CAPITOLO TRENTADUE

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Ero pronta, finalmente sarei uscita dall'ospedale. Elisabeth mi aveva portato dei vestiti puliti e comodi, per la mia situazione, da mettere. Ero ancora nella mia camera che tenevo compagnia a Sharon mentre aspettavo Luca che venisse a prendermi. Non vedevo Matteo da due giorni, esattamente da quando mi aveva ferito inconsciamente. Sapevo che stava bene e che non era più in pericolo e, a malincuore, in quel momento mi bastava. Non me la sentivo di parlargli anche perché non avrei saputo cosa dirgli. Mi sentivo in colpa per come l'avevo lasciato nella sua camera, senza dirgli niente, senza farmi sentire. Era questo che sbagliavo. Ero debole. Avrei dovuto fregarmene, come, in un certo senso, faceva anche lui.

<< Sei così assenate Camille. Dovresti imparare a lasciar perdere chi non ti vuole e non ti merita>> Sharon mi distolse dai miei pensieri. <<lo vorrei tanto, ma non mi sono mai trovata in una situazione così. Non so come comportarmi. La mia vita era completamente diversa a Parigi.>> sospirai affranta. <<vai la e digli tutta la verità>> fu la risposta sincera della mia amica. La guardai titubante <<non ho il coraggio. Lui vuole Sofia e quindi io non posso fare niente>> dissi con una nota di amarezza. <<no Camille. Tu puoi cambiare le cose>> ringhiò quasi esasperata Sharon. <<digli ciò che provi, non ciò che pensi di provare, poi se le cose non cambiano per lui amen. Almeno ci hai provato e puoi metterti il cuore in pace.>> continuò lei seriamente. Da un lato sapevo che aveva ragione, ma sapevo anche che non avrei mai avuto il coraggio di provarci, non fino in fondo almeno. Come avrei potuto guardarlo in faccia se mi avesse rifiutato? vivevamo sotto lo stesso tetto in fin dei conti e quindi evitarlo mi sarebbe stato impossibile.

In quel momento bussarono alla porta e Luca entrò con un sorriso stampato in faccia. Che brave persone i miei genitori adottivi. Mi trattavano proprio come una loro figlia. Non potei fare a meno di pensare ad Amelì, la mia assistente sociale, e a quando mi disse che ero molto fortunata. Lo ero davvero.

<<buongiorno ragazze. Camille sei pronta? Elisabeth sta firmando i documenti per le tue dimissioni e poi potremo andare.>> disse il mio padre adottivo tutto d'un fiato. <<certo>> risposi felice. Mi dispiaceva lasciare Sharon. Eravamo diventate grandi amiche e non vederla più tutti i giorni mi rendeva triste. Ma avevo bisogno di tornare a casa, di respirare aria fresca e di lasciare quell'ospedale che mi aveva portato tanta sofferenza. Mi alzai con fatica e posai il mio sguardo su di lei. << allora ciao. Verrò a trovarti il prima possibile. Salutami Jessica.>> le dissi abbracciandola alla meglio. << va bene. Chiamami e scrivimi appena puoi. A presto Camille e pensa a quello che ti ho detto.>> mi sussurrò la mia compagna di stanza prima di liberarsi dal mio abbraccio. A malincuore la lasciai distesa sul letto e con molta calma uscì dalla stanza accompagnata da Luca. <<vuoi andare a salutare Matteo prima di andare a casa?>> mi chiese lui nell'atrio mentre aspettavamo Elisabeth. Mi bloccai non appena mi nominò Teo. <<no. Sono molto stanca e vorrei andare subito a casa>> mentii meglio che potevo. Non sapevo se ci aveva creduto ma proprio prima che Luca potesse rispondermi arrivò Elisabeth bella e elegante come sempre. <<mia cara, ti vedo in forma. Pronta per rivedere la luce del sole?>> mi domandò lei sorridendo. Annuii senza rispondere e tutti e tre insieme ci dirigemmo verso l'uscita dell'ospedale. Non mi sembrava vero. Finalmente potevo andarmene da quelle mura bianche e tristi. Appena fuori dall'edificio mi girai a guardarlo. Avevo appena lasciato Sharon e già mi mancava e cosa più importante avevo lasciato Matteo che, fino a quando ero dentro, sentivo vicino. Una stretta al cuore mi fece trasalire; anche se mi aveva ferita, anche se stavo sempre male a causa sua, non riuscivo a stargli lontana. Aveva ragione la mia amica. Dovevo dirgli tutto ciò che provavo per lui. Dovevo mettere da parte la vergogna e la paura e dovevo parlargli. Dovevo, però, anche preparami al peggio, perché solo così, forse, il mio cuore non si sarebbe rotto in mille pezzi.

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