TRE ROSE ROSSE

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POV ALEC

"Devo andare", biascicai con la bocca impastata dall'alcool.

Mi sollevai dalla sedia dietro la scrivania e barcollai quando dalla finestra un fascio di luce sbattè contro i miei occhi, causandomi una fitta alla testa.

Mi massaggiai le tempie e strofinai le mani sulle palpebre in un tentativo disperato di cancellare il ricordo di mia moglie, ben sapendo che non vi era nulla che potesse far sbiadire quel sorriso accecante che aveva illuminato quel misero tempo trascorso con lei. Tranne l'alcool. E l'oppio. Una generosa quantità d'oppio che sapeva abilmente increspare il ricordo di Nadine, accartocciando il suo volto nella mia memoria come un ridicolo pezzo di carta, e impedendo così ai suoi occhi di scrutare il dolore che mi rodeva l'anima. 

Svanito l'effetto, comunque, il ricordo di Nadine sarebbe tornato ancora più forte e sadico. E impietoso si sarebbe fatto strada tra le lacrime che ancora non ero riuscito a versare, seccandole e corrodendo la vasta gamma di sentimenti che da due mesi non provavo più. Non c'era odio né dolore in me, solo un devastante senso di oblìo che ricercavo nel vino e nelle droghe e che consentivano alle giornate di trascorrere tutte uguali in un ordine facile da seguire: dormire, mangiare, piangere la "tomba" di Nadine, portarle tre rose rosse, e di nuovo dormire, mangiare... e via di seguito. Nessun coinvolgimento mentale, nessuna distrazione. Era facile.

Mi spostai di un passo per oltrepassare il fascio di luce che mi martellava nel cranio e un tanfo nauseabondo si sollevò dai miei abiti. Non mi importava lavarmi. Se il mio aspetto avesse scoraggiato la gente, tanto meglio. Chiacchiere inutili e condoglianze non rientravano nel banale ordine dei miei programmi. 

A quel punto lord Stuart mi posò una mano sulla spalla ma la ritrasse subito, spaventato dall'occhiataccia che gli inviai. Non avevo bisogno della sua pietà. Avevo bisogno di Nadine.

E lei non c'era più.

Non ci sarebbe più stata.

Non avevo bisogno di nient'altro.

"L'hai vista?", domandò, indietreggiando per spostare fuori dalla mia portata una caraffa di vino.

Seguii il suo movimento e sbuffai. Sbuffare andava bene, mi impediva di urlargli contro. "Devo andare".

"Mio Signore", protestò, piazzandosi davanti a me per bloccarmi la strada. "Vi ho rivolto una domanda".

"Ed io vi rivolgo un ordine: fatemi passare!".

Stuart guardò fuori dalla finestra, cercando il sole. "So dove state andando a quest'ora, perciò ve lo chiedo un'altra volta: avete visto il ventre di Nadine?".

"Lasciatemi andare da lei", lo supplicai. Cominciavo a sentirmi stupido a forza di ripeterlo.

"Avete ascoltato ciò che vi ho detto?", insistè, rifiutandosi di spostarsi quando tentai di spingerlo di lato.

Mosso dalla rabbia spalancai le dita e feci scattare in avanti il braccio, colpendolo al volto col dorso. 

"Devo. Andare!", ruggii.

Afferrai da un vaso tre rose rosse e le scrollai, lasciando che i petali più vecchi si staccassero, planando accanto ai miei piedi. Quindi sbattei la porta e presi fiato per urlare: "Il mio cavallo!".

Quando arrivai alla piccola chiesa arroccata sul promontorio che cadeva a picco sull'oceano, guidai il cavallo oltre il piccolo lotto di terreno recintato in cui spiccavano una decina di lapidi in pietra, fermandolo davanti alle bianche colonne a protezione dell'ingresso.  

All'interno la chiesa era umida e silenziosa, riccamente decorata con degli stucchi dorati sulle volte e attraversata da una breve navata che terminava contro una croce di legno intagliata in stile celtico. Dietro di essa scendevano le scale in legno che conducevano all'oratorio di un piccolo convento ed ai sotterranei dove le suore custodivano la teca di Nadine.  Le percorsi lentamente e rivolsi un accenno di saluto alla madre superiora che, come sempre, mi accolse col più smagliante dei sorrisi. Era l'unica con cui scambiavo volentieri qualche parola, sebbene i nostri discorsi si basavano esclusivamente sullo stato di salute di mia moglie.

"Lord O'Braam", bisbigliò, a testa china, "permettetemi di rinnovarvi le mie condoglianze".

Le strinsi una mano, annuendo con un colpo secco della testa e la oltrepassai, puntando verso quel letto che ormai sentivo essere la mia seconda casa. Il corpo di Nadine giaceva statico come lo avevo lasciato il giorno prima, ricoperto con la veste bianca che aveva indossato al nostro matrimonio. Immobili nella loro pallida bellezza, le palpebre erano abbassate e le lunghe ciglia gettavano ombre sulle guance. Tra le mani congiunte al petto teneva tre rose rosse. Gliele tolsi delicatamente, sostituendole con queste nuove che avevo portato, quindi mi inginocchiai e restai fermo, col respiro trattenuto, supplicando il mio Dio di tenerla sotto la sua protezione... ovunque lei si trovasse.

Il tempo mi scivolò addosso senza che me ne rendessi conto e quando riaprii gli occhi mi accorsi che era già notte e che qualcuno, alle mie spalle, aveva accesso le candele. Ne afferrai una e l'avvicinai a Nadine per riempirmi gli occhi della sua immagine, concedendo ad essa di trapassarmi il cuore e lasciarsi cullare dalle lacrime fino al giorno successivo.

Lasciai andare lentamente il respiro e il mio alitò si scontrò contro la piccola fiamma della candela, facendo oscillare la luce dell'intera stanza e illuminando parti che fino a poco prima erano rimaste nascoste nell'ombra. Fu in quell'istante che notai una piccola piega sull'abito di Nadine, all'altezza del ventre. Avvicinai la fiamma traballante e con la mano sollevai un pezzo di stoffa, lasciandolo poi ricadere sulla sua pelle. Eppure la piega non voleva andarsene; se ne rimaneva sollevata proprio dove c'era l'ombelico. Fu a quel punto che ripensai alle parole di lord Stuart e fu come se l'intero mondo avesse smesso di ruotare, lasciandomi steso a terra, schiacciato dal peso di ciò che i miei occhi avevano appena visto ma che si rifiutavano categoricamente di accettare.

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