Capitolo 22 : Sfinimento

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-Quindi sua cugina ha provato ad accoltellarla e poi a strangolarla?
Jade sospirò ormai esausta. Stava raccontando le vicende di quella mattina da ore e le domande di William Wilson non accennavano a terminare.
-Si.
Rispose la ragazza, sistemandosi meglio sulla piccola sedia su cui l'avevano fatta sedere. Il capo ispettore era davanti a lei, in piedi, appoggiato ad una scrivania in metallo, in quella stanza umida illuminata da intense luci a led, le stesse che illuminavano anche il resto della stazione di polizia.
-Lei ha detto che l'ha ferita alla spalla questa mattina, conferma?
Continuò il giovane poliziotto e lei annuì.
-E poi è andata, in quale ospedale?
La ragazza disse il nome dell'ospedale.
-Come ci è arrivata?
-Ho perso i sensi e mi sono ritrovata lì, però Elliot mi ha detto di avermici portata.
-Elliot Black?
-Si.
-In quali rapporti siete?
Jade trovò leggermente invadente quella domanda, ma rispose comunque.
-Siamo compagni di classe.
Wilson le rivolse uno sguardo indecifrabile.
-In che rapporti era con la signorina Giselle Gwels?
-Siamo cugine.
-No, intendo che rapporti affettivi?
-Eravamo come due conoscenti.
Rispose freddamente Jade.
-Che intende?
-Convivevamo nella stessa casa da pochi giorni, io cercavo di ignorarla per la maggior parte del tempo e lei fingeva di essere gentile, credo.
-Perchè voleva ignorarla?
-Io ignoro tutti, signor Wilson.
Lui non si sconvolse più di tanto, anzi continuò a fissarla.
-Senza un motivo?
-La maggioranza delle persone si, ma con Giselle un motivo c'era.
-Quale?
Jade rimase in silenzio, poco intenzionata a raccontarglielo.
-Quale, signorina Gwels?
Aveva uno sguardo profondo sembrava quasi che cercasse di scavare dentro la sua mente, ma l'espressione di lei restava impenetrabile.
-È immatura e irresponsabile.
Disse solo, cercando di cambiare discorso. Dopo qualche secondo Wilson abbassò lo sguardo.
-Ha notato qualcosa di strano o di diverso in sua cugina, negli ultimi tempi?
Il pensiero corse subito a quegli strani occhi che le aveva visto quella mattina. Dovrei dirglielo?! E se poi mi crederà pazza?!
-No.
-Ne è sicura? Sa se faceva uso di droghe?
-Perchè me lo chiede?
L'uomo fece un sorriso sghembo.
-Ci sono già io qui a fare le domande, signorina Gwels.
Poi il suo volto sembrò cambiare espressione, quello sguardo saccente ed irritante diventò improvvisamente più cupo.
-Ma visto che lei non è molto collaborativa, allora le dirò i miei sospetti.
Si avvicinò alla sua scrivania e tornò dalla ragazza con una cartellina gialla.
-Qui ci sono una serie di omicidi e suicidi che hanno qualcosa in comune con la sua situazione. Vuole sapere cosa?
Jade restò immobile e inespressiva.
-Ciò che accomuna questi casi tra loro è che in ognuno, l'assassino non ha un vero e proprio movente. Credo che lei sappia cos'é un movente, sembra intelligente, ma può essere anche soltanto una mia impressione.
La ragazza ignorò la frecciatina e continuò ad ascoltarlo in silenzio.
-In tutti i casi la vittima é uccisa violentemente da un parente stretto o una persona con cui ha un qualche legame affettivo, e spesso questo omicidio è seguito da un suicidio da parte dell'assassino, magari per il rimorso o il dolore, chi lo sa quale stranezza passa per quelle pazze menti. Ma, ciò che accomuna nello specifico queste storie è un'altra cosa, molto più insolita...
Jade lo fissava, confusa da quel racconto e anche un po' spaventata, pensando che anche lei fosse quasi morta per mano di un parente stretto cioè sua cugina, tuttavia forse un movente c'era nel suo caso, infondo non è che lei e Giselle si amassero come sorelle.
-Se le dicessi che l'analisi di uno dei cadaveri degli aggressori presentava una caratteristica comune a sua cugina, caratteristica riportata anche da una delle vittime, prima di passare a miglior vita...-
E qui William Wilson aveva abbassato la voce e si era leggermente avvicinato a Jade, come se stesse per rivelarle una sorta di segreto
-...occhi bianchi...privi di iride e pupilla, niente di niente, solo ed unicamente bianchi. Era questa la caratteristica riscontrata, che ho avuto modo di notare anche nel corpo smorto di sua cugina.
La ragazza cercò di restare calma mentre lo sguardo di Giselle ricominciava a infestarle i pensieri. William se ne accorse, non sfuggiva niente a quell'occhio addestrato.
-Questo tipo di occhi le sono familiari, giusto?
Jade rifletteva sul dire la verità o mentire. Le sembrava, dal tono di voce di lui, che quell'informazione fosse qualcosa di delicato che probabilmente non sapevano in molti e anche se non si fidava per niente di lui, forse dicendo la verità quell'uomo le avrebbe confidato dell'altro.
-Si.
Rispose solo. Il capo ispettore rimase inespressivo, aspettandosi quella risposta e aprì la cartellina gialla per sfogliarla.
-Anche sua cugina aveva degli occhi simili a quelli che le ho descritto, lo conferma?
-Si. Li aveva quando mi ha aggredito e quando l'hanno portata via nell'ambulanza. Sapete quale sia la causa di quegli strani occhi?
Lui le rivolse uno sguardo profondo di cui Jade non riuscì ad interpretare il significato.
-Probabilmente sostanze stupefacenti.
Lo sapevo. Pensò subito, ma rimase comunque un po' scettica a riguardo.
Il capo ispettore intanto aveva preso alcune foto dalla cartellina e le aveva disposte sulla scrivania, in fila una accanto all'altra.
-Voglio farle un'altra domanda, conosce una o più di queste persone?
Jade si avvicinò per identificare i volti e lo stupore iniziale diventó poi lentamente paura.
La sensazione era di guardare in quelle 6 foto dei vecchi amici ormai defunti. C'erano tutte, ad una ad una, le persone che aveva visto o sognato, le stesse figure che le avevano infestato i pensieri nell'ultimo periodo.
Nella prima foto c'era Josephin, la donna che canticchiava serenamente alla fermata, dai lunghi capelli castani, uccisa dal fratellastro.
Nella seconda Marise e suo marito Steven, i due gentili anziani che aveva visto alla finestra, morti entrambi.
La terza foto era di un bambino paffuto dai grandi occhi azzurri, Georgie, che aveva trovato la morte per mano della madre.
Poi vi era James, l'uomo sulla quarantina ucciso dal nipote, lo stesso che le aveva chiesto aiuto.
Vide poi la foto della madre di Elliot, la donna che le era apparsa in sogno dai bellissimi occhi marroni scuro, e nell'ultima foto riconobbe due figure che aveva incontrato proprio quella mattina. Fissò la corporatura minuta della donna con in braccio il suo bambino, la stessa che, dopo averla fissata a lungo sbigottita, le aveva fornito indicazioni per tornare a casa. Ora Jade poteva spiegarsi lo sguardo scioccato di quei due personaggi che l'avevano guardata come se fosse stata un fantasma, perchè invece i fantasmi dovevano essere loro.
Rabbrividì, mentre continuava a scorrere freneticamente le 6 foto, una dopo l'altra. Aveva trovato il collegamento che aveva con loro e con esso la risposta ai suoi dubbi o almeno a una parte di essi. L'agitazione saliva e anche una strana sensazione di frenesia, scaturita da quella parte di enigma svelato.
-S-sono tutti..m-morti?
Balbettò piano, turbata da quelle scoperte.
Il capo ispettore restò impassibile, come se si aspettasse una reazione di questo tipo.
-Si, tutti accomunati da quegli elementi che le ho già spiegato.
La mente di Jade cominciò a vagare tra i diversi collegamenti, sentendo improvvisamente che ogni cosa che le era accaduta non era accaduta per caso.
Quegli avvenimenti erano come tante piccole tessere che si univano per creare un puzzle e questo puzzle lo stava vivendo proprio mentre lo stava assemblando. Tutte quelle persone morte che aveva visto o sognato e gli strani eventi degli ultimi giorni accadevano secondo un senso, a lei ancora sconosciuto, ma pur sempre un senso. Al momento quelle tessere erano sparse disordinatamente nella sua testa che non sapeva ancora come farle combaciare.
Sentiva lo stomaco sottosopra, l'aria era diventata pesante come un macigno e i suoi occhi non smettevano di scrutare freneticamente quei volti di defunti.
-Bene. Direi che per oggi abbiamo finito signorina Gwels.
Disse all'improvviso William Wilson. Alzò lo sguardo verso di lui e si impose di calmarsi. Non aveva capito se l'interrogatorio fosse finito perchè l'ispettore aveva notato quanto fosse sconvolta o semplicemente perchè avesse rinunciato a continuare. In ogni caso Jade fu felice di alzarsi da quella piccola e scomoda sedia e di uscire dalla stanza diventata ormai opprimente. Ha detto "per oggi"? Quindi c'é dell'altro da sapere? Si ritrovò a pensare, un attimo prima di uscire.

Quando lasciò la stazione di polizia, il disordine che aveva sempre avuto nella mente questa volta era più forte che mai. Per la prima volta dopo molto tempo provava una sorta di fragilità, come se anche solo quel soffio di vento gelido che sentiva ora sulla pelle sarebbe bastato a farla crollare.
Tutto il tempo passato a provare a diventare forte, a forgiare quella corazza che le permetteva di non lasciarsi travolgere dalla vita, dai eventi, dai pensieri, dalle emozioni. Il percorso che aveva fatto per abbandonare la debolezza adesso sembrava solo un ricordo vago e lontano.
La linea logica lungo cui aveva deciso di camminare ora stava prendendo direzioni imprevedibili, e non riusciva a definire se valesse ancora la pena percorrerla oppure deviare verso l'irrazionale.
Prese alcuni respiri mentre si incamminava nella gelida sera, allontanandosi dalla stazione di polizia.
C'era vita lì a Brigtown: nonostante la neve, c'era folla nei negozi, tutti illuminati, in strada le auto sfrecciavano velocemente accopagnate da un via vai di pedoni intenti a passeggiare.
In quelle stesse ore nel suo paesino sarebbe stato difficile assistere ad una scena simile, dove un traffico simile c'era solo di domenica, e anche raramente. Era come se a Perbroke le persone uscissero solo un giorno a settimana e solo per fare la spesa, come se il loro unico scopo fosse lavorare e cibarsi.
Jade si fermò, vedendosi riflessa nel vetro limpido di un supermercato. Osservò gli abiti di Elliot che indossava da quella mattina, ampi e informi sul suo piccolo corpo. Fissò il suo volto pallido, dubbiosa sul da farsi e prese un respiro profondo.
Allora, devo mettere le cose al loro posto. Si disse cercando di convincere se stessa. Anche se non riesco a spiegarmi tutto, non importa. Ora devo tornare a casa. Ah no... Non posso tornare a casa, quindi devo trovare un posto dove dormire. Forse potrei andare in un albergo qui a Brigtown... ma non ho soldi con me. Merda. Si morse l'interno della guancia irritata, percepì tuttavia uno strano sollievo nel vedere che ancora fosse capace di ragionare lucidamente. Pensó ad un'alternativa. Chiedere aiuto a William Wilson era fuori discussione : quell'uomo la metteva a disagio, lui e la sua bellezza da divinità greca che nascondeva una personalità controversa che ancora non aveva decifreto. Prese il suo cellulare che le avevano consegnato alla stazione di polizia. Forse potrei chiamare Elliot. Rimosse subito quel pensiero: si disse che aveva già fatto troppo affidamento su di lui. Fissò la neve a terra che ormai stava ghiacciando e sospirò nuovamente.
Giselle era finita in ospedale, in terapia intensiva per via delle ferite alle mani che, a quanto le aveva detto il capo ispettore, si era inferta grattando sulla porta della camera di Jade, quando aveva cercato di entrare.
I suoi genitori erano stati avvertiti e, in preda alla preoccupazione, l'avevano avvisata che sarebbero tornati il prima possibile, ovvero il 26 di quello stesso mese, dopo Natale, la prima data disponibile viste le condizioni metereologiche pericolose.
Era da sola, come le succedeva spesso, ma sta volta la sentiva la solitudine, in tutta la sua consistenza. La convinzione persistente che aveva di non aver bisogno di nessuno, stava vacillando negli ultimi tempi e l'idea di continuare a restare nella sola compagnia dei suoi pensieri ora la spaventava particolarmente.
Sentiva la mancanza dei suoi genitori, nonostante non fossero stati sempre particolarmente presenti, ma capì che non era per la paura della solitudine, piuttosto per la nostalgia dell'ambiente familiare in cui poteva vivere un'apparente, sebbene fugace, normalità.
Si strinse nella felpa scura ed enorme, mentre distoglieva lo sguardo dalla sua figura riflessa.
-Signorina Gwels.
Sentì una voce femminile che la chiamava e che subito riconobbe, per tutte le volte che l'aveva sentita. Si voltò e vide la professoressa Thinkbell, di filosofia, che le andava incontro.

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