Imbarazzo e Rivelazioni

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Era alquanto imbarazzante ritrovarmi in casa del mio ex, dove solo il giorno prima avevamo fatto sesso.
«Fate come se foste a casa vostra» ci comunicò Francisco, appena varcata la soglia dell'abitazione, poi prese le nostre valigie portandole in un angolo all'ingresso.
«Wow, bella questa casa, ma non ho ancora capito come vi conoscete.» Lo sguardo di Gregg si alternò a noi per qualche secondo e cercai di non perdere la calma: sapeva sempre essere inopportuno, anche se riconobbi che la sua domanda era del tutto lecita.
«Andavamo allo stesso college.» Francisco rispose prima di me, ridacchiando, mentre ci fece strada verso il piccolo salottino.
«Ah bello, quindi siete amici?» Gregg guardò prima me e poi lui; non sapevo cosa rispondere, quindi lasciai nuovamente l'onore al mio amico del college.
«Una specie.» Rise di nuovo per poi riprendere subito a parlare, forse per evitare che Gregg facesse altre domande sconvenienti. «Allora, qua abbiamo la cucina,» indicò una stanza alla nostra destra; «e qui la mia camera da letto che cederò alla nostra cara Amanda.» Indicò la stanza dove ci eravamo scambiati quelle intense effusioni e poi mi rivolse un sorrisetto divertito.
«Grazie mille, Francy» lo ringraziò Gregg, dandogli una pacca sulla spalla come se si conoscessero da anni. Sapevo fin troppo bene che odiava essere chiamato Francy, eppure non disse nulla, limitandosi a sorridergli.


Dopo aver mangiato nel più imbarazzante silenzio, portai la mia valigia nella sua stanza; il letto era fatto alla perfezione ed era tutto in ordine. Mi diedi qualche secondo per prendere coscienza di ciò che stava accadendo, quando delle mani mi afferrarono da dietro e sobbalzai trattenendo il respiro.
«Sono passati anni, ma non riesci comunque a starmi lontano» mi sussurrò all'orecchio e io mi staccai in fretta dalla presa, girandomi verso di lui.
«Tu ci hai ospitati qui, se fosse per me starei già sull'aereo per tornare alla mia amata New York!» Gli puntai il dito sul petto, assottigliando lo sguardo: odiavo la sua presunzione.
«Hai ragione, però ieri non sembrava ti dispiacesse stare con me, o sbaglio?» Fece qualche passo per riavvicinarsi, appoggiandomi una mano sulla schiena.
«Si può sbagliare nella vita, Francisco.» Lo guardai negli occhi e lui scosse la testa, sorridendo.
«Lo sentivo come urlavi il mio nome, piccola.» Si abbassò all'altezza del mio orecchio e mi morse il lobo, delicatamente; chiusi gli occhi e ignorai l'istinto di lasciarmi andare, scavando dentro di me per trovare l'autocontrollo che non avevo avuto il giorno prima. Con uno scatto poggiai le mani sul suo petto e lo allontanai.
«Grazie per averci dato un posto per la notte, te ne siamo grati, ma ciò che è successo ieri rimarrà dov'è, ossia nel passato.» Terminai la frase in modo conciso, sicura di me stessa: non mi sarei fatta abbindolare di nuovo dal suo fascino.
«Cosa è successo ieri?» La voce di Gregg si palesò sulla soglia, facendomi vacillare.
«Niente.» Mi affrettai a liquidare quella domanda, sorpassando Francisco per dirigermi in salotto; restavano ancora ventidue ore da passare in quel posto, ce l'avrei fatta.



Il pomeriggio procedette tranquillamente, finché la mia quiete fu interrotta dalle lamentele di Gregg che aveva voglia di fare qualcosa di produttivo, piuttosto che stare a marcire in quell'edificio.
«Vuoi fare un giro della città?» propose il mio amico del college, comparendo in soggiorno dove stavo beatamente seduta sulla poltrona.
«Sì, dai, Amanda vieni?» Gregg mi rivolse uno sguardo complice; in effetti stare lì a far nulla stava stufando anche me. Annuii alzandomi per prendere il mio cellulare dalla borsa e, inaspettatamente, trovai cinque nuovi messaggi di cui tre di Luke.

- Amanda, mi sto preoccupando, che fine hai fatto? -
- Oddio, non sai cosa è successo, cazzo devo parlarti al più presto!! -
- Dio, Amanda ma stai bene? Ti prego non farmi preoccupare! -

Sospirai, accorgendomi che i due ragazzi mi attendevano accigliati sulla porta d'ingresso.
«Iniziate ad andare, vi raggiungo.» Sorrisi provando a mostrarmi calma, ma Francisco scosse la testa.
«Ti perdi se non ci stai dietro, dai muovi il culo.» Strinsi i denti per un secondo: non mi piaceva il tono con cui si rivolgeva a me, ma non volevo creare casini, quindi mi limitai a sbuffare e mi mossi per seguirli; lui chiuse la casa e ci avviammo verso il centro della città.
Rimasi leggermente indietro per avere almeno un minimo di privacy e poter leggere anche gli altri due messaggi.

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