CAPITOLO TRENTA

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Ero arrabbiata. Soffrire e sentirmi in colpa per cosa?.

Non volevo tornare in camera mia e non volevo nemmeno ripercorrere l'atrio rischiando di vedere Luca; volevo solo stare sola. Nel corridoio vidi la porta d'emergenza che portava all'esterno dell'ospedale e a fatica la spinsi ritrovandomi sulle scale antincendio. Ero al terzo piano e nemmeno lo sapevo. Mi sedetti goffamente per via della gamba e guardai per molto tempo l'orizzonte di fronte a me. La brezza fresca di quella giornata mi scompigliava i capelli portandomeli sul viso. Non avrei pianto, non sta volta. Odiavo tutto quello che provavo. Questo era l'amore? Una sofferenza continua? Un continuo sperare? Un illudersi sempre? Avrei preferito essere la ragazza di una volta, la ragazza che tornava a casa da sua madre, la sua vera madre, e passava tutti i pomeriggi a parlare e scherzare con lei. Da quando non c'era più avevo iniziato a fare cose che prima non sognavo e non desideravo. Dentro di me una miriade di sentimenti erano in contrasto fra di loro: odio, amore, frustrazione, ansia, paura e tanti altri a cui non davo ancora un nome. Ero un'altra persona e non me ne ero resa conto, ma se era così dovevo reagire. Dovevo, per quanto possibile, tornare ad essere la vecchia Camille, quella che stava bene con se stessa, che non aveva bisogno di nessuno, eccetto che di sua madre.

Mi ricordai di una volta che durante la lezione di francese il professore ci divise a coppie; io ero con la ragazza, a detta degli altri, più bella di Parigi. Nettamente svogliata e non portata per lo studio lei, e l'opposto io. Grazie alla mia forza di volontà e al mio duro lavoro, riuscii a far prendere un bel voto ad entrambe. Questa ero io. Una ragazza che lavorava bene da sola e che non aveva bisogno degli altri. Ma era veramente quello che volevo? La solitudine?

Mi alzai e camminando meglio che potevo tornai all'interno dell'ospedale dirigendomi verso la stanza di Matteo. Non bussai, tanto ormai sapevo con chi era, ed entrai spalancando la porta. Sia Sofia che Teo si voltarono verso di me sorpresi. La bionda si riprese quasi subito e si fece minacciosa.<<cosa vuoi ancora? >> mi disse maligna. Non la degnai di uno sguardo cercando di non far venire fuori il mio lato timido e impacciato. <<vorrei parlarti >> dissi a Matteo che era ancora sorpreso. <<come scusa? >> Sofia aveva pronunciato quelle parole come se l'avessi insultata. << adesso sono io qua con lui. Dopotutto è il mio ragazzo >> continuò lei con la sua voce da oca. <<vorrei parlare anche io a Camille, se non ti dispiace Sofi. Dobbiamo dirci molte cose>> disse Teo guardandomi negli occhi. Vederlo così mal ridotto mi faceva male. Distolse lo sguardo da me e lo puntò su Sofia <<ci vediamo domani, se ti va bene >> proseguì rivolto alla bionda con voce gentile. Lei lo guardò male, ma evidentemente si era resa conto che non era il caso di litigare perché gli diede un bacio veloce sulla guancia e se ne andò via. "Cavolo ha un cervello allora" pensai quasi ridendo. Ogni tanto mi sorprendevo da sola per le cose orribili che potevo pensare.

Quando la porta alle mie spalle si chiuse iniziai ad agitarmi. Dov'era finito tutto il coraggio di un secondo fa? Doveva essere volato via insieme alla mia convinzione che non avrei pianto perché sentivo gli occhi gonfi. Nessuno dei due parlava; eravamo in silenzio come se entrambi fossimo muti. Dopo non so quanto tempo mi mossi e mi sedetti sulla sedia accanto al suo letto, ma non parlai e nemmeno lui lo fece. "non piangere Camille" continuavo a ripetermi nella mente. Più facile a dirsi che a farsi. Le lacrime iniziarono a rigarmi il volto; ormai le conoscevo a memoria da tante che me ne erano scese nell'ultimo periodo. <<mi dispiace >> sussurrai con voce debole <<è tutta colpa mia>> continuai fra un singhiozzo e l'altro. Mi presi il volto fra le mani e senza volerlo iniziai a parlare velocemente <<se non fossi salita in macchina, se non ti avessi fatto arr...>> non riuscii a finire la frase perché il tocco della mano di Matteo sul mio ginocchio 'sano' mi fece quasi sussultare. <<non è colpa tua. Ero io alla guida, io mi sono distratto. Sono io l'unico responsabile Camille, a me dispiace per quello che ti è successo>>.disse Teo tutto d'un fiato nel miglior modo possibile. Stava facendo difficoltà a parlare e io me ne rendevo conto, dopotutto si era appena risvegliato. <<sei salito in macchina perché io ti ho fatto arrabbiare>> continuai io adirata con me stessa. <<solo perché io ho fatto arrabbiare te>> biascicò lui cercando di essere ironico. << tu mi hai cambiata. Prima di venire qua in Italia io non avevo amici e non mi interessavo all'amore. E adesso guardami, ho delle amiche fantastiche, mi sono ubriacata e mi sono innamorata >> dissi quella frase senza pensarci e me ne pentii subito. "e adesso cosa faccio" mi domandai nel panico. <<non intendevo dire.. >> mi bloccai; era una situazione troppo imbarazzante per me. <<ti ho sentita >>disse Matteo tranquillamente. Alzai lo sguardo su di lui sperando che non intendesse il momento quando mi ero aperta a lui, quando, anche se lui era in coma, gli avevo dichiarato ciò che provavo. <<non riuscivo a svegliarmi, ma riuscivo a sentirti >> sussurrò

un amore imprevisto.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora