VIII

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Nel capitolo precedente:
《"Quindi fai parte della squadra di atletica della scuola?"
"Esatto, mio caro. Anzi, sono anche il capitano. Ti va di fare un salto oggi alle cinque? Sembri abbastanza veloce, e il fisico... ce l'hai insomma"
"Chi te lo garantisce?"
"Possiamo sempre chiedere a Newt"
"Faccia di caspio, chiudi quella fogna."
"Farò un salto"

"Perché porti quel mega coso grigio?"
"Perché è comodo"
"Non hai mai provato ad usare una taglia in meno?"
"Mh... no. Perché, non mi sta bene?"
"Possiamo dire di si"
"Bene così."

Si avvicinò ancora, ma appena scorse la figura che stava baciando sua sorella, quella che le accarezzava dolcemente una guancia e che aveva il collo avvolto dalle braccia della moretta, una folata di vento lo investì e stavolta lo sentì prefettamente.
Newt?》

CAPITOLO VIII

Il cuore gli batteva nel petto a diecimila battiti al secondo mentre, passo dopo passo, a grandi falcate, si avvicinava sempre più al piccolo appartamento.
In quel momento, gli sembrò davvero che il mondo ce l'avesse con lui.
Sua sorella. E Newt.
Dannazione!

Ma poi Newt non era...?
A quel pensiero, inciampò nei suoi stessi passi, e fece a malapena in tempo a tendere le mani in avanti per attutire la caduta. Ciononostante si ritrovò comunque con la guancia schiacciata tra il suo peso e il cemento. E non si mosse.

Newt non aveva dichiarato, circa un paio di settinane fa, di non essere etero? E non essere etero non voleva dire che a lui non piacevano le ragazze?
E Teresa non era una ragazza!?
Non ci capiva più nulla. Non voleva capirci più nulla.
Si alzò gemendo per lo sforzo, e ignorò completamente il dolore al ginocchio.
Piuttosto, cercò di tornare il più veloce possibile a casa, in modo da allontanarsi maggiormente da quel luogo in cui la paura, il panico, la rabbia e la totale frustazione nell'essere imponente a tutto ciò che l'aveva invaso.

Cercò di mantere la calma, ma le immagini gli annebbiavano la vista.
Allora fece una delle poche cose che sapeva che l'avrebbe aiutato: sfilò il cellulare dalla tasca, ma tolse subito la connessione a internet, e prese le cuffie. Fece partire una canzone a caso da uno dei suoi playlist, e cercò di svuotare la mente.
Simple Plan cantava, e Thomas sperò facesse dell'ironia mentre diceva quelle parole che lo rispecchiavano alla perfezione.
Ma Thomas odiava gli specchi.

"Do you ever feel like breaking down?
Do you ever feel out of place?
Like somehow you just don't belong
And no one understands you?
Do you ever wanna run away?[...]"

Si, voleva correre in quel momento senza voltarsi, perché correre con la musica nelle orecchie che lo isolasse dal resto del mondo era l'unica cosa che avrebbe fatto per tutta la vita, se avesse potuto.
Cominciò a correre, lo zaino che rimbalzava sulla sua schiena e le scarpe che saltavano pozzanghere e tombini, evitando perfino di guardare la strada prima di attraversare.

Arrivò a casa che il respiro gli si era bloccato nei polmoni, che il cuore gli minacciava di esplodere, nuovamente, e le gambe che tremavano.
Erano questi gli effetti collaterali dell'innamorarsi di qualcuno?
Dannazione, se lo avesse saputo, si sarebbe imposto di rimanere single a vita.

Aprì la porta di casa poco dopo, con un sospiro cercò di allontanare tutte le sue emozioni, e con un gesto teatrale e quotidiano lasciò cadere lo zaino accanto al muro.
"Tom? Tess? Siete voi?" Domandò la voce stanca proveniente da un'altra stanza.

"No mamma, sono solo io!" Urlò Thomas di rimando, cercando di non far tremolare la voce.
Odiava sentirsi così.
Dallo stipite di una porta si affacciò una signora. Era giovane, non superava i cinquant'anni e si vedeva.
Aveva i capelli bruno raccolti in un veloce e distratto chignon, gli occhi dietro un paio di occhiali azzurri. Non sorrideva, e sulla sua pelle orivastra si vedevano a malapena un paio di rughe accanto agli occhi. Era alta quanto Thomas -vale a dire abbastanza- e aveva un fisico di cui potersi vantare.
Ma non lo faceva. E non sorrideva, neanche ai complimenti.

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