10.

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Il lunedì era arrivato portando con sé una nuova settimana.

Thomas, dopo il brunch del giorno prima e la conclusione un po' amara, aveva stretto i denti e nascosto il suo stato d'animo. Non aveva neanche avuto la forza di rispondere all'Ammiratore che, come sempre, aveva cercato di informarsi sulla sua giornata. Ma il biondino aveva l'umore a terra e aveva passato il resto della domenica a letto, a leggere e a sgranocchiare cibo spazzatura, approfittando anche dell'assenza di Becky.

Alle nove, puntuale come sempre, dopo aver preso la metro per via dell'assenza, fortuita, di Stevenson, alle prese con degli incontri a Midtown, aveva raggiunto la sua postazione sentendosi in colpa alla vista del caffè di Starbucks che lo attendeva sulla scrivania.

Thomas- Grazie, per tutto.

Inviò all'Ammiratore, rendendosi conto di aver sorriso dopo dieci ore di espressione imperturbabile.

Ammiratore- Faccio del mio meglio.

Thomas- Era una battuta? Sei spiritoso negli ultimi giorni.

Ammiratore- Te l'ho detto che ancora devi conoscermi. Cos'è successo ieri?

Thomas- Cosa ti fa pensare che sia successo qualcosa?

Ammiratore- Non hai risposto al mio sms.

Thomas- Sei troppo perspicace, non posso nasconderti niente.

Ammiratore- Quindi?

Thomas- Mi sono preso una bella cotta. E ieri questa consapevolezza mi è caduta addosso.

Ammiratore- Suppongo tu stia parlando del tuo capo.

Thomas- Purtroppo sì.

Ammiratore- Cosa vorresti fare?

Thomas- Ovviamente niente! Amo il mio lavoro, non voglio e non posso perderlo per questa stronzata. 

L'attenzione di Thomas venne richiamata da Beth che, come al solito, approfittava della presenza del biondino per fargli sbrigare ogni genere di faccenda. Così il ragazzo dovette posare il telefono, interrompendo la conversazione con l'Ammiratore. Dopo aver passato almeno un'ora a controllare dei faldoni colmi di documenti che risalivano ad almeno due anni prima, Thomas dovette scendere nell'ufficio del personale per consegnare delle pratiche. Tutte cose che non facevano parte del suo lavoro ma che, segretarie storiche come Beth, potevano permettersi di chiedere ai "pivelli".

«Thomas, qual buon vento?» Mark Leeson, da dietro la scrivania, col solito sorriso e gli occhi scuri, salutò il biondino alzandosi in piedi.

«Buongiorno Mark, mi manda Beth» rispose, porgendo i documenti nelle mani del moro.

«Ah ora capisco, non c'è Ronald e la vecchia megera ne approfitta»

«Qualcosa del genere»

I due si fissarono, Thomas ricambiò il sorriso un po' forzatamente, ma Mark si fece improvvisamente serio, posò i documenti sul ripiano della scrivania senza interrompere il contatto visivo col bel giovane, poi chiese di getto: «pranziamo insieme?»

Thomas non capì la richiesta. Finora Mark era stato piuttosto acido nei suoi confronti, ma era anche un bel ragazzo, dai lineamenti virili, non troppo alto rispetto a Thomas, con le spalle larghe e le labbra piene. Thomas pensò che non ci fosse nulla di male nell'accettare. E, tra l'altro, non era detto si trattasse di una richiesta dettata da un interesse di tipo sentimentale. Forse voleva soltanto essergli amico.

«Dovrei essere libero», rispose.

«Fantastico».

A mezzogiorno i due si incontrarono nella hall dell'agenzia. Si incamminarono fianco a fianco verso il Central Park, dove avrebbero pranzato ma, una volta superati i tornelli del palazzo, Thomas vide Ronald Stevenson avvicinarsi con la solita espressione impassibile.

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