PRANZO (parte 1)

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POV NADINE

Si staccò da me troppo in fretta e troppo presto. Mi occorsero alcuni secondi per accettare la mancanza della sua lingua contro la mia, esigente e prepotente nel suo gioco di seduzione. Quando la delicatezza di quel bacio stava cominciando a trasformarsi in qualcosa di più passionale, sotto la pressione sempre più erotica dei suoi denti, mentre con essi cercava di mordermi il labbro con lo scopo di sentirmi gemere, Alec fece un passo indietro, spezzando la connesione che si stava creando tra di noi.

Confusa sbattei le palpebre e permisi al suo sguardo vittorioso e fiero di scivolarmi addosso come una carezza gelida. Aveva avuto la dimostrazione che andava cercando, ed ora gongolava dinnanzi a quella vittoria che proclamava il suo diritto di possessione. Un diritto che, in quel preciso istante, mi sarei fatta tatuare persino in mezzo alla fronte, se questo sarebbe servito a trascinare nuovamente la sua bocca contro la mia. Non mi importava più se ogni aspetto del suo carattere era virilmente prepotente e a tratti antidiluviano. Mi importava solo porre fine a quel gioco di seduzione che mirava solamente a decidere chi di noi due fosse il più forte, ponendo il rispettivo piacere all'ultimo posto in ordine di importanza.

"Sto aspettando", disse, il tono composto e glaciale non lasciavano spazio a sentimenti. sembrava quasi che quel bacio non avesse significato niente per lui. 

"Cosa?", balbettai, disorientata, fissando in modo sfacciato la sua bocca appena schiusa e ancora umida della mia saliva.

"Sto aspettando che diciate di essere mia".

Solo a quel punto la mia mano, ancora chiusa a pugno, si sollevò svelta e offesa, senza attendere un ordine ben preciso da parte del cervello. Lo colpii al volto con una forza inaudita, obbligando la sua faccia a voltarsi di lato. Il suono dello schiaffò rimbombò nella stanza a lungo, sciogliendosi poi in un silenzio opprimente.

Con la coda dell'occhio mi fissò, serio, e così composto da risultare ancora più minaccioso. "Siete fortunata che non picchio chi è più debole di me".

"E tu sei fortunato che io non abbia un coltello in mano".

La sua risata mi paralizzò. "Sto realizzando proprio ora che voi, moglie mia adorata, mi avete minacciato di morte più spesso che lord Campbell".

"Cambpell?", pronunciai quel nome, cercando di ricordarmi dove l'avessi già sentito. La mia mente tornò con calma indietro nel tempo, annaspando tra i vari ricordi che avevo dell'università, e si fermò a poche ore prima. "Lord Campbell è un vostro nemico, giusto? Vuole il parlamento al potere mentre tu lotti a favore della monarchia".

Annuì, massaggiandosi la guancia nel punto in cui la pelle sotto il sottile strato di barba si stava arrossando. "Sapete colpire bene, per essere una femmina".

"Perchè non siete scesi a patti con lui?", lo ignorai.

"Patti?", ridacchiò. "E come potrei farlo su un campo di battaglia, mentre i suoi soldati trucidano la gente e i bambini?".

Rabbrividii, sforzandomi di immaginare il contesto storico. Era risaputo che un tempo non vi era alcun rispetto per la vita né alcun riguardo per gli infanti. Avevo letto qualcosa al riguardo, ma era stato troppo tempo prima per ricordare esattamente. 

"Vuoi riportarmi nel 1612 per questo motivo? Vuoi che le mie conoscenze ribaltino le sorti della Scozia?".

"Parliamone a cena. Ho fame".

"Alec", lo inseguii mentre a grandi passi lasciava la stanza. Sulla soglia mi bloccai e tornai indietro, verso la libreria. Estrassi il libro che avevo comprato per prepararmi all'esame di storia del primo anno e raggiunsi Alec.

SEI MIA PER DIRITTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora