CAPITOLO UNO

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Ero in volo da un'ora ormai, e la mia testa era piena di domande a cui avrei voluto dare delle risposte: Mi sarei ancora chiamata Camille Lavourì? Avrei dovuto chiamare i miei nuovi genitori 'mamma e papà'? Sarei diventata italiana a tutti gli effetti? Come sarebbe stata la mia 'nuova' vita? troppi dubbi e nessuna risposta.

Mi ricordavo di una volta, in cui mia madre mi disse di non pensare troppo, perché altrimenti mi sarebbe scoppiata la testa. Quanto aveva ragione. 

Miss Amelì, l'assistente sociale che mi accompagnava durante il viaggio, era molto più tranquilla di me, forse perché lei era felice che una famiglia mi avesse adottata soprattutto vista la mia età, ma io non lo ero; io avrei solo voluto la mia mamma, la mia vera mamma e non una famiglia sostitutiva.

Ormai ero sola al mondo. Solo in quella occasione mi resi veramente conto di quando mia madre mi volesse bene e di che razza di uomo doveva essere mio padre, ma soprattutto di che mostri erano i miei così detti nonni che non appena seppero della morte di mia madre mi rinnegarono e mi chiamarono 'figlia del demonio'. Questi ricordi mi fecero trasalire.

Come poteva una bambina essere figlia del demonio? Mamma mi aveva sempre detto che ero nata dall'amore tra lei e mio padre. e allora perché mai i miei nonni  mi ritenevano così mal voluta?.

Quando l'aereo cominciò l'atterraggio mi sali l'ansia e arrivarono nuovi dubbi: Perché avrebbero dovuto adottare una ragazza di diciassette anni, mingherlina, con capelli lunghi e castani e occhi marroni? Alla vista di chiunque passavo per una ragazza gracile e insignificante. E allora perché adottarmi?.

Entrate nell'atrio dell'aeroporto Amelì che era una donna molto emotiva aveva iniziato ad agitarsi e ad emozionarsi ; <<Camille, sei una ragazza fortunatissima!>> mi disse con voce eccitata, ma io non risposi perché rimasi a bocca aperta per via di una donna davanti a me con in mano un cartello su cui c'era scritto "ben arrivata Camille".Era una donna bellissima; alta, capelli biondo cenere, occhi marroni, fisico perfetto e quasi sicuramente non aveva più di trentacinque anni.

Amelì si accorse che mi ero incantata su qualcosa e appena guardò in avanti si mise a ridere: <<Elisabeth, mia cara, che piacere rivederti>> gridò Amelì correndo verso la donna. si abbracciano , si baciarono e iniziarono a parlottare fra di loro. Mi sarebbe piaciuto sventolare la mano e dire 'hei, io sono qui', ma un po' perché ero timida, un po' perché non volevo affrontare la situazione rimasi in silenzio ed aspettai.
Mi piaceva l'aeroporto: era pieno di gente che andava e veniva, ma soprattutto mi piacevano le hostess che a modo loro sfilavano tra la folla.

Dopo qualche risata Amelì si girò verso di me e sorridendo mi presentò alla bellissima donna<<Camille, lei è Elisabeth; Elisabeth, lei è Camille>>. Elisabeth mi scrutò a lungo, poi sfoderando i luminosi denti bianchi esclamò <<Che piacere tesoro mio! sei bellissima, proprio come ti immaginavo!>>. Mi immaginava cosi? Probabilmente aveva visto una mia foto.

<<G-Grazie, signora Gon>> risposi timidamente.

<<Ma quale signora Gon! io sono Elisabeth, o se preferisci mamma>>

Mamma? quale mamma? io ne ho solo una di mamma. Pensai quasi irritata.

<<Elisabeth va bene>> dissi infine un po' imbronciata.

<<Perfetto>>.

Elisabeth si voltò verso Amelì << È tutto a posto con i documenti?>>

<<Certamente! non devi preoccuparti>> rispose Amelì che mi prese la mano e con voce dolce mi disse <<Cara, abbi cura di te; ricordati che tua madre resterà sempre con te, all'interno del tuo cuore. non farti mettere i piedi in testa da nessuno e per qualsiasi problema puoi chiamarmi>> poi baciandomi la tempia aggiunse <<ti voglio bene Camille>>. Una lacrima mi rigò la guancia. Quella donna anche se per poco tempo mi aveva fatta sentire un po' amata.<<addio Amelì>> sussurrai prima che lei se ne andasse senza guardare indietro.

Mi voltai veso Elisabeth cercando di non piangere e prendendo la mia valigia feci un respiro profondo <<Sono pronta>>.

Ci incaminammo verso il parcheggio in silenzio, non avevo idea di cosa dire; certo, avrei voluto fare centinaia di domande, ma ero troppo imbarazzata.

<<adesso che arriviamo in macchina conoscerai mio marito e mio figlio; sai, ha la tua stessa età>> disse Elisabeth ad un certo punto con un sorriso a trentadue denti. figlio? nessuno mi aveva parlato di un FIGLIO.

non dissi niente perché se l'avessi fatto avrei iniziato ad urlare e sarei sembrata una matta. Arrivammo davanti ad una Volvo nera metallizzata, ultra moderna; non osavo immaginare quanto potesse costare una macchina del genere. In Francia io e mia madre ci spostavamo sempre con i mezzi pubblici perché non avevamo abbastanza soldi per permetterci una macchina.

Elisabeth mise la mia valigia nel bagagliaio e, aprendomi la portiera, mi fece entrare. E SBAM! di fianco a me c'era un ragazzo, anzi, un angelo sceso in terra. Era bellissimo; occhi verdi, capelli neri con pettinatura alla Edward Cullen, quando entra nella scuola per la prima volta in Twlight, braccia muscolose, pelle liscia e abbronzata. L'ho già detto che era bellissimo?. Lo fissai per una frazione di secondo perché quando lui mi sorrise diventai bordò. <<Ciao, io sono Matteo>> disse infine rivolto verso di me <<P-piacere>> risposi impacciata e mi voltai a fissare fuori dal finestrino. Sentii due colpi di tosse provenire da davanti a me che mi costrinsero ad alzare lo sguardo. Di fianco ad Elisabeth vidi un uomo affascinante e che somigliava molto a Matteo; occhi verdi, capelli neri, alto e, come per Elisabeth, non gli davo più di trentacinque anni, ma forse mi sbagliavo.

<<io sono Luca, il marito di Elisabeth. Benvenuta in Italia>>. gli sorrisi leggermente prima che si voltasse e mettesse in moto la macchina. Benvenuta all'inferno pensai correggendo la frase di Luca.

un amore imprevisto.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora