Capitolo 8 : Dolore

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Le 6 lunghe ore di scuola passarono e adesso Jade era alla fermata ad aspettare l'autobus.
Non faceva che pensare a quella mattina e al fatto che, da tempo non aveva una conversazione così lunga con qualcuno.
Ripensando a come fosse andata, però, intuiva che forse sarebbe stato meglio continuare a tacere. Non era stata molto gentile con quel ragazzo, e altrettanto aveva fatto con quell'uomo sui quarant'anni che se n'era andato al'improvviso senza dire nulla.
"Sei l'unica che mi vede." Aveva detto.
Forse era davvero pazzo. Pensò poi, eppure, il ragazzo dai capelli chiari aveva confermato. Lui quell'uomo non lo vedeva davvero.
Tornò in fretta alla realtà, spaventata dai suoi stessi pensieri, e ricordò di aver dimenticato il libro che stava leggendo, in classe.
Guardò lo schermo del telefono. Ore 14:40. Il pullman sarebbe passato tra 10 minuti. Ho tutto il tempo. Si disse avviandosi verso la scuola che si trovava lì vicino.
Era ancora aperta, ma deserta. Jade entrò nella sua classe vuota e prese il libro lasciato sotto il banco, ma appena alzò lo sguardo vide una scena poco piacevole: un ragazzo molto arrabbiato che avanza verso di lei furioso, dopo aver sbattuto la porta dell'aula alle sue spalle.
Jade sbiancò, riconoscendo subito che si trattava del suo grande amico Jordan. Merda, merda...MERDA
Non ebbe il tempo di fare nulla, in un attimo l'aveva già afferrata per il colletto della maglia per poi inchiodarla al muro.
-Hei, stronzetta. Ti sono mancato?
Disse con un sorriso assassino sul volto.
Jade si sentì sollevare dal pavimento e ormai dava calci all'aria, non potendo fare altro, stretta com'era la presa di lui.
Lo sentì ridere e le si gelò ancora di più il sangue. Sapeva bene cosa sarebbe successo...
-Sai nanetta, quella sedia che mi hai spezzato sulla schiena per salvare quella merda di Black mi ha mandato all'ospedale.
Disse digrignando i denti.
-Quindi ora io manderò te all'ospedale.
Jade rimase inespressiva, per quanto potesse, lì appesa e minacciata da Jordan. Non aveva molte speranze di scamparla, ne era certa, si stava quindi concentrando sul sopportare il dolore che di lì a poco sapeva sarebbe giunto.
Fissò il tipo di fronte a lei e la sua espressione sadica, e nonostante l'ansia del momento quei profondi occhi azzurri di Jordan le chiamarono alla mente alcune cose che solo allora le furono chiare. Il bambino della foto, quello ucciso dalla madre, l'avevo già visto. Ricordò ora Jade. L'avevo sognato.
Poi il flusso di coscienza finì. Questa volta sopporterò, tanto non posso fare altro. Si ripetè prima di sentire di nuovo il pavimento sotto i suoi piedi e poi un pugno colpirle la guancia e la mascella. Fu così forte che la sua testa rimbalzò contro il muro facendole ancora più male.
Strinse i denti per sopportare il dolore senza piangere, non gli avrebbe dato questa soddisfazione, anche se non sapeva quanto avrebbe resistito.
Un attimo, poi un altro pugno la colpì, forte e deciso, tanto che Jade potè sentire il sapore del sangue in bocca.
-Sai, è un piacere picchiare una muta.
Disse poi Jordan con un sorriso folle.
Jade gli sputò addosso il sangue che aveva in bocca, nauseata più da lui che da quel liquido dal sapore metallico che quasi la soffocava.
Lo fissò intensamente, più decisa che mai e trovò tutta la forza che aveva in corpo per sorridergli.
-Mi spiace deluderti, ma io non sono muta, stronzo.
Sibilò a denti stretti la ragazza lasciando Jordan pietrificato.
Il suo sguardo vacilló per la sorpresa, e Jade approfittò subito di quell'incertezza: un calcio ben poco delicato indirizzato alle sue parti basse, l'unica cosa che, pensò, potesse metterlo fuori gioco per qualche istante.
Funzionò. Jordan urlò dal dolore lasciando la presa sulla ragazza che immediatamente corse alla porta, ma che purtroppo trovò chiusa. Quindi i suoi amichetti sono qui fuori a bloccare la porta. Fantastico. Pensò Jade.
Un secondo dopo si precipitò alla finestra e scappò lasciando Jordan a terra, per la seconda volta.

Jade aveva camminato per un bel tratto di strada, dato che non aveva poi tante alternative: ormai l'autobus l'aveva perso. Tuttavia non le dispiaceva ritardare il rientro a casa, anche perchè aveva bisogno prima di ripulirsi dal sangue.
Abitare in un piccolo paesino dimenticato dal mondo doveva anche avere i suoi lati positivi, non era difficile infatti trovare in giro delle piccole fontanelle di cui poter usufruire per bere.
Jade si recò a quella più vicina, il cappuccio della felpa copriva il suo volto ferito che stava lentamente diventando livido.
Le tornò in mente Jordan che la guardava sbalordito e lei che gli dava un calcio ai gioielli di famiglia. Sorrise soddisfatta, per qualche istante, poi arrivò un altro pensiero: gli occhi azzurri, il bambino del sogno, lo stesso bambino della foto. Prese il telefono, ignorando le due chiamate perse della madre e cercò nuovamente la notizia del bambino ucciso che aveva letto qualche giorno prima. Riguardò la foto e non ci fu alcun dubbio: era lo stesso del suo sogno.
Il bambino defunto si chiamava Georgie Conner morto in data"30.11.2014.".
Jade trattenne il respiro appena vide una foto del decesso: un corpicino distrutto e insanguinato dalle profonde ferite da coltello inferte al fragile torace del bambino, il motivo che lo aveva portato alla morte.
Il sangue. C'era del sangue anche nel mio sogno. Jade scosse la testa scacciando quei pensieri. Era solo un caso. Si disse. Solo un caso. O almeno voleva convincersi di questo.
La meta dove avrebbe potuto pulirsi il viso era raggiunta, tuttavia c'era già qualcuno impegnato ad usare la piccola fontana. Jade si avvicinò comunque e si fermò pochi centimetri distante.
La persona che stava bevendo si accorse infatti della presenza di qualcun'altro.
-Prego, potete usarla...
Disse una voce tranquilla, che non risultava nuova alle sue orecchie. La ragazza alzò lo sguardo sulla figura davanti a sè e lui fece lo stesso. Entrambi spalancarono gli occhi vedendo chi avevano di fronte. Ancora tu.
Il tipo alzò gli occhi al cielo e sospirò.
-Se non sapessi che mi odi, penserei che mi stessi seguendo.
Disse tranquillo e annoiato. Lei ignorò il suo compagno di classe, e ultimamente anche di disavventure.
Si limitò poi a sbuffare e ad avvicinarsi alla piccola fontana per darsi una sistemata. Jade sciacquò la bocca, sputando del sangue rimasto, e si pulì il volto dolorante sotto lo sguardo sbigottito del ragazzo dai capelli chiari.
Lui la fissò in silenzio, poi le tirò via il cappuccio scoprendo il suo viso gonfio e livido sulla guancia.
-HEI!
Protestò irritata Jade, rimettendosi il cappuccio.
Sentì un sospiro da parte di lui.
-È stato Jordan, vero?
Le chiese e dal tono di voce si poteva percepire disgusto quando aveva pronunciato il nome di Jordan.
Jade continuò comunque ad ignorarlo, sperando che il ragazzo se ne andasse e la lasciasse in pace con i suoi problemi. La voglia di parlare che già solitamente era poca per lei, adesso era uguale a zero.
-Che stronzo..
Sussurrò il ragazzo.
-Allora non è molto diverso da te.
Il tono sprezzante e tagliente di lei non tardò ad arrivare.
-O da te.
Il tipo non era da meno e subito rispose a tono.
Perchè non se ne va?! Pensava intanto Jade infastidita.
Si voltò a guardarlo solo allora e lo vide mentre era impegnato ad indossare un casco. È davvero alto. Notò poi.
-Io non sono come voi, io non picchio le persone.
Rispose la ragazza sempre con tono fermo.
Il tipo rise, la stessa risata che aveva fatto il primo giorno che si erano visti, una risata aspra e amara, carica di sarcasmo.
Montò su una moto nera che era parcheggiata lì accanto.
-No, hai un altro modo per far male alla gente.
Le disse poi.
-Usi le parole. Dico bene, muta?
E detto questo continuò a fissarla.
Sembrava che stesse cercando un'espressione, un piccolo cenno, che gli facesse capire le emozioni della ragazza, ma il volto di Jade appariva una maschera di indifferenza.
Non gli rispose, distolse semplicemente lo sguardo e se ne andò. Era incazzata. Tu non mi conosci, io non ferisco le persone. Pensò, mentre se ne tornava a casa. E se invece fosse vero? Se talvolta tendessi ad esagerare? Vacillò per un attimo rispondendosi subito dopo: Va beh, che importa.

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