Tensioni

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I suoi occhi mi scrutavano in attesa che parlassi, ma l'unica cosa che riuscivo a fare era fissare quel livido violaceo sulla sua guancia destra. Deglutii e alzai una mano delicatamente, appoggiando le dita sul segno e lui sembrò irrigidirsi, ma non disse nulla; i miei occhi si puntarono nei suoi e ci vidi dentro solo rabbia e frustrazione.
«Cosa è successo?» gli chiesi, timorosa di sapere la risposta, ma d'altronde dovevo accertarmi se fosse stato James a fargli del male.
«Niente» rispose piatto, tenendo gli occhi su di me, ma sapevo fin troppo bene che quel "niente" era tutt'altro.
«Luke, dimmi cosa ti ha fatto.» La mia voce risultò più come un sussurro e quando stava per aprire bocca e parlare, la mia attenzione venne catturata da un piccolo anellino nero sul suo labbro inferiore; i miei occhi si incollarono in quel punto, mentre iniziava a parlare.
«Amanda, davvero, non è successo nulla, ho solo sbattuto la guancia contro un mobile.» Le sue parole sfumarono mentre ero intenta ad osservare quel piercing che evidentemente si era fatto proprio quel pomeriggio. Le mie dita scorsero automatiche, passando su quel piccolo pezzo di metallo e percepii il leggero movimento delle sue labbra – nel chiudersi – mentre mi perforava con lo sguardo.
«Quando lo hai fatto?» chiesi, continuando a passarci le dita sopra.
«Oggi pomeriggio.» Confermò i miei sospetti e spostai lo sguardo nei suoi occhi, talmente chiari da stordirmi.
«Perché?» Lasciai scivolare la mano sul suo petto mentre continuavo a tenere lo sguardo fisso su di lui.
«Che importanza ha?» Distolse lo sguardo da me e quasi mi sentii crollare il mondo addosso; dovevo sapere. Per me aveva importanza e anche molta, quindi mi avvicinai a lui alzandomi in punta di piedi, portando le mani sul suo collo mentre mi facevo sempre più vicina. Ero preoccupata per lui e volevo che mi parlasse, che capisse che io ero lì per lui; non avrei mai voluto che si cacciasse in situazioni terribili a causa mia.
«Per me ce l'ha.» Chiusi gli occhi, sospirando per cercare di rimanere calma di fronte a tutta quella situazione e sentii le sue mani prendermi saldamente per i fianchi; quel gesto mi fece percepire tutta la rabbia che provava e quasi la sentii dentro di me, come se volesse passarmela, come se volesse farmi capire come si sentiva; eppure non mi dispiaceva, non era per niente una brutta sensazione.
«Amanda cosa stai facendo?» La sua voce mi fece aprire gli occhi di scatto e mi trovai così vicino al suo viso da sfiorarglielo col naso; il cuore esplose in un ritmo impazzito e la sua domanda mi risuonò nel cervello: cosa stavo facendo?
Mi allontanai di colpo, guardandolo e ricomponendomi.
«Dimmi cosa è successo» ripetei, cercando di calmare il ritmo frenetico del mio cuore.
«Te l'ho detto» rispose scocciato, passandosi una mano tra i capelli.
«Voglio la verità, Luke! Non sono scema!» Alzai la voce, in un impeto di rabbia. Non comprendeva che lo facevo solo perché ero preoccupata?
«Beh, forse lo sei se ti sei messa con quel deficiente!» urlò e rimasi interdetta dalle sue parole. Non sapevo come ribattere, non sapevo come reagire, mi limitai a osservare la vena che pulsava sul suo collo.
«Dovremmo... dovremmo prepararci.» Cercai di cambiare argomento, andando verso il letto per prendere le mie cose, ma mi sentii tirare per un braccio e mi voltai a guardarlo.
«Forse è meglio se lasciamo perdere.» Mi trafisse con lo sguardo e fu come se dentro di me qualcosa si spezzasse. Una lacrima scivolò silenziosa sulla mia guancia e quando me ne resi conto la tolsi con un veloce gesto della mano.
«Perché?» chiesi, con voce spezzata. All'inizio ero io quella insicura che non voleva andarci, mentre in quel momento avrei solo voluto non pensare a nulla, andare a quel ballo e stare con lui. Dimenticarmi di ogni altro problema.
«Dovresti tornare a casa, Amanda.» Non capivo perché mi trattasse in quel modo; qualche giorno prima era contentissimo di andare al ballo e poi decideva che non ne valeva la pena.
Doveva per forza c'entrare James.
Mi staccai con violenza dalla sua presa e afferrai tutte le mie cose, andando verso il bagno, chiusi la porta con uno scatto e guardai il mio riflesso allo specchio.
«Amanda, aprimi!» Bussò diverse volte, ma non gli avrei aperto finché non mi fossi preparata come avevo in mente.
Non sapevo perché in quel momento mi stava così tanto a cuore andare a quel ballo, però sentivo che dovevo andarci, con lui.
Forse per dargli quel minimo di gioia dopo una giornata così intensa, o forse per dare a me una gioia, o un modo per svagarmi.
Mi spogliai mentre lui continuava a bussare e mi infilai il lungo vestito azzurro tempestato di brillantini sul tulle, che ricopriva la parte inferiore della gonna. Presi la pochette e iniziai a truccarmi; non ero solita utilizzare blush, eyeliner, ombretto scuro, mascara e rossetto di un colore così intenso, ma in quel momento sentivo che il colore sul mio viso non sarebbe stato abbastanza. Forse per mascherare la tempesta che incombeva sulla mia anima.
Infine mi diedi una sistemata ai capelli e mi guardai per l'ultima volta, prima di aprire la porta e vedere l'espressione di Luke passare da incazzata a stupita in un batter d'occhio.
«Dovresti prepararti anche tu» sentenziai, prima di sorpassarlo per andare a prendere le scarpe. Mi chinai a raccoglierle, sentendo i suoi passi farsi più vicini, e mi voltai a guardarlo; i suoi occhi caddero sulla mia scollatura a cuore e lo vidi deglutire per poi spostare lo sguardo nei miei occhi.
«Do... dovresti andare... subito.» Deglutì di nuovo e io mi avvicinai.
«Non finché non mi dici cosa è successo con James!» Alzai la voce, guardandolo dritto negli occhi. Tutta la tristezza si era tramutata in rabbia e se non riuscivo a cavargli informazioni con le maniere buone, allora avrei usato ogni metodo.
«Ti ho già detto che non è stato lui» replicò a denti stretti.
«Bene, allora preparati che andiamo a quel dannato ballo!» Feci per rigirarmi irritata, ma mi afferrò per il polso, provocandomi una scossa lungo la schiena e facendomi cadere le scarpe.
«Non ci voglio andare a quel fottuto ballo!» sputò acido, stringendo la presa. Non mi girai, ma sentivo tutto il suo nervosismo ed ero sicura mi stesse trafiggendo con lo sguardo.
«Beh io sì, quindi ci andremo.» Cercai di levarmi dalla presa, ma era troppo forte. Strattonavo il braccio inutilmente, finché non mi costrinse a girarmi verso di lui; fece aderire i nostri corpi talmente tanto che sentivo il suo cuore battere velocemente, avvicinò il viso al mio e sentivo il suo respiro caldo contro le mie labbra; lo guardai negli occhi, attendendo una sua qualunque mossa.
«E io non ci vado...» rispose con quel suo tono basso e profondo che mi fece chiudere gli occhi per un secondo.
«Io sì» sussurrai di rimando, sentendo il suo respiro farsi sempre più vicino.
«Allora ci andrai da sola» sussurrò, anche fin troppo vicino alle mie labbra. Lo intravidi sorridere ironicamente per poi lasciare la presa, mi allontanai lentamente tenendo gli occhi puntati in quelli di lui.
«Perfetto.» Avevo il fiato corto e respiravo velocemente, quella vicinanza continuava a destabilizzarmi, ma non ne capivo il motivo. Presi la borsa che avevo portato e ci infilai il rossetto, mentre lui continuava a seguire i miei movimenti, indossai le scarpe per poi dirigermi alla porta. «Tornerò a prendere la mia roba dopo il ballo.» Fu l'ultima cosa che mi sentì dire prima di uscire dalla sua stanza e recarmi verso la sala che conoscevo fin troppo bene.





Tutti i ricordi di quella sera riaffiorano, portandomi a fermarmi di fronte a quell'enorme porta rossa che mi separava dal fatidico ballo. Alla fine non era nulla di speciale: la palestra dell'edificio trasformata in una sala con addobbi e musica ad alto volume in cui i ragazzi potevano dare sfogo alle loro effusioni romantiche, pur sempre contenute.
Eppure per me c'era molto di più.
Dieci anni prima, al primo anno di college, quando la mia speranza di poter essere notata e apprezzata, nonostante la mia timidezza, era vivida, quella sera, a quel ballo, era crollata miseramente.
Il volto di Candice che rideva di me, della piccola sfigata che aveva perso la verginità con un bel ragazzo solo per una stupida scommessa; le risate delle sue stupide amiche che la seguivano solo per avere un po' di attenzioni e infine il volto di Francisco che rideva più di tutti, il ragazzo che credevo provasse davvero dei sentimenti per me, quello con cui avevo fatto l'amore per la prima volta, che mi aveva fatto credere di poter avere una possibilità, ma in realtà era tutta una presa in giro. Me n'ero andata neanche a metà serata e mi ero chiusa nella mia stanza a piangere come una piccola anima fragile; ma quella sera ero diversa, più forte, cresciuta, ed ero lì per fare giustizia, anche se nessuno di quei ragazzi mi aveva fatto nulla, dentro di me era come se fosse una vendetta per tutto il male che avevo subito e per essermi persa il ballo.





La folla di ragazzi si stava già scatenando e accanto a me ne passavano altri, dirigendosi sulla pista da ballo oppure al buffet per bere qualche drink. Avanzai di qualche passo, osservando la sistemazione del posto, finché non sentii qualcosa sfiorarmi la spalla; pensai fosse una mia impressione, ma quando accadde una seconda volta, mi decisi a girarmi, trovando un paio di occhi scuri che mi fissavano.
«Non sei un po' grande per stare qua?» La voce altezzosa di Gregg mi fece storcere il naso e allontanare di qualche passo.
«E anche se fosse?» Alzai un sopracciglio, ricambiando lo guardo superbo; non mi sarei fatta mettere i piedi in testa da un ragazzino.
«E non hai neanche un cavaliere?» Diede una sfumatura rammaricata al suo tono e io risi quasi sarcasticamente.
«Non credo siano affari tuoi.» Mi sentivo acida, percepivo la mia ostilità verso di lui; forse era l'atmosfera, forse erano le vicende successe, ma sentivo una strana adrenalina che fremeva nel trattarlo male.
«Potrei accompagnarla io, se desidera.» Lo vidi avvicinarsi e ghignare, ma prima che potesse fare qualsiasi altro movimento, una ragazza minuta si avvicinò a noi e gli prese la mano. All'inizio lui rimase spiazzato, ma poi si riprese, guardandomi. «Sarà per la prossima volta.» Sorrise malizioso, per poi allontanarsi con la suddetta ragazza. La osservai meglio e mi ricordai di averla già vista: era la stessa che qualche settimana prima stava piangendo quando Gregg era stato arrestato. Il mio cervello ci mise poco a ricollegare le informazioni: Luke mi aveva detto che Gregg ci sarebbe andato con Stacy, quindi la strega era proprio lei. Ridacchiai tra me e me per quel pensiero e mi sentii toccare di nuovo; sbuffai, credendo fosse un altro stupido ragazzino, ma appena mi voltai, un sorriso involontario mi solcò il viso.



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Lettori miei!
Come procede secondo voi la storia?

Spero vi sia piaciuto il capitolo!
Per qualsiasi cosa, scrivete!

Un bacio :*
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*revisionato*

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