CAPITOLO DICIOTTO

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Rimasi pietrificata, come del resto tutte le persone nell'atrio. Avrei voluto sprofondare dall'imbarazzo e scappare per paura della reazione di Teo.

Chiara non mollò la presa dalla maglietta di Matteo e lo continuò a fissare con aria minacciosa.

《 come hai detto?》 chiese Teo, infine, alla mia amica sorpreso. Notai che aveva le braccia rigide e le mani chiuse a pugno, segno che si era innervosito e non poco 《 hai capito bene》 rispose lei stringendo la presa. D'impulso mi avvicinai agitata 《Chiara, lascialo》 dissi cercando di tirarla, ma lei non si mosse. Matteo guardò prima me, poi Sofia. 《 vieni con me》 mi disse alla fine strattonandosi per staccarsi da Chiara e prendendomi per mano. Guardai Altea cercando di chiedere aiuto, ma lui non si smosse e strinse la presa sulla mia mano.

Mamma aiutami tu pensai mentre camminavamo velocemente.

Mi portò nel retro della scuola. Ero preoccupata e sorpresa, avevo paura di quello che avrebbe potuto dirmi. Ormai ogni volta che parlavamo, litigavamo e basta.

《 qual'è il tuo problema?》 urlò Teo tirando un pugno su un albero. Mi faceva paura, non lo avevo mai visto così arrabbiato. Non risposi perché non mi uscivano le parole di bocca. 《 allora? 》 continuò lui impaziente di sentire una mia risposta. 《i-io... 》 riuscì a dire a bassa voce, ma prima che potessi continuare mi interruppe. 《 io cosa?》 disse continuando ad urlare 《 cosa ho fatto adesso?》 gli domandai con un filo di voce. Non capivo dove voleva arrivare. 《 la tua "amica" mi fa fare figure di merda davanti a tutta la scuola urlandomi contro. Cosa vuoi ottenere?》 rispose chiudendo le mani a pugno. I suoi occhi luccicavano pieni di ira e tutti i muscoli del suo corpo erano tesi, sembrava un'altra persona.

《 io non ho fatto niente》 dissi in un sospiro. Non era colpa mia se Chiara aveva fatto quella scenata davanti a tutti; non gli avevo chiesto di fare proprio niente. La campanella suonò, ma Teo non si mosse e continuò a guardarmi in modo feroce. 《 non sono cazzi suoi di quello che succede fra me e te. Non voglio che si intrometta》 disse Matteo fregandosene del fatto che dovevamo andare in classe. 《 d-dovremmo entrare》 gli risposi sperando di finire li quella conversazione. 《 non mi frega》 disse ancora arrabbiato. Sarei voluta morire in quel momento, sarei voluta sprofondare. 《 mi dispiace》 gli dissi abbassando la testa. Non riuscivo neanche a guardarlo in faccia, ero debole. 《non me ne faccio niente delle tue scuse Camille. Mi stai rovinando la vita. Ma si può sapere cosa vuoi da me? ho cercato di farti capire che...》 si bloccò. Lo guardai con le lacrime agli occhi, mi sentivo uno schifo, lui mi faceva sentire uno schifo. Portai le mani agli occhi cercando di trattenere il pianto, quando le sue mani mi strinsero in un abbraccio caloroso. Quella fu la mia rovina. Iniziai a piangere fregandomene di dove mi trovavo e con chi mi trovavo. Avevo bisogno di sfogarmi. Matteo mi strinse ancora più forte a lui senza dire niente. Restammo così finche l'ultima lacrima rigò il mio viso. 《 torniamo a casa》 disse infine lui in modo più affettuoso. Avevo gli occhi gonfi e la faccia tutta rossa.

Mi piaceva, mi piaceva da morire. Mi aveva sconvolto la vita, ma non potevo fare a meno di lui. Sapevo che non era giusto, ma non potevo farci niente; era come aria per me, era essenziale. Anche se mi trattava male, anche se non andavamo praticamente mai d'accordo, qualcosa di lui mi spingeva a stargli vicino, ad avere bisogno di lui.

Mi prese per mano e ci incamminammo verso casa. 《ti odio》 gli sussurrai ancora singhiozzando. 《anche io》 rispose lui sorridendo.


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