Capitolo 28 : Rimorso

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Una ventata della gelida aria raffreddata dalla neve scompigliò i suoi lunghi capelli scuri, spostando alcune ciocche su quegli occhi castani spalancati per lo stupore. Jade era rimasta in silenzio, ferma, con lo sguardo fisso su quell'uomo, che a quanto diceva l'aveva cercata per qualche motivo a lei sconosciuto. James Miller, morto e ucciso da suo nipote da qualche settimana, ora era di nuovo lì davanti a lei per la seconda volta, dopo tanto tempo.
-Ragazzina, mi stai ascoltando? Tu mi vedi giusto?
Lei lo guardava, non sapendo bene cosa dire. Non si trattava di uno spirito o un fantasma, per quanto pallido fosse in volto lui sembrava avere un corpo reale, con cui qualche istante prima si era anche scontrata. Le era impossibile pensare che quella potesse essere un'allucinazione.
-Tu...tu non sei reale, giusto? Non puoi essere davvero qui...
Disse piano Jade e di tutta risposta James invece la guardò stranito.
-Certo che sono reale, o almeno lo sono stato...
Cominciò a dire, più serio che mai.
-...tutti mi ignorano, è come se non mi vedessero, intendo in senso letterale. Avevo cominciato a pensare di essere diventato una specie di uomo invisibile, ma poi tu mi hai visto ragazzina. Ho pensato che tu potessi aiutarmi, sapere cosa mi é successo, sei l'unica persona che mi vede...
Lo sguardo dell'uomo si fece sempre più triste.
-Non mi piace essere invisibile.
Jade lo ascoltava in silenzio, provando a ragionare, non riuscendo però a trovare un senso alle sue parole. Non sapeva né perché potesse vederlo né come potesse aiutarlo, un forte senso di inutilità e inconsapevolezza la attanagliava, seguito poi da una triste domanda: chissà se quell'uomo sapeva di essere morto.
Un'altra persona avrebbe tentato di usare più tatto, di cercare la risposta in modo sottile, al contrario di come fece invece Jade quando, molto semplicemente gli disse :
-Non ti vedono perché nessuno puó vedere i defunti.
James la fissó per qualche istante in silenzio, la bocca che minacciava di spalancarsi. Quell'espressione scioccata le diede la risposta che attendeva: James non era consapevole di essere morto. Come questo fosse possibile Jade non lo sapeva e davanti a quel triste uomo grande e grosso si sentì angosciata anche lei.
-Mi dispiace, non posso aiutarti.
Gli disse, mentre guardava il volto sempre più affranto dell'uomo.
-Signorina Gwels.
Una voce alle sue spalle richiamó la sua attenzione e voltandosi vide la poliziotta Jackson chiamarla dalla porta dell'ospedale.
-Si sente bene? Non é ferita?
Jade scosse la testa e la raggiunse.
-Venga dentro. Non si preoccupi, sua cugina è stata sedata.
Le disse la donna, mantenendole la porta aperta.
La ragazza si voltó un' ultima volta incontrando lo sguardo di quell'estraneo particolare che era venuto per chiederle aiuto. James Miller e il suo sguardo sconvolto continuavano a fissarla, il volto rugoso di un uomo solo che riceve una pessima notizia. Aspettava che quella ragazzina tornasse indietro, gli dicesse che fosse tutto uno scherzo di cattivo gusto, che magari stava solo sognando, ma quando la vide sparire all'interno dell'edificio ospedaliero ebbe la conferma di quello che prima era soltanto un orribile dubbio insidioso, non lo vedeva nessuno perché non faceva più parte del mondo dei vivi, anche se non ricordava né come né quando il suo cuore doveva aver smesso di battere.

Wilson se ne stava affacciato alla finestra, fumando nervosamente una sigaretta dal sapore amaro. Aveva bisogno di calmare i nervi durante quella lunga giornata, fin troppo caotica per un tranquillo capo ispettore di una piccola cittadina come Bringtown. La sigaretta fece ben poco effetto, anzi lo perse del tutto quando vide arrivare quella ragazzina insolente e seccante, Jade Gwels.
Spense in fretta la sigaretta e la gettó nel cestino, mentre l'irritazione calava sul suo viso angelico, raggiungendo la ragazza e fissandola con disappunto. Si rivolse prima alla sua collega.
-Dov'era?
-All'uscita dell'ospedale.
Rispose prontamente la Jackson. Lo sguardo di Wilson si spostò nuovamente su Jade e la fulminò.
-Cosa le ho detto riguardo all'andarsene in giro a suo piacimento? L'abbiamo cercata per tutto l'ospedale.
Jade a quelle parole lo fissó a sua volta con disprezzo.
-Nessuno gliel'ha chiesto, sarei tornata indietro subito dopo aver preso una boccata d'aria.
Rispose decisa. Lo vide sogghignare poi le labbra di Wilson si inarcarono in un sorriso arrogante.
-Si rende conto che, per il suo comportamento sconsiderato, qualche attimo fa stava per essere uccisa. È la terza volta, o sbaglio? Lei è proprio una bambina incosciente.
Aggiunse con tutto il disprezzo che aveva in corpo. Se lui stava trattenendo a stento la rabbia, per Jade era lo stesso.
-Sarò anche una bambina incosciente, ma, se avessi potuto, sarei riuscita ad avere qualche informazione in più da Giselle e avrei avuto almeno un'idea sul perchè mia cugina ha fatto quel che ha fatto. Invece, sbaglio o non ha ricavato niente dall'interrogatorio con lei?!
Il suo sorriso arrogante non si spense, anche se era ben evidente che stava cercando di apparire calmo, sebbene non lo fosse affatto, anche gli altri poliziotti avevano percepito l'aria che tirava e avevano tacitamente deciso di allontanarsi.
-Sta forse dicendo che non so fare il mio lavoro, Gwels?
-Se fosse stato il contrario, a quest'ora saprebbe già dirmi perchè mia cugina ha tentato di uccidermi e invece mi sembra che lei ne sappia quanto me.
Concluse Jade, con uno sguardo assassino. Il capo ispettore le si avvicinò assottigliando il suo di sguardo, quegli occhi chiari e intimidatori celavano forte irritazione, coperta da un falso velo di ironia.
-Se non sapessi fare il mio lavoro, a quest'ora lei non sarebbe qui, ad insultarmi, ma nella tomba.
Le disse con lo stesso sorrisetto arrogante, che Jade trovò più irritante del solito. Aveva voglia più che mai di tirargli un pugno in faccia, togliere da quel volto da principe quell'espressione di scherno che le mostrava.
-Quindi, se è come dice lei, ha anche risolto il caso?
Lo sguardo di Wilson si fece tagliente.
-Se lei non fosse entrata in quella stanza, forse adesso saremmo riusciti a ricavare qualche informazione in più, invece no, ha dovuto fare la bambina coraggiosa. Che cosa si aspettava? Di andare lì, riabbracciarvi, fare pace e tornarvene a casa insieme felici e contente?
Jade fece un passo verso il capo ispettore sempre con sguardo di sfida. Avrebbero potuto continuare ad insultarsi fino all'infinito, lei era già pronta a ribattere, ad ammettere il reale motivo per cui si era recata lì, ovvero ottenere risposte che nessuno sembrava darle, ma si fermó poiché qualcuno parlò al posto suo.
-Anche se ha tentato di ucciderla è comunque sua cugina. È ovvio che volesse vedere come stava.
Si voltarono entrambi verso quella voce fissando il ragazzo alto e dai capelli castani chiari che aveva parlato, standosene poggiato ad una parete da dove probabilmente aveva assistito a tutta la scena. Jade fu stupita di vedere Elliot lì, anche se quello era il solito modo in cui si incontravano, sempre per caso.
-Certo.
Aggiunse Wilson, con un tono così carico di sarcasmo che sembrava stesse per scoppiare a ridere. Lo schema in in cui aveva inquadrato Jade era ben definito: si era accorto di quanto di quanto astio provasse nei confronti di sua cugina, aveva infatti parlato apposta per ferirla. Forse era anche per questo che quei due si erano odiati da subito, è facile che due persone simili si scontrino. Wilson rivolse un ultimo sguardo ad Elliot, poi annoiato da quella che ormai era diventata una conversazione morta, si avvicinò agli altri poliziotti e Jade ne fu contenta.
-Che ci fai qui?
Chiese poi inespressiva ad Elliot, che le si avvicinò rivolgendole un sorriso nervoso.
-Dovevo far visita a qualcuno... poi ho cambiato idea.
Jade fissó il suo sguardo spento spento, ma non ebbe il tempo di fare altre domande che Wilson subito ritornò.
-Allora Gwels, a quanto pare questa sera dovrò ospitarla io. I miei colleghi non sono disponibili. Non è magnifico?
Aggiunse con il sorriso più falso che potesse mettere su e, tutta la rabbia che Jade aveva cercato di reprimere, tornò a galla pronta per esplodere.
-Preferirei morir..
-Potrei ospitarla io.
Annunciò subito Eliot, prima di lasciarle finire la frase, guadagnandosi nuovamente gli sguardi sbigottiti di Jade e Wilson.
-Molto gentile da parte sua Black, ma la signorina Gwels è sotto la tutela della polizia fino al ritorno dei suoi genitori. Non possiamo lasciarla con un minorenne.
Disse inespressivo il capo ispettore.
-Infatti, io non sono un minorenne. Quindi non vedo dove sia il problema.
Aggiunse Elliot. Jade, da parte sua, non aveva alcun dubbio: se avesse dovuto scegliere tra, passare la notte a casa di Elliot o a casa di Wilson, decisamente non avrebbe scelto nessuna delle due, ma tra il ragazzo e il capo ispettore di certo Elliot era la persona di cui si fidava un po' di più.
-Preferirei stare da Elliot, non vorrei disturbarla signor Wilson.
Disse all'improvviso la ragazza, cercando di sembrare convincente, quando in realtà, stava già macchinando il piano di farsi accompagnare a casa, prendere finalmente i soldi che aveva da parte e pagarsi una camera dove passare la notte. Dormire nuovamente da Eliot le sembrava sconveniente, l'aveva già aiutata fin troppo per ora. Il capo ispettore sembrò convincersi, spinto anche della poca voglia che aveva di ospitarla.
-Va bene.
Disse infatti, un istante dopo si fece serio.
-Per qualsiasi cosa le lascio il mio numero.
Le passò un bigliettino accennando un cenno di saluto ad Elliot e poi raggiunse lentamente gli altri poliziotti, mentre Jade si avviava invece col ragazzo verso la sua auto blu scuro.
-Tu e Wilson stavate proprio per picchiarvi, eh?
Le disse Elliot appena presero posto nel veicolo, con un accenno di ironia nella voce.
-Quell'uomo è irritante.
Rispose Jade sospirando e lasciandosi sprofondare nel sedile dell'auto.
-Però, detesto ammetterlo, ma sono stata troppo avventata. Avrei dovuto saperlo che non era sicuro farle visita.
Continuò a dire la ragazza socchiudendo gli occhi. Era esausta, come le stava capitando spesso in quegli ultimi giorni.
-Come potevi saperlo?! È tua cugina, non dovrebbe essere così ostinata nell'ucciderti.
La rassicurò Elliot, mentre accendeva il motore. 
A sentire quel tono premuroso percepì i muscoli rilassarsi e si voltò a guardarlo. Per un momento le sembrò che sarebbe davvero potuto succedere, che lei e quel ragazzo dai scompigliati capelli castani chiari sarebbero potuti diventare davvero amici, una di quelle amicizie che durano per sempre, in cui si condivide tutto e  ci si conosce profondamente, dandosi fiducia sempre e indistintamente in onore di un legame che è certezza. Fu solo un momento poi il sogno ludico svanì e le ali della possibilità che le avevano permesso di spiccare il volo furono bloccate dalle forti catene della diffidenza: Jade non ci credeva in quelle amicizie, spinta dalla mancanza di fiducia nell'essere umano.
-Grazie per aver detto che mi avresti ospitata, ma non ce n'è bisogno. Ho già dove andare, quindi potresti lasciarmi semplicemente a casa mia?
Disse Jade con un certa freddezza, dettata dalla consapevolezza che, per quanto l'idea di un'amicizia infondo le piacesse, non l'avrebbe mai messa in pratica per quelle paure immense che aveva, forti catene che si trascinava da tempo.
Elliot non sembrò sorpreso da quella richiesta.
-Si, tranquilla ti porto a casa tua. Immaginavo che me l'avresti chiesto.
Le rispose, continuando a guardare la strada, l'espressione sul suo volto era indefinita. Jade si irrigidì e gli rivolse uno sguardo.
-Allora perchè...
-...ho detto che ti avrei ospitato?
Finì Elliot la frase per lei. Dopo averla guardata di sfuggita e aver visto il suo volto sorpreso, il ragazzo accennò un sorriso.
-Perchè ho capito che andare da Wilson era l'ultima cosa che avresti voluto fare, ma ero consapevole che non saresti venuta nemmeno da me.
Jade rimase in silenzio, stupita da come lui l'avesse ben decifrata, nonostante il poco tempo che avevano passato insieme.
-Anche se non so niente di te, so che non ti fidi di nessuno, l'ho capito.
Concluse Elliot, mentre lei continuava a fissarlo incuriosita da quel ragazzo che si stava dimostrando interessante e complesso. Lui era come un cubo di Rubik, decifrata una facciata l'altra si scombinava, si doveva trovare il meccanismo per risolverlo e una volta scoperto diventava il più semplice di tutti i giochi. Fino a quel momento per lei Elliot rimaneva un mistero, forse perchè non aveva nemmeno cercato di comprenderlo o conoscerlo, presa com'era dal mantenere le distanze.
Distolse lo sguardo allontanando in fretta quei pensieri e di li a poco sentì il suo telefono squillare a causa della chiamata di sua madre Olivia. Respirò profondamente pronta a risponderle ma in un attimo cambiò idea, in quel momento non si sentiva particolarmente pronta a rassicurare qualcuno, del resto ci stava riuscendo ben poco persino con se stessa.

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