Capitolo 19 : Caos

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-Grazie.
Disse Jade appena Elliot le portò la colazione.
Erano seduti ad un piccolo tavolino di metallo in quella che doveva essere la zona di ristoro dell'ospedale, intenti a riprendersi da quella mattinata piuttosto "impegnativa".
-N-non solo per la colazione....grazie per avermi accompagnata in ospedale.
Aggiunse poi con un po' di imbarazzo. Elliot sembrò sorpreso, poi accennò un sorriso.
-Figurati.
Jade prese a sorseggiare il tè caldo in silenzio, con aria distante, persa com'era nei suoi pensieri. Il peggio sembrava essere passato, ma era ancora sotto shock e confusa mentre cercava di realizzare l'accaduto.
Lui la fissava preoccupato, non sapendo cosa pensare dell'espressione sul suo volto spaventato, e di come l'aveva trovata quasi priva di conoscenza. Che fosse stato Jordan a ridurla così? Continuava a domandarsi il ragazzo. Se è stato lui giuro che sta volta lo uccido. La vide rabbrividire e osservó il suo minuto e fragile corpo coperto solo dal grande camice bianco.
-Ho una felpa e una tuta con me nell'auto, se vuoi cambiarti...
-Sto bene.
Rispose in fretta Jade. Lui sospiró. È così ostinata...
-Ok, vado a prenderla.
Annunció rimettendosi in piedi. Lei lo fulminó con lo sguardo.
-Ho detto che sto bene.
-Mi fa piacere, ma io vado a prenderli lo stesso.
Si avvió verso l'uscita sorridendole. Jade lo fissó con disappunto.
-No, Elliot. Torna qui!
Lui la salutava da lontano. È un idiota. Pensó per poi posare la tazza di té ormai finita sul tavolino di metallo. Sospiró e lo seguì irritata, spingendosi con la sedia.
-Elliot, hey!
Lo chiamó ancora, guardandolo mentre prendeva dei vestiti scuri in auto e tornava da lei.
Fissó quel volto gentile che le sorrideva innocente, mentre il venticello gelido gli increspava i corti capelli, biondi e caotici, e sospiró nuovamente. Che matto... Si disse Jade, ridacchiando.
-Ecco. Saranno un po' grandi ma almeno puoi cambiarti.
Le porse una felpa scura e un pantalone di tuta blu a mezzagamba. Jade lo fissó di nuovo con aria di disappunto.
-Non fare quella faccia, se ti ostini a non cambiarti da sola lo faró io, ti avverto.
Lei sbuffó e accettó i vestiti.
-Come se te lo lasciassi fare...
Borbottó. Il ragazzo ridacchió, aspettandosi quella reazione.

Jade indossó felpa e pantalone, la fraganza dei vestiti era la stessa che aveva sentito il giorno in cui aveva abbracciato Elliot. Quel profumo delicato di sapone l'avvolse, piccola com'era in quegli indumenti ci sprofondava.
Dopo essersi vestita raggiunse nuovamente il ragazzo.
-Bene, andiamo?
Le chiese lui vedendola arrivare. Jade annuì e lo seguì verso l'auto, una Mercedes di un profondo colore blu.
Rivolse uno sguardo ad Elliot mentre prendeva posto nel veicolo e notó subito la sua espressione turbata e preoccupata. Che ha? Si ritrovò a chiedere a se stessa. Ci sarà rimasto male perchè non ho voluto dargli spiegazioni su sta mattina? Non vedo perché dovrei raccontarglielo. Rifletteva Jade, abituata a risolvere tutto da sola.
-Ti riaccompagno a casa?
-No.
Rispose bruscamente, sentendo nominare proprio il posto in cui era stata aggredita. Vide Elliot fissarla, confuso e ignaro di tutto.
-Cioé si, si. Puoi riaccompagnarmi a casa?
Lui continuava a guardarla, scettico.
-Ne sei sicura?
Jade annuì, più convinta e convincedo anche lui.
Non voleva parlargli di Giselle, sia per la diffidenza che provava nei confronti non solo di Elliot, ma delle persone in generale, sia per paura della sua reazione. Una questione del genere, di normale o comprensibile aveva ben poco.
Ripensó a sua cugina, al modo inquietante in cui l'aveva aggredita, la stessa persona che aveva visto sempre tranquilla, sorridente e anche un po' fastidiosa, ma mai violenta. Il suo strano comportamento, la sua espressione distante e vacua, sembravano non appartenerle. Stava iniziando a pensare che fosse in realtà sotto effetto di qualcosa, una qualche droga o simili, non sarebbe stata la prima volta per Giselle, eppure il modo particolarmente agile che aveva di muoversi non sembrava quello tipico di una persona tramortita da sostanze.
Ripensó alla ragazza che conosceva, quella che trovava insopportabile e inaffidabile, dati i trascorsi che avevano avuto, ma che, ne era certa, non sarebbe stata capace di ucciderla. Aveva detto di voler tornare a casa perché aveva bisogno di capire cosa stesse succedendo, cosa avesse sua cugina diventata improvvisamente aggressiva e violenta. Non credo voglia davvero uccidermi. Si disse. O forse la sto sottovalutando?
L'auto si fermó davanti alla casa da cui, qualche ora prima, era fuggita in preda al panico. Jade respiró profondamente.
Aveva bisogno di parlare con lei, farla ragionare, capire. Non voleva scappare, voleva affrontarla, voleva sentirle dire perché l'aveva aggredita all'improvviso, se era consapevole di cosa aveva fatto.
-Ciao.
Rivolse un saluto veloce ad Elliot, senza guardarlo, temendo che potesse vedere la sua espressione timorosa e bloccarla.
Il ragazzo la fissó mentre scendeva dall'auto, ancora confuso dallo strano comportamento di lei, convinto che ci fosse qualcosa che non andava.

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