferita alla gamba, sentì il dolore dei tagli profondi, il sangue caldo che colava. Realizzó che fosse tutto reale, sua cugina l'aveva colpita con un coltello, con violenza e forza che non pensava avesse nemmeno.
La situazione non sembrava essere giunta al termine, poiché Jade vide poco dopo la maniglia della porta muoversi freneticamente. Ci fu un colpo forte, poi un altro e un altro ancora, finché qualcosa spuntó dal legno della porta: una lama sporca di sangue, il suo.
Trasalì mentre i colpi continuavano, e realizzó di dover assolutamente scappare da lì se non voleva essere ferita ancora o peggio...venire uccisa da sua cugina.
Si guardó intorno e la finestra richiamó la sua attenzione, mentre un altro colpo scalfì altri pezzi della sua porta. Corse in fretta verso il vetro e l'aprì. Non era ad un piano molto alto e sotto c'erano strati di neve ad aspettarla, ma si trattava comunque di un volo di almeno 2 metri. Un'altra coltellata contro il legno e Jade strinse i denti lasciandosi cadere, giusto un attimo prima di sentire un altro colpo sfondare totalmente la porta della sua camera. L'atterraggio non fu proprio il massimo ma almeno non si era rotta nulla, anche se si sentiva tutta indolenzita. Jade si rimise in piedi in fretta, in preda al panico. Cavolo e ora? Il gelo la colpì attraversando la sottile stoffa del pigiama blu che indossava e il dolore delle ferite inferte dalla cugina la manteneva all'erta, mentre cercava di organizzare le idee.
Il pensiero fu sovrastato peró dall'istinto e prima di ogni cosa cominciò a correre senza una meta precisa, tremando per il freddo e la paura.
Il sangue scorreva lungo il braccio destro che cercava di tenere fermo e che ad ogni passo faceva sempre più male. La gamba, ferita più lievemente, la rallentava e l'aria gelida la colpiva con grandi folate che percepiva su tutto il corpo. Stremata, si fermó lungo un marciapiede non sapendo nemmeno bene dove si trovasse. I denti battevano e si scontravano mentre tentava di farsi calore strofinando le mani sulle spalle, nonostante quella destra fosse ferita. Che faccio, merda, che faccio?! I pensieri si affollavano nella sua mente, la lucidità non accennava ad arrivare, aveva paura, più di tutto aveva paura. Non riusciva ancora a prendere coscienza di ció che le fosse accaduto, sembrava solo un brutto incubo.
Riprese a camminare, non sapendo che altro fare, mentre sentiva la stanchezza e la debolezza salire. Socchiuse gli occhi, al sentire una terribile fitta alla spalla, così forte da toglierle il respiro. Non..ce la...faccio..
-Jade..?
Sentì una voce che la chiamava, calda e familiare, che riuscì subito a distinguere poco prima di perdere conoscenza del tutto.

La prima cosa che vide fu una luce accecante, poi qualcuno che parlava.
-Sta riprendendo conoscenza.
Sbattè le palpebre mentre cercava di distinguere le figure che aveva davanti agli occhi, ancora stordita dal freddo e dal dolore.
-Va tutto bene signorina, ha solo perso conoscenza per qualche ora.
Era un'infermiera a parlare, affiancata da un uomo con un altro lungo camice bianco.
Jade li fissó cercando di realizzare cosa le stessero dicendo e dove si trovasse.
-D-dove sono?
Balbettò poi, mentre sentiva il suo corpo risvegliarsi, e con esso anche il dolore.
-In ospedale. Le abbiamo messo dei punti alla spalla, fortunatamente la ferita non era grave, ma era abbastanza profonda.
La ragazza restò in silenzio fissando il comodo lettino bianco su cui era distesa e il camice del medesimo colore che stava indossando ora, ben diverso dal pigiama blu insanguinato che aveva prima di svenire. Osservó la fasciatura al braccio e alla gamba, con sguardo distante, ancora intorpidita e semicosciente.
-Ora torni a casa e vada a riposarsi, va bene?
Disse ancora dolcemente l'infermiera che ora si stava avvicinando con una sedia a rotelle per permetterle di camminare, finché non si fosse ripresa. Aiutò Jade a sedervici sopra e fece per spingerla, ma lei la fermó.
-Non si preoccupi, posso spingermi da sola.
Disse prontamente la ragazza. L'infermiera le rivolse uno sguardo di disappunto ma poi acconsentì alla sua richiesta.
Jade uscì da quella stanza sulla sedia a rotelle, sempre più cosciente del suo corpo e della sensazione di avere degli spilli piantati nei muscoli. Ora riusciva a vedere e sentire di più le sue ferite, i punti che tiravano un po' sulla spalla, il grande cerotto bianco alla gamba.
Si spingeva lentamente con la sedia, di cui aveva già avuto esperienza dopo l'episodio di violenza che aveva subito alle medie, quando l'avevano picchiata.
Si diresse verso il corridoio che vedeva di fronte a sé e trovò un ragazzo con i capelli castani chiari fermo accanto alla porta, un ragazzo dall'aria familiare. Quando la vide sembrò rilassarsi e le fece un sorriso. Elliot?! Jade spalancò gli occhi vedendolo lì, ma poi ricordò di quella voce che aveva sentito prima di svenire. È stato qui tutto il tempo?! Il ragazzo le si avvicinò.
-Hei, stai bene?
-Si, sono solo un po' stanca.
Elliot ora la guardò con preoccupazione e sconcerto.
-Mi dici cosa diavolo ti è successo?
Nella mente della ragazza cominciarono a ritornare gli attimi in cui sua cugina l'aveva aggredita, gli occhi pallidi di lei che la fissavano. Deglutì.
-Come mai sei qui?
-Stavo camminando per strada quando ti ho vista trascinarti a terra mezza morta e in pigiama.
Stava dicendo preoccupato.
-Poi sei svenuta, così ho preso l'auto e ti ho portata qui.
-L'auto? Tu guidi?
-Si, ho 18 anni.
-E perchè siamo in classe insieme?
-Sono stato bocciato. Comunque non cambiare discorso, si può sapere cosa ti è successo?
Jade abbassò lo sguardo, incapace di parlare dell'accaduto. Ripercorrere le scene di panico che aveva vissuto con sua cugina la faceva rabbrividire al solo pensiero.
Elliot la guardó, addolcendo lo sguardo, dopo aver visto quello particolarmente turbato di lei.
-Ehm...hai già fatto colazione?
Decise di chiedere, accorgendosi di quanto disagio provasse Jade. Lei scosse la testa e alzò lo sguardo su di lui, che ora le sorrideva lievemente.
-Allora andiamo, ho visto un bar qui all'ospedale e c'era un profumino delizioso.
Jade si ritrovò a ridacchiare, poi Elliot si mise dietro la sedia a rotelle e portò la ragazza fino al bar, nonostante lei protestasse per spingersi da sola.

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